La qualità della ricerca delle università italiane: un’analisi a livello territoriale

Prota e Grisorio illustrano sinteticamente un loro studio diretto a individuare le differenze territoriali nei risultati della ricerca accademica in Italia. Il principale risultato che emerge dall’analisi è quello di un’evidente disomogeneità che però, come spiegano Prota e Grisorio, non è semplicemente riconducibile al classico dualismo Nord/Sud. Inoltre, i dati segnalano che la variabilità della qualità della ricerca è maggiore tra le diverse aree scientifiche di uno stesso ateneo piuttosto che tra atenei diversi

Esercizi nazionali di valutazione della qualità della ricerca accademica sono oggi diffusi in numerosi Paesi. Gli obiettivi di tali esercizi sono diversi: fornire una guida per l’allocazione delle risorse pubbliche sulla base del merito; aumentare la produttività del sistema della ricerca anche grazie ad analisi comparative delle performance delle diverse strutture; ridurre l’asimmetria informativa fra chi fornisce e chi domanda conoscenza. L’Italia si affaccia in questo ambito solo recentemente: il primo tentativo di valutazione della qualità della ricerca, la Valutazione Triennale della Ricerca, parte nel 2003; a questo fa seguito, solo nel 2011, un secondo esercizio, la Valutazione della Qualità della Ricerca 2004-2010 (VQR), realizzato dall’Agenzia Nazionale di Valutazione del Sistema Universitario e della Ricerca (ANVUR), mentre a fine 2015 ha preso avvio la nuova VQR, rivolta alla valutazione dei risultati della ricerca scientifica effettuata nel periodo 2011-2014.

La VQR è oggi uno strumento molto rilevante in quanto, in virtù delle previsioni della legge 240/2010 (comunemente nota come “Riforma Gelmini”) e di una serie di provvedimenti successivi, è divenuta la fonte di automatismi aventi effetti diretti sul finanziamento del sistema universitario: i risultati di questo esercizio di valutazione contribuiscono a determinare l’allocazione di una parte rilevante della quota “premiale” del Fondo di Finanziamento Ordinario delle università. Non va trascurato, tuttavia, che la VQR appare caratterizzata da non poche criticità, alcune di natura tecnica altre di natura politica, il che deve suggerire una certa cautela nell’interpretazione dei risultati di questo esercizio di valutazione, come già abbiamo argomentato in un nostro precedente lavoro (“La valutazione della ricerca accademica in Italia: un esercizio da ripensare”).

Questo breve saggio si inserisce nel dibattito sullo stato di salute della ricerca accademica italiana che è scaturito dalla pubblicazione dei risultati della VQR 2004-2010. In particolare, si propone una chiave di lettura territoriale, si prova cioè a valutare quanto la performance in termini di qualità della ricerca delle università meridionali nel loro complesso sia diversa da quella degli atenei del Centro e del Nord e quali siano gli aspetti che maggiormente differenziano le varie aree del Paese.

Il primo elemento che emerge è che la qualità media della ricerca del sistema universitario meridionale, così come misurata dalla VQR 2004-2010, è inferiore rispetto alle altre macroaree del Paese. Il ritardo è più forte nei confronti degli atenei settentrionali nel loro complesso rispetto a quelli del Centro. Due precisazioni sono, però, d’obbligo. Nel considerare la qualità della ricerca del sistema universitario meridionale non bisogna dimenticare, da un lato, che la VQR la misura solo in termini relativi, non assoluti, e, dall’altro, che l’Italia ha un ruolo significativo nel panorama della ricerca mondiale. Alcuni dati possono sinteticamente, ma efficacemente, illustrare la posizione del nostro Paese. Sulla base della classifica SCImago, l’Italia occupa l’ottavo posto al Mondo in termini di articoli scientifici ed il settimo se consideriamo l’h-index. Ancora migliore è la sua collocazione se guardiamo all’efficienza della ricerca scientifica. Considerando il rapporto fra articoli e spesa accademica per ricerca e sviluppo, l’Italia è preceduta solo dalla Cina; mentre se consideriamo il rapporto fra citazioni e spesa accademica destinata alla ricerca, il nostro Paese è al livello degli Stati Uniti e preceduto solo dal Regno Unito e dalla Cina. Questo significa che, seppur complessivamente la ricerca delle università del Sud appaia inferiore a quella delle università delle regioni settentrionali, ciò non esclude che, specie laddove tale ritardo è contenuto o addirittura trascurabile, le università meridionali possano occupare delle posizioni di rilievo nel panorama internazionale.

