La politica industriale del Commissario europeo Altiero Spinelli

Vincenzo Russo ricostruisce il tentativo compiuto nel 1972 da Altiero Spinelli di dare alla Commissione europea strumenti di politica industriale e regionale in grado di contrastare gli squilibri territoriali nati anche dalle politiche liberiste adottate. Russo ricorda che l’evento principale fu la Conferenza di Venezia e che nel 1973 fu creato, con limitate risorse, il fondo per la politica regionale che non diede risultati rilevanti, e auspica che dall’insuccesso di quell’esperienza possano trarsi, a oltre 40 anni di distanza, utili insegnamenti

A livello europeo si ricomincia a parlare timidamente di politica industriale e perciò  può essere utile ricordare il tentativo che Altiero Spinelli, allora Commissario europeo agli Affari Industriali, intraprese  oltre 40 anni fa per spingere l’Europa a dotarsi di questa politica.  Quel tentativo e il suo insuccesso, dovuto alla fiducia nelle virtù taumaturgiche del libero mercato, possono essere di insegnamento per il presente.

E’ utile ricordare alcuni eventi che precedettero quel tentativo.  Nel 1961 si tenne una conferenza sulle economie regionali  cui fece seguito un lungo lavoro degli esperti (Cfr.  “La politica regionale nella CEE. Relazioni dei gruppi di esperti”, Bruxelles, luglio 1964) e successivamente, l’11 maggio del 1965  la presentazione al  Consiglio dei ministri della Cee  di una prima comunicazione sull’argomento. Nel 1969 la Comunità pubblicò  il primo  documento  sulla politica regionale.

Nel frattempo era sorto, a livello comunitario, un Comitato per la politica economica a medio termine e all’inizio del 1967  il Consiglio dei ministri approvò il  primo programma che comprendeva un capitolo sulle politiche regionali in cui si sottolineava  la necessità di coordinarle con quelle nazionali.

A maggio del 1970 il commissario  Colonna di Paliano presentò  il documento “La politica industriale della Comunità”, meglio  noto come “Memorandum Colonna” che ricevette molte critiche e che  indicava le seguenti linee guida della politica industriale comunitaria:  a) il completamento del mercato interno con 3 delle 4 libertà fondamentali:  b) la piena realizzazione della libertà di circolazione delle merci; c)  la liberalizzazione dei mercati pubblici a livello europeo; e d)  la libera circolazione dei capitali.  Il documento prevedeva inoltre la promozione  1) della collaborazione comunitaria nel campo  della  ricerca e sviluppo;  2) di settori industriali innovativi;  e  3) di ristrutturazioni industriali verso una maggiore concentrazione.

Nell’autunno del 1971,  l’Ufficio Statistico della Comunità  pubblicò un Rapporto dal quale  risultava che la popolazione era sempre più concentrata  nelle regioni più sviluppate e che si stava verificando un travaso di forza lavoro dall’agricoltura all’industria e ai servizi. Più in particolare,  il Rapporto indicava che i posti di lavoro erano diminuiti in 45 delle 100 regioni della CEE; 16 delle quali erano italiane.

Va ricordato che  nel febbraio 1970, era stato pubblicato il Rapporto Pirelli che animò per alcuni anni il dibattito sul rinnovamento dell’organizzazione datoriale,  sul rapporto tra Industria e società e sulle nuove relazioni industriali. Ma da lì a poco il Rapporto fu lasciato cadere dalla Confindustria.

In questo contesto, nei primi mesi del 1972,  il Commissario Spinelli mise in moto il meccanismo di consultazione e concertazione che doveva portare  alla Conferenza di Venezia nel mese di Aprile.  In quello stesso anno la Commissione elaborò le prime linee-guida di un programma comunitario per l’ambiente e il  Club di Roma, promosso da Aurelio Peccei, pubblicò, alla vigilia della prima grande Conferenza delle Nazioni Unite sull’ambiente tenutasi a Stoccolma, un Rapporto commissionato al System Dynamics Group del MIT, con un titolo molto chiaro: “The Limits to Growth” (I limiti della crescita). Tutto ciò aiuta a comprendere il titolo della  Relazione introduttiva di Altiero Spinelli alla Conferenza di Venezia (Pubblicata dalla Rivista “Il Mulino” nel maggio-giugno 1972): Lo sviluppo industriale e il problema ecologico

La Conferenza durò due giorni dei quali ho un ricordo diretto poiché vi partecipai come esperto, grazie a Mario Didò. In realtà, poiché allora collaboravo con l’Ufficio studi economici della CGIL, contribuii alla redazione di uno  documenti preparatori della Conferenza. Ricordo che l’organizzazione prevedeva che si interloquisse con  un controrelatore prima della Conferenza e ciò fu per noi occasione di uno scambio molto positivo con un esperto inglese.

