La protezione sociale ai tempi del COVID19

Valentina Barca analizza le misure di assistenza sociale previste dal Decreto Cura Italia ponendole a confronto con le risposte che altri paesi stanno offrendo a seguito della crisi economica e sociale generata dal Covid 19. Quali misure sono state utilizzate, soprattutto per le fasce di popolazione più deboli e vulnerabili, non coperte dalle tradizionali misure di assicurazione sociale? Quali sono i principi che hanno guidato queste misure e quali le implicazioni per l'Italia?

Il Decreto Cura Italia ha dato tante risposte agli Italiani in questo momento di crisi. Ma ha anche aperto molte domande. Tra le tante, vi è quella dell’insufficiente attenzione alle fasce di popolazione più deboli e vulnerabili: chi non lavora, chi svolge lavori saltuari e/o irregolari, i lavoratori di piccole e medie imprese non resilienti, i lavoratori precari – anche molti autonomi. Ne parla in un documento uscito la settimana scorsa il Forum Diseguaglianze e Diversità, attualmente impegnato a scrivere una nota di commento approfondito al Decreto.

L’appello di fondo è quello di creare una rete “per tutte le persone e a misura delle persone” – tutelando “ogni persona a rischio, sia i garantiti, sia gli esclusi”.

Come? Costruendo sulle spalle delle esperienze internazionali e mettendo a frutto gli strumenti che abbiamo a disposizione.

La crisi ‘Coronavirus’ in corso, infatti, non è la prima ad aver scosso gli equilibri sociali ed economici dei paesi colpiti. Tanto che – soprattutto nei paesi a reddito medio e basso dove gli effetti di crisi passate (anche minori) hanno lasciato tracce di lungo termine – si lavora ormai da qualche anno sul rafforzamento dei sistemi di assistenza sociale per renderli “shock responsive”: preparati a rispondere a crisi future (si vedano, ad esempio, le pubblicazioni recenti di UNICEF e della Commissione Europea).

Questo articolo si concentra su queste esperienze internazionali per parlare brevemente del perché e del come, portando esempi da un numero crescente di paesi che stanno già combattendo gli effetti del COVID19 sul lato dell’assistenza sociale (non contributiva) e non solo dell’assicurazione sociale (contributiva). Questo ha implicazioni importanti per l’Italia, discusse nelle conclusioni.

Perché e come. Molte crisi colpiscono tutti in modo uguale, anche se qualcuno potrebbe dire che chi sta meglio ha comunque più da perdere. Ma non è uguale la capacità di risposta, di potersi sostenere e rimettere in piedi. E non è neanche uguale la protezione che si ha tramite altre misure di policy: chi non lavora, chi lavora nel settore informale, chi lavora ‘a cottimo’ nella gig-economy-e-non (etc.) non ha accesso a molte delle misure di assicurazione sociale che vengono messe a terra dai Governi.

Come costruire una ‘rete di assistenza’ che non permetta a nessuno di trovarsi sprotetto – evitando che la crisi si trasformi in emergenza di lungo termine? Rimangono innanzitutto fondamentali i tre principi di universalità ribaditi dall’ILO e da altre organizzazioni internazionali (si veda la Global Partnership for Universal Social Protection). Bisogna offrire una protezione per tutte le persone a misura delle persone, che possa espandersi per rispondere all’incremento dei bisogni, assicurando:

  • Espansioni ‘verticali’, dando di più (o più a lungo);
  • Espansioni ‘orizzontali’, ampliando il numero di persone/famiglie coperte;
  • Espansioni delle tipologie di servizio/assistenza, riconoscendo automaticamente a chi è già beneficiario di un certo intervento altre forme di sostegno.

Prima di passare agli esempi di altri paesi che si sono già mossi in queste tre direzioni (spesso al contempo), è importante ribadire alcuni dei principi che sottendono queste espansioni, i quali sono spesso diversi da quelli seguiti ‘in tempi ordinari”. In altre parole, le emergenze influenzano anche le lenti con cui giudicare e guidare le nostre scelte di policy.

