La povertà dei bambini: oltre la misurazione di redditi e consumi

Raffaela Milano richiama l’attenzione sul fatto che la povertà dei minori ha molte dimensioni e si concentra su quella educativa. Quest’ultima, intesa in senso ampio, consiste nella privazione della possibilità di apprendere e di sviluppare capacità, talenti e aspirazioni. Milano documenta l’estensione e la gravità di questa povertà nel nostro paese, ne illustra le conseguenze e indica le strade da seguire per contrastarla, soffermandosi su quelle che Save the children sta percorrendo.

La povertà vissuta dai bambini non è la copia, in miniatura, di quella degli adulti. Ha caratteristiche peculiari e richiede analisi e politiche mirate. Ma ancora oggi, in troppi casi, i bambini e gli adolescenti in povertà sono considerati – sia dal mondo della ricerca che dalle istituzioni – solo come un’appendice del loro nucleo familiare, e non riconosciuti come autonomi portatori di diritti (children as independent rights-holders come invita a fare Raccomandazione della Commissione Europea Investing in Children: breaking the circle of disadvantage del 20 febbraio 2013). I dati ci dicono che la crisi in Italia ha colpito in modo più duro proprio i più piccoli. I bambini e gli adolescenti che, nel nostro paese, vivono in “povertà assoluta”, ossia secondo l’Istat, non dispongono dei beni e servizi essenziali per la loro vita quotidiana, nel 2013 erano più di un milione e quattrocentomila, il doppio rispetto al 2009. Poco sappiamo, però, delle effettive conseguenze che la condizione di povertà ha sulle diverse dimensioni della loro crescita, e di come sta ipotecando il loro futuro.

La povertà “educativa”. Uno dei volti più insidiosi della povertà minorile è quella che, con Save the Children, definiamo “povertà educativa”: la privazione della possibilità di apprendere e di sviluppare capacità, talenti e aspirazioni. Dall’esperienza diretta sul campo, osserviamo come, per i bambini e i ragazzi, povertà significhi prima di tutto riduzione delle libertà di scelta, chiusura di orizzonti, impossibilità di fissare e raggiungere traguardi. La privazione della possibilità di apprendere implica di fatto l’essere escluso dall’acquisizione delle competenze necessarie per vivere in un mondo caratterizzato dall’economia della conoscenza, dalla rapidità, dall’innovazione. Allo stesso tempo, la povertà educativa limita anche le opportunità di crescita dal punto di vista emotivo, delle relazioni con gli altri, della scoperta di se stessi e del mondo. Colpisce ad esempio, su quest’ultimo punto, la testimonianza di tanti ragazzi che vivono nei quartieri periferici di città che non conoscono e che non hanno mai visitato, e dalle quali si sentono del tutto tagliati fuori (“il mio quartiere è un circuito chiuso” riassume bene il problema un adolescente del quartiere Perrino di Brindisi). La mancanza di spazi di vita e di crescita, l’impossibilità di muoversi e di viaggiare sono considerati dai ragazzi come una discriminazione più grave della stessa povertà economica delle loro famiglie (Cfr. Save the Children, Gli orizzonti del possibile. L’Atlante dell’Infanzia (a rischio) in Italia, dicembre 2014www.savethechildren.it).

Tra gli effetti più evidenti della povertà educativa vi è il fallimento formativo: nel 2013, il 17% dei ragazzi e delle ragazze abbandona gli studi con il solo diploma di terza media (Eurostat, EU SILC 2014) e il rischio di dispersione scolastica è strettamente legato al livello di istruzione dei genitori e alle condizioni economiche familiari, mentre la scuola non riesce a riequilibrare queste distanze di partenza.

La povertà educativa non riguarda però solo la scuola, ma tocca tutte le dimensioni della crescita. Considerando il 2013, quasi la metà dei minori (47,9%) tra i 6 e 17 anni non ha letto nemmeno un libro nell’ultimo anno eccetto quelli scolastici, la maggioranza non ha visitato un museo (60,8%), un’area archeologica (73,7%), non è andata a teatro (72,1%), non ha ascoltato un concerto (84,9%); quasi un minore su quattro (28%) non pratica alcuna attività fisica (Istat, Aspetti della vita quotidiana 2014 e per un approfondimento sul tema cfr. Save the Children, La Lampada di Aladino, maggio 2014, www.savethechildren.it) e, nella generazione 2.0, una numero non irrilevante di ragazzi e ragazze (circa il 10%) è “disconnesso” da internet (Istat, I cittadini e le nuove tecnologie, 2014).