Il secondo elemento è la forte variabilità nelle performance tra le aree scientifiche. Guardando ai singoli ambiti disciplinari, le università meridionali in molti casi fanno registrare buone performance nelle così dette hard sciences. Al contrario, esse sono significativamente al di sotto della media nazionale nell’ambito delle scienze storiche, filosofiche, letterarie, pedagogiche e psicologiche così come nelle discipline economico-statistiche e politico-sociali. Individuare le possibili determinanti di questa variabilità non è semplice, sicuramente, però, fra i fattori che la possono spiegare vanno ricompresi, da un lato, l’utilizzo nella VQR di criteri che privilegiano l’omogeneità con un certo standard internazionale, omogeneità maggiormente diffusa nelle hard sciences piuttosto che nelle materie umanistiche, e, dall’altro, l’esistenza di una discreta dotazione di strutture di ricerca (ad esempio, laboratori) nelle regioni meridionali, strutture che sono, ovviamente, fondamentali per le attività di ricerca nelle discipline scientifiche.

Provando ad approfondire le determinanti della variabilità della qualità della ricerca tra aree scientifiche, i nostri risultati suggeriscono che la maggior parte della variabilità è dovuta a differenze all’interno degli atenei piuttosto che a differenze fra atenei. Si tratta di un dato particolarmente importante perché, come noto, le risorse premiali sono distribuite fra atenei e non fra aree scientifiche. Inoltre, l’esistenza di questa forte varianza all’interno delle singole strutture dovrebbe essere debitamente considerata nelle metodologie e negli indicatori scelti per effettuare la valutazione, se si vogliono ottenere risultati corretti e robusti.

La variabilità in termini di qualità della ricerca emerge anche a livello aggregato, cioè se la nostra unità di analisi è l’ateneo. In questo caso i risultati variano al variare della dimensione delle università; in particolare, il ritardo del sistema universitario meridionale è imputabile in gran parte agli atenei di grandi dimensioni; infatti, le distanze degli atenei medio/piccoli sono limitate rispetto a quelli del Nord e quasi del tutto assenti rispetto a quelli del Centro.

Naturalmente, la qualità della ricerca di un ateneo è influenzata da molteplici fattori, tra i quali il contesto economico e sociale in cui si trova ad operare, la dimensione, i finanziamenti ricevuti, il numero ed il turnover dei docenti e dei collaboratori di ricerca. È, quindi, opportuno provare a mettere in relazione in un modello statistico-econometrico la qualità della ricerca con una serie di possibili variabili esplicative. Pur non potendo provare l’esistenza di un nesso causale tra i dati, la presenza di correlazioni statisticamente significative fornisce utili indicazioni per una più articolata interpretazione dei risultati che abbiamo presentato.

Attraverso la stima di due semplici modelli econometrici, uno a livello di area scientifica e l’altro a livello di ateneo, la nostra analisi trova evidenza di una forte correlazione positiva fra performance e dotazione di risorse umane e finanziarie nonché fra performance ed immissione di nuovo personale docente. Questa relazione è robusta rispetto all’utilizzo di diverse misure della qualità della ricerca (il lettore interessato trova le tabelle con i risultati delle stime econometriche al seguente link).