Prima di tutto, emerge fondamentale il tema della tempestività, anche a scapito della ‘precisione’ nel selezionare chi è dentro e chi è fuori (“targeting”). Meglio subito, avendo incluso qualcuno che forse non ne aveva bisogno, piuttosto che troppo tardi. Ci sono programmi in Kenya ed altri paesi dove le espansioni in tempi di siccità sono pre-disegnate, per permettere pagamenti istantanei allo scattare del primo allarme. La  preparazione ex-ante (sapere chi deve fare cosa, quando) può rendere molto più efficace la risposta ex-post (si veda ad esempio uno studio USAID sui costi-benefici di azioni anticipate in contesti di siccità). Che ci sia da monito per gli anni a venire.

La tempestività si può garantire anche facendo leva sui sistemi e programmi esistenti  piuttosto che inventarsi nuove modalità di intervento. Se ci sono misure di contrasto alla povertà e vulnerabilità, è importante che esse siano messe in prima fila – anziché   dimenticate, portate al collasso (e.g. per eccesso di domanda) o addirittura de-finanziate. E, assieme ai programmi, vanno messe in prima fila anche le infrastrutture che ne permettono l’implementazione: le capacità di chi lavora nel settore, l’informazione che si ha su chi beneficia o ha fatto domanda in passato, i sistemi di pagamento, etc. Un programma ‘nuovo’ che costruisce su sistemi esistenti può essere anch’esso tempestivo.

Per le misure di sostegno al reddito, importanti sono anche la prevedibilità e la preservazione della dignità di chi accede. Il fatto che si tratta di misure ‘temporanee’ o di ‘emergenza’ non giustifica l’assenza di chiarezza sul chi riceverà cosa, come, quando, e quanto a lungo (permettendo pianificazione e certezza), o il creare distinzioni ingiuste tra chi ha diritto e chi no e mortificanti barriere all’accesso per chi è già più vulnerabile.

Cosa stanno facendo gli altri paesi? Come si legge sui giornali da giorni, l’Italia non è l’unica ad essersi trovata impreparata di fronte ad una crisi di questa portata. Le misure anti-COVID19 messe a terra nelle ultime settimane in giro per il mondo sono molteplici. Qui si discutono quelle sul fronte dell’assistenza sociale, ossia le misure che mirano a riempire i “buchi”, i ‘gap’ lasciati aperti dalle politiche concentrate principalmente sul lavoro e sul settore formale (riassunte bene in un Policy brief dell’OCSE). Per un’analisi aggiornata ogni settimana, paese per paese, si veda questo Working Paper della Banca Mondiale e questa Newsletter curata da Socialprotection.org.

Facilissime – e tempestive – da amministrare, e dunque spesso in prima posizione, sono le Espansioni Verticali. Ad esempio, chi  riceve qualsiasi forma di assistenza sociale in Australia (6,5 milioni di persone, il 26% della popolazione) ha ricevuto $750 senza dover neanche fare domanda – dato che il Governo ha già i dati necessari ad effettuare un pagamento straordinario (la misura è in fase di ulteriore espansione). L’ Argentina sta adottando un approccio simile, raggiungendo il 20% della popolazione. Espansioni di programmi di assistenza sono state dichiarate e/o attuate anche in Malesia (12% popolazione), Colombia (9%), Indonesia (6%), Nuova Zelanda, Pakistan, in diverse regioni della Cina e ad Hong Kong – con nuovi esempi ogni giorno che passa.

