La prestazione lavorativa nella pubblica amministrazione: in presenza e agile (senza emergenza)

Matteo Verzaro presenta una sintetica analisi delle misure adottate di recente dal Ministro per la Pubblica Amministrazione in merito al rientro del personale in ufficio nel periodo di ripresa post-pandemica. Verzaro analizza le linee di indirizzo per la gestione della modalità di svolgimento della prestazione lavorativa e le prescrizioni in tema di lavoro agile, che, superata la fase dell’emergenza, dovrebbero assicurare un’efficiente applicazione di tale modello, nella normalità, in ambito pubblico.

Il D.P.C.M. 23 settembre 2021, al suo art. 1, ha disposto, a decorrere dal 15 ottobre 2021, che per tutte le amministrazioni dello Stato la modalità ordinaria di svolgimento della prestazione lavorativa è quella svolta in presenza. Trova, così, pieno compimento il brocardo latino lex necessitatis est lex temporis, superandosi il disposto della circolare 2/2020 del Ministro per la pubblica amministrazione che qualificava (§ 3) il lavoro agile quale «modalità ordinaria di svolgimento della prestazione lavorativa» nelle pubbliche amministrazioni (p.a.). Occorre, però, dar subito conto che la contraddizione tra le due disposizioni è solo apparente, trovando l’indicazione dell’ordinarietà del lavoro agile, contenuta nella circolare richiamata, la sua ratio nel «contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19», nonché «al fine di contemperare l’interesse alla salute pubblica con quello alla continuità dell’azione amministrativa». Sicché, con il progressivo (e ci si augura stabile) miglioramento della situazione pandemica, giunge il tempo di ridefinire l’azione amministrativa nel suo svolgimento ordinario, che tenga conto delle modalità adottate nell’emergenza, ma anche, se non soprattutto, delle criticità che dalle stesse sono emerse.

In tale prospettiva si muove il D.M. 8 ottobre 2021 che, nel suo art. 1, detta le disposizioni per il rientro in presenza dei lavoratori della p.a. in attuazione di quanto sancito dal citato D.P.C.M. Si chiarisce che «per rientro in presenza si intende lo svolgimento della prestazione lavorativa nella sede di servizio» presso cui il dipendente è impiegato. Il decreto non si riferisce, così, alla postazione lavorativa all’interno della sede di servizio, bensì solo a quest’ultima; sicché la precisazione deve essere interpretata – per dirla con l’art. 18, comma 1, l. 22 maggio 2017, n. 81 in tema di lavoro agile – nel senso che la prestazione deve essere svolta all’interno dei locali aziendali, anche, qualora disposto dall’amministrazione, in una postazione diversa da quella occupata pre-pandemia dal lavoratore. Quest’ultima notazione può trovare, del resto, riscontro in quanto dispone l’art. 1, comma 2, D.P.C.M. 23 settembre 2021 che impone, nell’attuazione del rientro in presenza del personale, alla p.a. di assicurare «il rispetto delle misure sanitarie di contenimento del rischio di contagio da COVID-19 impartite dalle competenti autorità»: il che può tradursi anche in un’organizzazione nuova degli spazi di lavoro all’interno delle sedi di servizio. Ciò non cambia, però, il fatto che la prestazione debba essere svolta, in via ordinaria, in presenza.

A tal fine, il comma 2 dell’art. 1 del D.M. 8 ottobre 2021 dispone, dapprima, che la p.a. deve organizzare l’attività dei propri uffici prevedendo il rientro in presenza di tutto il personale entro i quindi giorni successivi al termine iniziale del 15 ottobre 2021, dando priorità al personale preposto al front office e a quello di back office per l’erogazione dei servizi all’utenza. Vi è, quindi, una fase operativa, della durata di 15 giorni, rimessa alla discrezionalità della singola p.a. volta a programmare il rientro nelle sedi di servizio della forza lavoro e tesa a realizzare, sin da subito, la piena continuità del servizio all’utenza sia nella fase pubblica che in quella preparatoria e di assistenza. Occorre, però, sempre rispettare le prescrizioni in tema di sicurezza dettate dai protocolli anti-coronavirus e, di conseguenza, il rientro del personale può essere operato attraverso lo strumento della flessibilità oraria. Strumento che viene declinato dal D.M. in una duplice forma. In primis, attraverso la flessibilità degli orari di sportello e di ricevimento dell’utenza e, in secundis, attraverso l’individuazione di fasce temporali di flessibilità oraria per l’entrata e l’uscita, anche «in deroga alle modalità previste dai contratti collettivi e nel rispetto del sistema di partecipazione sindacale».

