La ricerca sui Diritti di cittadinanza

Informazione e problematiche dello Stato sociale

Continua la ricerca di Etica ed Economia su “Diritti di cittadinanza e modelli di Stato sociale” cofinanziata dalla Fondazione Cariplo. Ogni mese il Menabò on line pubblicherà un contributo.

Nell’ambito del progetto di ricerca sul tema “diritti di cittadinanza e modelli di stato sociale”, curato da studiosi di vari atenei italiani, abbiamo scelto di focalizzare l’attenzione sul ruolo dell’informazione “aperta” verso il cittadino all’interno di un sistema democratico.

La centralità acquisita dal fattore “comunicazione” nelle istituzioni, in un periodo in cui l’efficienza dello Stato migliora, grazie all’appropriazione delle logiche e dei meccanismi dei new media, è stata indicata dall’affermazione significativa di Ardigò (1993)“…la richiesta democratica che più di recente si è diffusa nei paesi dell’Europa occidentale è proprio nella direzione dei diritti ad essere informati, specie da parte degli Stati; e ciò come l’ampliamento dei diritti di cittadinanza”1.

L’informazione ha caratterizzato la democrazia fin dall’antichità, a partire dalla forma di costituzione politica realizzatasi nell’antica città-stato d’Atene2 : la polis offre il campo aperto a chi vuole distinguersi onorevolmente, i cittadini trattano in modo uguale con eguali, anche se ognuno si sforza di emergere. Secondo Habermas, il concetto di “pubblico” è stato tradizionalmente contrapposto a “privato”: nella città-stato greca, al culmine del suo sviluppo, la sfera della polis, che è comune ai liberi cittadini, era rigorosamente separata della sfera dell’oikos, propria d’ogni singolo (idion) e la vita pubblica (bios politikòs) si svolgeva sulla piazza del mercato (l’agorà). Essa, però, non era legata ai fatti locali: il carattere pubblico si costituiva tanto nel dialogo (lexis), che poteva assumere anche la forma del dibattito e della sentenza giudiziale, quanto nell’agire comune (praxis), “riguardi esso la condotta della guerra oppure i giochi agonistici”[1]. Secondo lo stesso Habermas, coloro i quali sono chiamati spesso a legiferare sono esterni alla città stato e la redazione delle leggi non appartiene specificamente ai compiti pubblici. L’economia schiavistica in forma patrimoniale costituiva il fondamento dell’ordinamento pubblico, mentre la sfera privata favoriva l’ammissione nella polis dell’oikos despòtes, depositario di ricchezza mobile e proprietario di forza lavoro, la sfera pubblica si qualificava come un “regno della libertà e del permanente”.

Per i Greci, nella luce della sfera pubblica, tutto è visibile a tutti. Seguendo la stessa linea, le democrazie contemporanee, hanno mantenuto la connessione logico-semantica tra pubblicità e visibilità, nel senso di legame stretto tra l’essere pubblico di un fatto o di una decisione e il suo essere disponibile alla vista di una pluralità di individui: da qui l’importanza riconosciuta, nei regimi democratici moderni, alla trasparenza delle istituzioni nei confronti dei cittadini, a cui non deve essere negato l’accesso ai luoghi e ai contenuti delle decisioni. Alla necessità per il potere di essere trasparente nei suoi meccanismi ed accessibile, i media elettronici, prima, e le nuove tecnologie, più recentemente, hanno offerto straordinarie opportunità: da un lato, hanno reso visibili gli uomini che gestiscono il potere, esponendoli al giudizio immediato degli elettori; dall’altro, hanno reso concreta la possibilità di comunicare direttamente con gli eletti o con le istituzioni, rovesciando il tradizionale equilibrio tra emittenti delle informazioni e destinatari. Nell’era di Internet, infatti, il cittadino – almeno in linea teorica- non è più solo un destinatario passivo delle informazioni, secondo uno schema verticale e gerarchico, ma acquista la dignità di interlocutore attivo delle istituzioni e degli eletti, a cui può rivolgersi in prima persona per formulare quesiti o richiedere prestazioni e servizi.