Alle espansioni verticali si stanno anche associando Espansioni Orizzontali, attuate in modi molto diversi.  In Brasile, è stato annunciato che verrà aggiunto un milione di nuclei familiari al programma nazionale di contrasto alla povertà, Bolsa Familia (senza chiarimenti, tuttavia, sul come). In Pakistan sta attuando una duplice strategia di espansione, tramite dati esistenti del loro “National Socio-Economic Database’ e tramite una campagna di registrazione via SMS. In Cina, il Programma Dibao ha emesso direttive per rilassare gli attuali requisiti di accesso – il più restrittivo dei quali era un requisito di residenza. La Giordania sta anticipando il raggiungimento di quote future di espansione del programma National Aid Fund, semplificando i processi di accesso. Nel Regno Unito, in Irlanda e negli Stati Uniti si modificano i criteri di eleggibilità di programmi esistenti, puntando al contempo ad un accesso semplificato. L’impennata nelle domande è già visibile: il (controverso) programma Universal Credit Inglese ha ricevuto un record di 447,000 registrazioni in nove giorni, mentre negli Stati Uniti oltre 3 milioni di persone hanno fatto domanda per l’‘Unemployment Benefit’ in una settimana. In entrambi i casi, sono stati necessari significativi rafforzamenti dello staff necessario a processare le domande.

In altri paesi, le ‘espansioni orizzontali’ si effettuano tramite programmi di assistenza sociale ‘nuovi’, introdotti nelle ultime settimane (costruendo sui sistemi esistenti!) per fronteggiare al numero crescente di persone affette (e.g. in Bolivia, India, Iran, Peru).  Vi sono, poi, dichiarazioni  di particolare rilievo quali quelle espresse a Hong Kong e negli Stati Uniti di voler istituire un ‘Reddito Universale’ a favore di “tutti i maggiorenni”. Sul caso Americano, gli ultimi dettagli dallo ‘Stimulus Plan’ attenuano le dichiarazioni iniziali di Trump: a)  piuttosto che di un reddito, che richiederebbe un’erogazione continua nel tempo, si tratterrebbe di una erogazione una tantum; b) le modalità di erogazione discusse (simili a quelle della crisi del 2008) fanno presagire un beneficio solo a chi figura nei registri di tassazione (non gli informali e i non-lavoratori); c) è molto probabile che verrà approvato un limite di reddito per la misura.

Ad oggi, non abbiamo, invece, esempi, di espansioni delle tipologie di servizio/assistenza offerte chi già riceve assistenza.  Ma potrebbe essere una battaglia fondamentale, per esempio laddove non vi siano sistemi di assistenza sanitaria pubblica.

Un tema di sottofondo va anche rilevato: ciascuna delle esperienze internazionali considerata è caratterizzata da sforzi ad incrementare la ‘flessibilità del sistema e la ‘tempestività della risposta: anticipare pagamenti dovuti a date successive (e.g. Canada, Colombia, Indonesia, Messico e Peru); semplificare le procedure di accesso (Romania, Regno Unito, Irlanda); cambiare la modalità di distribuzione (e.g. per programmi di alimentazione scolastica, consegnando i pranzi a domicilio o consegnando buoni pasto – Chile, Costa Rica); sospendere le condizionalità… la lista è lunga. Per chi voglia leggere anche esempi dal passato – tra cui la crisi del 2008 – si vedano i seguenti documenti qui, qui e qui.

E l’Italia? Come tenere conto per l’Italia di questi spunti di metodo e di questi esempi? Costruendo sulle spalle delle esperienze internazionali e mettendo a frutto gli strumenti che abbiamo a disposizione. Nel primo Decreto Cura Italia il Reddito di Cittadinanza (RdC) viene menzionato solo due volte: come fattore di esclusione per la ricezione di altri benefici (peccato) e per eliminarne la condizionalità (bene). Ma non si dice che questo potrebbe essere uno strumento chiave – dovutamente modificato se necessario (anche temporaneamente) – per ottemperare alle lacune delle altre misure: creando una rete per chi quella rete non ce l’ha.

Come dice Amartya Sen, “benefits meant exclusively for the poor often end up being poor benefits” – le misure create esclusivamente per i poveri, finiscono spesso per essere misure povere (Sen, 1995). Che l’ammonimento ci sia da guida – anche nel cogliere quest’opportunità per trasformare e rafforzare uno strumento attualmente malvoluto e bistrattato, ma che ha tutte le potenzialità per diventare un perno importante del nostro sistema di protezione sociale. Pronto ad espandersi – verticalmente, orizzontalmente e ad altri servizi – durante la prossima crisi.

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