Quanto al primo aspetto, la flessibilità degli orari del servizio potrebbe comportare un notevole beneficio anche per l’utenza, che avrebbe ulteriori possibilità di fruizione dello stesso. Tale innovazione deve, però, inserirsi nell’armonizzazione tra orario di servizio e orario di lavoro del personale della p.a.: se il primo ha generalmente una fascia temporale ampia (7:30-19:00), il secondo è di 36 ore settimanali per ciascun lavoratore. La flessibilità degli orari di apertura e di ricevimento significherebbe articolare l’orario di lavoro nell’arco dell’orario di servizio in maniera differente per gruppi di lavoratori, consentendo così la flessibilità del servizio offerto. Tale organizzazione renderebbe, anche, operativa la seconda forma di flessibilità, volta ad evitare affollamenti all’entrata ed all’uscita della sede di servizio da parte del personale, poiché consentirebbe di compiere tali operazioni con modalità temporali dilazionate nell’arco dell’orario di servizio. Rimanendo, dunque fermo l’orario di lavoro per ciascun dipendente, la sua collocazione verrebbe determinata diversamente a seconda dell’ufficio di appartenenza del lavoratore nell’arco dell’orario di servizio, secondo l’organizzazione impartita dalla singola p.a. nel rispetto degli ambiti di partecipazione sindacale.

L’art. 1, comma 3, D.M. 8 ottobre 2021 dispone, nelle more dell’intervento della contrattazione collettiva e della definizione delle modalità e degli obiettivi, alcune condizionalità ai fini dell’accesso al lavoro agile che, fuori dall’emergenza, dal 15 ottobre 2021 non costituisce più la modalità ordinaria di svolgimento della prestazione lavorativa. In particolare, il ricorso al lavoro agile non deve, in alcun modo, pregiudicare o ridurre la fruizione dei servizi offerti dall’amministrazione a favore degli utenti. Il lavoro agile deve, quindi, assicurare la piena continuità non solo del servizio, bensì anche degli orari di sportello e di ricevimento dell’utenza. Inoltre, l’amministrazione deve garantire una adeguata rotazione del personale che può svolgere la prestazione in modalità agile, dovendo essere prevalente, per ciascun lavoratore, la modalità di svolgimento in presenza. La p.a. deve, quindi, registrare la richiesta e la concessione del lavoro agile al singolo lavoratore e non ne deve consentire il rinnovo finché tutti gli altri lavoratori non ne abbiano presentato richiesta in tal senso. Restano, tuttavia, ferme le priorità sancite dall’art. 18, comma 3-bis, l. n. 81/2017: lavoratrici nei tre anni successivi alla conclusione del periodo di congedo di maternità e lavoratori con figli in condizioni di disabilità. Per tali categorie, ritengo, non possano trovare applicazione le preclusioni alla nuova richiesta di lavoro agile previste dal decreto.

Per lo svolgimento della prestazione in modalità agile è essenziale che la p.a. si doti di una piattaforma digitale idonea a garantire la più assoluta riservatezza dei dati e delle informazioni che vengono trattate dal lavoratore nell’adempimento della prestazione in tale modalità. È, così, necessario che gli strumenti tecnologici forniti al dipendente in modalità agile siano dotati di un adeguato sistema di sicurezza che consenta di non correre alcun rischio prevedibile di data breach; inoltre la p.a. deve fornire al personale in modalità agile strumenti tecnologici che siano adeguati allo svolgimento della prestazione di lavoro richiesta. Di guisa che il lavoratore agile deve poter utilizzare software, anche al di fuori della sede di servizio, che sono necessari per l’adempimento della prestazione lavorativa, senza alcun aggravio delle tempistiche di svolgimento del lavoro dovuto. In tale ottica, si inquadra, a mio avviso, anche la condizione che la p.a. debba prevedere un piano di smaltimento del lavoro arretrato; “arretratezza” che non deve certo trovare sponda nella modalità agile o negli strumenti per la sua realizzazione.