Un indice regionale per misurare le diseguaglianze educative. Utilizzando quattordici indicatori relativi sia al contesto scolastico che extrascolastico, Save the Children, con l’aiuto di un gruppo di esperti, ha provato a costruire un primo “Indice di povertà educativa” e lo ha applicato alle regioni italiane (l’Indice, presentato in La Lampada di Aladino è stato costruito anche con il coinvolgimento di 200 adolescenti di diverse città). L’analisi dei singoli indicatori ha messo in luce aspetti specifici e deficit di ciascuna realtà. I risultati nel loro complesso rivelano, com’era del resto prevedibile, il forte gap educativo che colpisce le regioni del sud e le isole, cioè le regioni dove è più alto il tasso di povertà economica. Come in un circolo vizioso, dunque, la povertà educativa alimenta quella economica e viceversa. E in buona sostanza, l’Indice ci mostra un paese che offre ai bambini meno opportunità proprio dove ce ne sarebbe più bisogno.

Sono molti, in ogni caso, i dati ancora mancanti per avere un quadro esauriente del problema. Un contributo potrebbe arrivare dal completamento della anagrafe scolastica, mentre resta l’esigenza di una raccolta più sistematica di informazioni sulla povertà minorile, nelle sue molte articolazioni, che coinvolga nelle analisi, con modalità appropriate, gli stessi protagonisti, cioè i bambini e gli adolescenti.

Gli interventi necessari subito. E’ necessario che la lotta alla povertà educativa divenga una misura strategica per l’uscita dalla crisi, con un piano articolato di contrasto, di breve, medio e lungo periodo. Un punto di partenza dovrebbe essere la costruzione di una rete di servizi socio educativi per la prima infanzia, accessibili e di qualità, visto che il divario educativo si forma nei primissimi anni di vita.

In termini più generali, è essenziale che si mobilitino sul contrasto alla povertà educativa in modo integrato non solo le risorse del sociale, ma anche quelle della scuola e delle altre politiche pubbliche, a partire dalle politiche urbane e della mobilità, per superare quella “segregazione spaziale” che i ragazzi avvertono in modo tanto acuto. Da dove partire? I dati individuano con precisione i luoghi dove si cumulano tutti gli elementi di svantaggio. In queste zone, con un investimento mirato, potrebbero attivarsi aree ad alta densità educativa, sul modello delle zones d’éducation prioritaires francesi, con la realizzazione – monitorata e valutata in modo rigoroso – di piani integrati di offerta educativa, riqualificazione ambientale, accessibilità gratuita a servizi quali la mensa scolastica e ad attività culturali e sportive extrascolastiche.

Le realtà civiche già all’opera. Un elemento di fiducia, in un quadro tanto critico, per l’attivazione di un piano nazionale e locale di questo tipo è dato dalle tantissime realtà che già oggi sono al lavoro per combattere questa piaga. Chi apre le scuole il pomeriggio, chi anima le biblioteche e le scuole popolari di musica e di teatro, chi si prende cura delle aree verdi, chi riqualifica aree degradate per restituirle al gioco dei bambini, chi promuove accoglienza e dialogo contro le ondate di cinismo e di paura. Non si tratta di poche anime belle, ma di un grande bacino di competenze e di energie da coinvolgere e sul quale fare leva. Con alcune di queste realtà territoriali, Save the Children sta attivando, nelle periferie deprivate, i “Punti Luce”, spazi dove bambini e adolescenti studiano, giocano, vivono il movimento, lo sport, l’amore per la lettura, la musica, la bellezza, la socialità. I minori in condizioni accertate di grave povertà ricevono inoltre una dote educativa, cioè un piano formativo personale che consente ad esempio l’acquisto di libri e materiale scolastico, l’iscrizione a un corso di musica o sportivo, un soggiorno estivo o altro ancora, sulla base delle inclinazioni e dei desideri di ognuno. Sono già undici i “Punti Luce” attivi. Essi operano a Catania (San Giovanni Galermo), Palermo (Zisa), Bari (quartiere Libertà), Brindisi (Perrino), Gioiosa Ionica, Scalea, Napoli (Sanità), Roma (Ponte di Nona), Genova (Sestri Ponente), Milano (Giambellino) e Torino (Le Vallette). Altri apriranno nel 2015. Luci che si accendono per dimostrare che un cambiamento è possibile e che la povertà educativa può essere sradicata.

 

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