La nostra analisi evidenzia, anche, con chiarezza il ruolo fortemente negativo giocato dagli “inattivi” (vale a dire dai soggetti che non hanno presentato alcun lavoro o che hanno presentato al più la metà dei lavori attesi) nel determinare la performance in termini di qualità della ricerca sia a livello di area scientifica che a livello di ateneo. Il ruolo negativo svolto dagli “inattivi” (nonostante siano complessivamente una percentuale molto bassa dei docenti italiani) risulta avere un maggior peso rispetto alle “eccellenze” (vale a dire al numero di prodotti con la valutazione più alta) come dimostra il confronto fra i coefficienti delle due variabili: un incremento di un punto percentuale nella quota di inattivi in un’area scientifica riduce il valore della variabile dipendente (utilizzata per misurare la qualità della ricerca) del 2,5%, mentre l’aumento del numero di eccellenze ne aumenta il valore in maniera molto più contenuta. Con riferimento alla dimensione geografica, la distribuzione degli “inattivi” divide il Centro-Sud dal Nord, dove più contenuta è la loro presenza. La percentuale di “inattivi” è, però, considerevolmente diversa fra ambiti disciplinari. La distribuzione degli “inattivi” divide, dunque, il Centro-Sud dal Nord, ma è attribuibile principalmente a poche aree scientifiche.

Anche controllando per una serie ampia di fattori (in particolare, di “dotazione”), la performance relativa degli atenei meridionali rimane tuttavia significativamente inferiore a quella degli atenei del Nord, mentre le distanze rispetto alle università localizzate nelle regioni del Centro risultano meno nette. Esistono, dunque, cause profonde di questo fenomeno che i nostri modelli di stima non riescono a catturare e che potrebbero essere legate sia a fattori di contesto sia a comportamenti non virtuosi (inefficienze interne all’organizzazione degli atenei, comportamenti opportunistici degli attori, presenza di “gruppi di potere” consolidati negli atenei storici più grandi). Si noti, peraltro, che questi fattori risulterebbero esacerbati dalle politiche di questi ultimi anni che hanno portato ad una ridotta mobilità dei docenti, a poco frequenti progressioni di carriera e ad una limitato ingresso di giovani ricercatori.

In sintesi, dalla nostra analisi emerge che la ricerca accademica in Italia è territorialmente disomogenea, tuttavia una chiave di lettura basata sul classico dualismo Nord/Sud appare insufficiente. Per molti aspetti gli atenei del Sud e del Centro non si differenziano tra loro in modo sostanziale; mentre, si distinguono in positivo le università del Nord. Con questo non si vuole negare che nel suo complesso il sistema universitario meridionale mostri, sulla base della VQR, una situazione di relativa debolezza, ma vi sono due linee di demarcazione al suo interno che non possono essere trascurate. La prima attiene alla dimensione degli atenei: da una parte, si collocano gli atenei medio/piccoli che fanno registrare performance migliori e, dall’altra, i grandi atenei che mostrano difficoltà più serie. La seconda linea di demarcazione riguarda gli ambiti scientifici: ai buoni risultati delle hard sciences si contrappongono quelli molto meno soddisfacenti delle discipline umanistiche, economico-statistiche e politico-sociali. Infine, non mancano nel sistema universitario meridionale segnali di dinamismo che andrebbero, però, potenziati.

È questo ciò che si può dedurre guardando alla valutazione ex post, così come proposta nella VQR, delle scelte degli atenei in merito al reclutamento ed alle progressioni di carriera. Se, infatti, si confronta il voto medio dei neoassunti e dei promossi (purtroppo non è possibile distinguere fra le due tipologie) in una data area scientifica in un dato ateneo con il voto medio di quella struttura in quella specifica area scientifica, si registra un miglioramento in tutte le tre circoscrizioni ma, in particolare, nel Mezzogiorno. I neoassunti/promossi nelle università meridionali producono, dunque, una ricerca superiore ai loro colleghi di ateneo. La qualità della loro ricerca è, però, in linea con la media nazionale dell’area scientifica a cui appartengono, mentre nel caso dei neoassunti/promossi negli atenei del Nord e del Centro la qualità della loro ricerca è più alta della media dell’area scientifica a cui appartengono. Le politiche di reclutamento/promozione degli atenei del Sud sembrano, dunque, indicare un tentativo di miglioramento rispetto allo status quo, anche se probabilmente non sufficiente per colmare il gap con il resto del Paese.

* Questo contributo sintetizza un saggio dal titolo “La qualità della ricerca” contenuto nel volume Università in declino. Un’indagine sugli atenei da Nord a Sud (a cura di G. Viesti), Donzelli Editore, Roma, 2016. Le opinioni espresse in questo contributo non riflettono necessariamente quelle delle istituzioni di appartenenza degli autori.

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