Il D.M. prevede, poi, alcuni ambiti di regolazione minima da parte dell’accordo individuale che dispone lo svolgimento della prestazione in modalità agile. L’accordo deve: 1) individuare gli specifici obiettivi che il lavoratore agile deve raggiungere; 2) definire le modalità e i tempi di esecuzione della prestazione e della disconnessione, nonché le eventuali fasce di contattabilità; 3) definire le modalità e i criteri di misurazione della prestazione lavorativa resa in forma agile, anche al fine del proseguimento di tale modalità di svolgimento. Il decreto introduce, così, per il lavoro agile nella p.a. l’elemento degli obiettivi per l’organizzazione della prestazione in forma agile, previsto in via solo eventuale dall’art. 18, comma 1, l. n. 81/2017. Tale elemento rende “misurabile” la prestazione così svolta, al punto da rendere il risultato raggiunto sull’obiettivo prefissato parametro di valutazione della prestazione resa e della continuazione della modalità agile per il singolo lavoratore. Viene, in tal modo, implicitamente definito uno dei possibili contenuti del «giustificato motivo» di recesso dall’accordo di lavoro agile dettato, genericamente, dall’art. 19, comma 2, l. n. 81/2017. Qualora, infatti, le modalità e i criteri di misurazione della prestazione agile rilevino una sua insufficienza rispetto agli specifici obiettivi che la stessa è tesa a raggiungere, appare evidente che la p.a. possa recedere dall’accordo di lavoro agile senza preavviso, se a tempo indeterminato, ovvero prima della scadenza del termine, se a tempo determinato.

La definizione degli obiettivi appare utile anche per la definizione delle modalità e dei tempi di esecuzione della prestazione che dovranno, così, essere rapportati proprio alla realizzazione degli obiettivi. Resta, però, fermo il disposto dell’art. 18, comma 1, l. n. 81/2017 sul rispetto dei limiti di durata massima giornaliera e settimanale della prestazione lavorativa, secondo quanto stabilito dalla legge e dalla contrattazione collettiva. Sicché, la definizione richiesta dall’accordo interviene sulla collocazione della prestazione nell’arco del limite di durata massima della giornata lavorativa, prevedendo anche le fasce di contattabilità del lavoratore, al chiaro, ma implicito, fine della garanzia della continuità del servizio e dell’efficienza dell’azione amministrativa.

L’accordo deve individuare, anche, le modalità ed i tempi di esercizio del diritto alla disconnessione di cui il lavoratore agile della p.a. è titolare in base all’art. 2, comma 1-bis, d.l. 13 marzo 2021, n. 30, convertito con modificazioni dalla legge 6 maggio 2021, n. 61, così da assicurare la piena effettività di tale diritto.

Il D.M. dispone, poi, che per i soggetti titolari di funzioni di coordinamento e controllo dei dirigenti e dei responsabili dei procedimenti amministrativi la prestazione deve essere svolta, in via prevalente, nella modalità in presenza.

Infine, si prevede, al fine dell’omogenea attuazione delle misure analizzate, l’adozione di specifiche linee guida, oggetto di previo confronto con le organizzazioni sindacali, per gli aspetti inerenti la fornitura di strumenti tecnologici adeguati al personale in lavoro agile e per quanto concerne la rotazione del personale impiegato in presenza, in caso di necessità dovute a misure di carattere sanitario.

Si avvia, così, una nuova veste del lavoro agile che va ad affiancarsi, direi “saltuariamente”, alla modalità in presenza e che è volta a garantire la continuità dell’azione amministrativa e la misurazione, per obiettivi, della prestazione lavorativa svolta.

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