La riforma del Senato. Il punto di vista di un economista

Bruno Bises riflette sugli effetti che, sotto il profilo economico, potrebbero conseguire alla riforma costituzionale del Senato. Tra le altre, Bises esamina le possibili ricadute sull’efficienza del processo decisionale (in termini di costi, tempi, potenziali conflitti) e sull’efficienza economica (cioè sul possibile incremento del benessere collettivo derivante dall’approvazione dei provvedimenti di legge). Bises si sofferma anche sulle funzioni di valutazione delle politiche pubbliche e delle attività delle pubbliche amministrazioni assegnate al nuovo Senato.

La riforma costituzionale (RC) recentemente approvata dal Parlamento e oggetto del referendum previsto per il prossimo autunno modifica fortemente il ruolo del Senato rispetto all’attuale testo costituzionale. Essa ridisegna l’architettura complessiva del processo decisionale pubblico di livello parlamentare ed assegna specifici compiti al nuovo Senato. Entrambi gli aspetti si prestano ad un’analisi economica.

Queste brevi note – elaborate a partire dalla partecipazione alla Riunione scientifica intermedia della  SIEP – Società Italiana di Economia Pubblica  “Le decisioni di finanza pubblica e il ruolo del nuovo Parlamento” svoltasi  il 26 maggio 2016 (dal sito  http://www.siepweb.it/siep/it/riunione-intermedia-2016 è possibile scaricare alcune delle relazioni presentate) – intendono offrire alcuni spunti di riflessione sulle conseguenze che è possibile attendersi dalla RC sotto due profili. Il primo profilo, di carattere generale, attiene a caratteristiche e funzionamento dei sistemi bicamerali di democrazia rappresentativa. Il secondo riguarda specificamente le funzioni – specialmente di contenuto economico – attribuite al nuovo Senato.

La modifica del sistema bicamerale , La RC prevede che la Camera dei Deputati rimanga unica titolare del rapporto di fiducia con il Governo ed eserciti la funzione di indirizzo politico, la funzione legislativa e la funzione di controllo dell’operato del Governo. Il Senato concorre all’esercizio della sola funzione legislativa – non avendo più le altre due funzioni –  con poteri più o meno ampi a seconda delle materie. Poteri pari a quelli della Camera nei casi previsti dal nuovo art. 70, comma 1 (in particolare: leggi costituzionali e di revisione costituzionale, leggi relative a Comuni e città metropolitane, leggi di carattere generale relative alla partecipazione dell’Italia all’UE); altrimenti meri poteri di proposta, che di fatto comportano esclusivamente l’effetto di rallentare l’iter legislativo se la Camera non intende recepire le proposte del Senato. Da un sistema bicamerale paritario si passa ad un sistema che può essere qualificato come dualistico: bicamerale nei casi di cui all’art. 70/1,e sostanzialmente monocamerale in tutti gli altri (la gran parte). Quali risultati attendersi da questo nuovo sistema?

Il primo aspetto da considerare è l’efficienza del processo decisionale (in termini di costi, tempi, potenziali conflitti). Ovviamente nulla cambia riguardo alla funzione legislativa esercitata collettivamente. Negli altri casi, grazie all’eliminazione della “staffetta” fra Camera e Senato,gli (eventuali) costi per raggiungere l’accordo fra le due camere su un testo di legge uniforme verrebbero azzerati, e non si può escludere una riduzione dei tempi di approvazione delle leggi. Tale riduzione dei tempi è però difficilmente quantificabile (anche perché la consapevolezza di non avere la possibilità di emendare un testo legislativo in seconda o ulteriore lettura può indurre a un rallentamento dell’iter presso la Camera), d’altronde, la “staffetta” sembra influire marginalmente sui tempi di approvazione: questi, infatti, per alcuni provvedimenti risultano attualmente molto rapidi, e comunque assai differenziati, in media, in funzione dell’origine (governativa o parlamentare) dei provvedimenti e della loro tematica.D’altro canto, il sistema dualistico può dare luogo a incertezze e conflitti fra le due camere nel caso di non chiari confini fra i campi rispetto ai quali la funzione legislativa è esclusiva o collettiva – come forse è per alcune previsioni dell’art. 70 – o di provvedimenti a contenuto misto.

Riguardo all’efficienza economica – e cioè al possibile incremento del benessere collettivo derivante dall’approvazione dei provvedimenti di legge –il passaggio ad un sistema in larga misura monocamerale aumenterebbe il numero delle riforme economiche che potrebbero essere approvate dal parlamento– allargherebbe, cioè, l’ampiezza del winset, nella terminologia del politologo George Tsebelis, perché, passando sostanzialmente da due ad una le assemblee legislative, verrebbe ridotto il numero dei titolari di “poteri di veto”. Le conseguenze di politica economica sarebbero positive nel caso di riforme capaci di rendere più efficiente il funzionamento del sistema economico. Tuttavia, non tutte le riforme fanno aumentare l’efficienza del sistema economico, e comunque le riforme oltre ad agire sull’efficienza hanno normalmente anche effetti distributivi (guadagni e perdite per persone o gruppi diversi). A minori poteri di veto possono corrispondere maggiori possibilità di approvare leggi a favore di gruppi ristretti. Che il risultato netto sia positivo o negativo è difficilmente prevedibile.

Quanto detto influisce sull’efficienza nel senso della rispondenza delle decisioni del Parlamento alle preferenze dei componenti la collettività – problema che esiste sempre nei sistemi di democrazia rappresentativa. Un sistema bicamerale può, in linea di massima, garantire un grado di consenso collettivo sulle leggi approvate dal parlamento superiore a quello di un sistema monocamerale. Il problema è in ogni caso più acuto in presenza di leggi elettorali fortemente maggioritarie.