Cristante, all’interno di un più ampio discorso sulla manifestazione dell’opinione pubblica negli Stati Uniti3, visti come proponenti del più avanzato modello di democrazia, distingue tra quattro attori, che sono compresenti in ogni contesto comunicativo e che hanno favorito il passaggio dalla sfera privata alla sfera pubblica: si tratta delle “minoranze attive”, gruppi d’interesse e di pressione, del “pubblico generalista”, dei “media” nel loro complesso e dei “decisori istituzionali”. Non possiamo parlare della dimensione matura dei processi d’opinione pubblica nella società dell’informazione all’esterno dell’interazione di questi quattro attori. Queste interazioni si verificano nello spazio della doxasfera e si sviluppano non fuori da una relazione di potere. Fra i soggetti discrezionali del potere (le lobby, i media e le élite economiche), nel contesto statunitense, le lobby rappresentano “la sintesi terminologica del potere associativo, laddove gli individui si aggregano per perseguire finalità condivise e per rendere vincenti gli interessi nascosti dietro le finalità medesime” (gruppi fortemente formalizzati come sindacati, partiti, associazioni professionali o informali di tipo movimenti e gruppi di pressione). I media, invece, sono percepiti come una “sintesi narrativa delle azioni sociali giudicate rilevanti”, il progetto immateriale capace di mettere in relazione sensibile gli individui attraverso la regola degli eventi messi in comune.

Infine, le élites economiche determinano posizioni decisive nelle strategie della globalizzazione. Mettendo insieme, nello stesso “athanore”, la mappa del potere e la sfera dell’opinione, possiamo avvicinare l’interpretazione dei flussi comunicativi ad un registro semiotico-sociologico rappresentativo, per il modo di vivere il conflitto e la tensione nella contemporaneità, nel passaggio in cui si trova lo Stato sociale ed, implicitamente, la Pubblica Amministrazione come organo esecutivo dello Stato italiano. Il percorso sulle problematiche dell’informazione pubblica, che, pur essendo sottoposta alla sorveglianza dei media rimane lo strumento che dovrebbe garantire uguale accesso alle istituzioni statali, rivela la stretta connessione, istituitasi tra la democrazia e l’amministrazione, due termini che fino al secolo scorso erano considerati opposti e che oggi, invece, rappresentano due aspetti imprescindibili ed inseparabili della vita democratica.

Nel modello tradizionale, l’amministrazione appariva, per molti versi, estranea alle istanze democratiche, isolata dagli interessi della maggior parte dei cittadini, a causa delle forme del governo4; in tale contesto, le funzioni dell’amministrazione si riducevano alla cura dell’ordine pubblico, della difesa, del fisco, trascurando l’ordine sociale e facendo registrare un distacco progressivo tra il diritto amministrativo ed il diritto comune.Questi caratteri sono mutati lentamente, in conseguenza dell’evoluzione della forma del governo: un momento particolarmente importante di questo processo evolutivo si è registrato con la Costituzione del 1948, che affermava il principio della sovranità popolare e quello dell’uguaglianza fra i cittadini (formale e sostanziale).

L’indebolimento dei legami tra i cittadini e lo Stato ha generato una profonda sfiducia nella pubblica amministrazione, vista come organo operativo dello Stato, arrivando a quello che Abruzzese sintetizzava nella frase: “…i cittadini sono sempre di meno, coincidono semplicemente con il ceto politico e i vertici della Pubblica Amministrazione… Non è più il cittadino che abita la metropoli a costituire l’identità maggiormente riconoscibile, ma il consumatore che abita in quel luogo sterminato che è il mercato.”5 Se esiste il pericolo che il cittadino sia fagocitato dal mercato ed, implicitamente, dalla grande massa dei consumatori, non è, forse, in pericolo la stessa esistenza dello Stato sociale come controparte per la contrattazione di un sistema di diritti e doveri del cittadino?

In tale contesto, la comunicazione si rivela non più come una semplice formalità per conservare la facciata delle istituzioni dello Stato, ma come una vera e propria azione sociale: le istituzioni pubbliche devono, allora, incentrare il loro sforzo nella ricerca di quelle forme di comunicazione che rendano possibile il mantenimento della funzione sociale dello Stato e dei legami sociali all’interno della “polis”.
La legge 150 del 2000 rappresenta, in questo senso, un grande passo avanti poiché ha segnato la legittimazione degli strumenti e delle forme di comunicazione pubblica all’interno della generale riforma dell’agire amministrativo, intrapresa nell’ultimo decennio di storia italiana. Ma il problema etico delle amministrazioni dello Stato italiano è appena iniziato: al di là della necessità di distinguere tra le funzioni di Informazione e di Comunicazione nelle istituzioni pubbliche, si innescano altre questioni rilevanti.

Come prima conseguenza e priorità per la comunicazione istituzionale della suddetta legge appare la necessità di un’evoluzione dei linguaggi utilizzati.

Si pensa, prevalentemente alla personalizzazione del messaggio emesso dallo Stato, poiché non esiste più un grande pubblico, ma dei pubblici di riferimento, oppure dei singoli cittadini, che hanno bisogno di una specifica assistenza. In questo modo si realizza ciò che Gerbner denominava “pubblicazione”, ossia la trasferta dei sistemi di conoscenza dalla sfera privata alla sfera pubblica, creando nuove basi di pensiero collettivo6. Il problema potrebbe essere risolto tramite la possibilità di partecipazione alla vita del paese garantita da Internet7, oppure, nel caso delle istituzioni dello Stato, tramite Reti Civiche, che propongano informazioni socialmente utili. Si assicurerebbe, in tale modo, un nuovo tipo di accesso al benessere sociale, richiesto dall’evoluzione della società ma condizionato dall’accesso all’informazione.

La rielaborazione dei contenuti rappresenta il secondo imperativo del nuovo modello di Stato Sociale: se è vero che la Rete può essere un efficace e democratico mezzo di comunicazione istituzionale, il problema da risolvere riguarda il contenuto da comunicare tramite tale mezzo, tenendo presente che la crisi dei partiti e delle grandi organizzazioni di massa ha indebolito il ruolo della comunità organizzata ed ha creato una molteplicità di utenti, che hanno bisogno di un numero altrettanto grande di informazioni e di formule personalizzate. L’informazione che viene messa in rete dovrebbe essere trasmessa sia in formula originaria (legge; decreto legge; regolamento etc.), che in una formula esplicita, meno opaca, comprensibile, per limitare la vulnerabilità dei cittadini di fronte alle istituzioni e fornire a tale scopo elementi di conoscenza e cultura attorno a cui si possa riavviare un processo di socializzazione della politica.

1 Ardigò, A., Lo specchio e la lente: crisi e informazione, a cura di Jacobelli, J., Laterza, Bari, 1993, pag. 11

2 Habermas, J., Storia e critica dell’opinione pubblica, Laterza, Bari, 1971

3 Cristante, S. in Morcellini, M., Sorice, M., Dizionario della comunicazione, Editori Riuniti, Roma, 1999

4 [i]Vedi i momenti della formazione del Regno d’Italia e lo Stato Albertino

5 cfr. Abruzzese A., Nuovi soggetti digitali: Stato, società, cittadini, in “Rivista trimestrale del Ministero delle Finanze. Lo Stato Elettronico. New Media e pubblica amministrazione”, n. 1/2000, pag. 9-10

6 Gerbner, G., Mass Media and Human Communication Theory, in F.E.X. Dance (a cura di), Human Communication Theory, Holt, Rinehart and Winston, New York, 1967, pag. 40-57

7 Nell’interpretazione di Parascandolo, l’Internet può portare all’invenzione di una nuova categoria di opinione pubblica; il cittadino della rete interagisce, s’informa, chiede e da delle risposte. Ma non dobbiamo dimenticare che si tratta sempre di un mezzo che non è ancora alla portata di tutti e che può avere i suoi sviluppi, positivi oppure negativi, dal punto di vista scelto come riferimento.

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