Un ulteriore aspetto riguarda la rappresentanza e la dimensione territoriale delle funzioni. Secondo l’art. 53, comma 3, “ciascun membro della Camera dei deputati rappresenta la Nazione” – cioè l’intera collettività nazionale – mentre “il Senato”– non ciascun membro! – “rappresenta le istituzioni territoriali” (art. 55/5) – e non le collettività dei diversi territori. Ci si aspetterebbe allora che al Senato venissero attribuite funzioni di dimensione territoriale o relative ai rapporti fra Stato centrale e enti territoriali. In realtà, oltre a queste ultime al Senato sono assegnate anche competenze di dimensione nazionale (quali alcune di quelle ex articoli 70/1 e 55/5 citate). Da quali criteri dovrebbero essere quindi guidati nelle loro decisioni i membri del Senato: istanze nazionali o territoriali (che peraltro potrebbero essere tra loro in conflitto)?E comunque le istanze territoriali sarebbero relative alle istituzioni, non alle popolazioni! Con il che si torna alla questione sopra ricordata del grado di rispondenza delle decisioni – in questo caso del solo Senato – alle preferenze della/delle collettività.

Infine il tema dei cosiddetti costi della politica. La riduzione dal numero dei senatori eletti da 315 a 95 comporta certamente minori spese (per emolumenti, rimborsi, ecc., e presumibilmente – salvo quanto verrà detto dopo – per il conseguente ridimensionamento dell’ “apparato” del Senato), ma la loro rilevanza appare limitata se confrontata con le dimensioni complessive del personale politico e delle strutture amministrative e di supporto relative all’insieme degli organismi che compongono il nostro sistema (centrale e locale) di democrazia rappresentativa e con i relativi costi. Ben più incisiva sotto entrambi i profili appare l’abolizione delle province– anch’essa contenuta nella RC (art.114).

Le funzioni economiche del nuovo Senato. Non rientrando la legge di bilancio tra quelle per le quali è previsto l’esercizio collettivo della funzione legislativa, il Senato perde di fatto la competenza su questa materia (le proposte del Senato, come si è detto, possono essere totalmente disattese dalla Camera – anche se è possibile che quest’ultima possa decidere di tenerne conto ,semplicemente per motivi di “sensibilità politica” e di equilibrio nei rapporti tra rami del parlamento).

Il Senato, d’altro canto, acquisisce specifiche funzioni, di cui alcune in campo economico. L’art. 55/5 attribuisce, infatti, al Senato funzioni di raccordo fra diversi livelli di governo, sia verso il basso che verso l’alto. Con una differenza: il Senato esercita funzioni di raccordo fra lo Stato e gli enti decentrati e concorre con la Camera all’esercizio di funzioni di raccordo fra Stato, enti decentrati e Unione Europea. Il medesimo art. 55/5 assegna al Senato anche funzioni di valutazione delle politiche pubbliche e delle attività delle pubbliche amministrazioni, nonché funzioni di verifica dell’impatto delle politiche dell’Unione Europea sui territori e dell’attuazione delle leggi dello Stato.

Il contenuto di tali funzioni non risulta però chiaro. Qualche esempio: di che tipo di valutazione si tratterebbe? relativa a tutte le PA? in quale rapporto sarebbe con i controlli esercitati dalla Corte dei conti? La verifica dell’impatto delle politiche dell’UE in quale relazione si porrebbe con le analoghe attività compiute dalle Regioni? La verifica dell’attuazione delle leggi riguarderebbe tutte le leggi dello Stato?

Si tratta, inoltre,evidentemente,di funzioni ampie e complesse (aventi contenuti sia qualitativi che quantitativi) e di dimensione sostanzialmente nazionale, richiedenti perciò impegno, competenze e strutture di supporto.Riguardo queste funzioni – che si aggiungono a quelle ex art. 70 – sono appropriate la numerosità e la composizione del Senato? Quanto tempo/impegno è ipotizzabile possa essere ad esse dedicato dai senatori, i quali sono anche consiglieri regionali e sindaci? Nell’ipotesi sia ragionevole attribuire al Senato tali compiti, non sarebbe più efficiente farli assolvere da personale politico ad essi esclusivamente dedicato? Pagato ma operativo a tempo pieno?

Infine, le citate funzioni tecnico-economiche fanno ritenere che il Senato si debba dotare di strumenti di cui è presumibile non abbia attualmente la disponibilità. E’ allora ragionevole prevedere una riduzione nelle dimensioni e nei costi del Senato come struttura tecnico-amministrativa?

Rimane peraltro una questione più generale: che significato e che valenza dovrebbero avere le citate attività di valutazione e di verifica da parte del Senato se poi la responsabilità politica del Governo è comunque solo nei confronti della Camera dei Deputati? E per quest’ultimo motivo non avrebbe comunque la Camera la facoltà di compiere tali attività – con il rischio di duplicazioni e sprechi di risorse?

In conclusione, la RC, se appare apprezzabile per le soluzioni offerte ad alcuni importanti problemi – quali l’abolizione delle province e la ridefinizione della ripartizione delle funzioni economiche fra Stato e Regioni e Province autonome, con l’eliminazione delle funzioni a competenza concorrente – genera serie perplessità sia riguardo all’architettura del sistema legislativo ed ai rapporti fra le due camere che riguardo a funzioni e composizione del nuovo Senato.

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