Nei due giorni della Conferenza le parti sociali si confrontarono tra loro e con gli esperti c.d. indipendenti. Allora la concertazione era d’obbligo, visto che i sindacati erano al massimo del loro potere negoziale con piattaforme di ampio respiro che non si occupavano solo di salari.

Oggetto principale di analisi era la politica industriale della CEE, intesa in senso molto ampio,  ed i suoi rapporti con la società contemporanea. Si trattava di prendere atto del fallimento dell’approccio liberista fino ad allora seguito dalla Commissione: qualche intervento nelle infrastrutture, qualificazione e, soprattutto, mobilità della manodopera. Tra le questioni da discutere vi erano le critiche mosse al Memorandum Colonna e al suo obiettivo fondamentale: la creazione di  campioni europei in grado di competere con le grandi imprese multinazionali, che richiedeva fusioni e concentrazioni.

Pur preoccupato dei problemi dell’ambiente, della biosfera Spinelli prendeva  però  le distanze dai sostenitori della decrescita, ritenendola possibile per singoli individui ma  non per la società e/o per l’umanità e  considerava quei problemi   espressione delle tensioni tra natura e società che si risolvevano in esternalità da includere nel calcolo del benessere sociale.

 Nella  sua visione occorreva programmare interventi strutturali in tutti i settori dell’economia reale tenendo conto anche della necessità di  superare gli squilibri territoriali, intersettoriali e intrasettoriali. In breve, Spinelli vedeva una stretta correlazione tra la politica industriale e quella regionale e cercava di tenere conto del loro impatto sull’ambiente e sulla qualità della vita.

Come sottolineò Spinelli,  allora lo sviluppo economico si poneva ancora in termini di sviluppo industriale;  tuttavia, questa equazione (identità), fino ad  allora pacifica, iniziò ad essere sottoposta a dura critica da parte degli ecologisti.

E anche  da parte sindacale si diceva che l’industrializzazione era responsabile dell’inquinamento, del deterioramento dell’ambiente ecologico, dello spopolamento delle regioni agricole oltre che dell’approfondimento del divario tra le regioni c.d. centrali e quelle periferiche, del peggioramento delle condizioni di lavoro, della intensificazione dei ritmi.

Dagli effetti diretti ed indiretti del processo di integrazione si  faceva discendere la necessità che la CEE desse un contributo non marginale al finanziamento dello sviluppo delle aree arretrate.

L’ostacolo principale era la Politica Agricola Comune  che assorbiva l’86% del bilancio della CEE.

Anche allora si constatava che alla crescente integrazione delle economie nazionali, non aveva corrisposto un adeguato sviluppo delle istituzioni comunitarie e ciò limitava  gli strumenti necessari per la condotta della politica economica.

Per dotare la  CEE  di adeguati strumenti di intervento, come veniva richiesto, occorreva  una riforma delle istituzioni comunitarie  che, allora, nessuno sembrava volesse affrontare.

Spinelli  aggredì con coraggio e determinazione questi problemi allargando il loro orizzonte a livello planetario e richiamando l’attenzione di una redistribuzione della ricchezza tra l’Europa e i PVS ben più ampia di quanto si facesse allora. Inoltre, egli  riteneva necessario “l’accrescimento delle capacità industriali di questi Paesi e l’apertura dei nostri confini ai loro prodotti citando l’adozione unilaterale delle preferenze generalizzate”.

Ciò implicava che la “nostra politica industriale  dovesse affrontare una sfida nuova e senza precedenti…. Quella di aiutare e guidare  i cambiamenti strutturali nella varie industrie in modo che la nostra società non ne soffrisse”….. è indicò i settori già in crisi: il tessile, la cantieristica, l’elettronica ai quali altri se ne aggiungeranno a breve, a iniziare dalla siderurgia.

La mancanza di una vera e propria politica industriale e della ricerca a livello comunitario e dei paesi membri, ha aggravato lo squilibrio nella divisione internazionale del lavoro.  In particolare le imprese americane dominavano in alcuni settori in forte sviluppo (chimico, elettronico, aeronautico , aerospaziale, della metallurgia d’avanguardia, ecc.) mentre gran parte dell’industria europea era concentrata nei settori in crisi (estrattivo, tessile, cantieristico, ecc.)

Tra i problemi che doveva affrontare la politica industriale vi era quello del controllo dell’attività delle imprese multinazionali e quello di dare concretezza al concetto di sviluppo in senso qualitativo. Con questo termini in Italia si indicava la necessità di privilegiare i consumi sociali rispetto a quelli individuali – come testimoniavano il Piano Giolitti poi Pieraccini, il Progetto ’80 e i documenti di preparazione del II piano quinquennale 1971-75 – ma livello europeo occorreva andare oltre e definire  le possibili linee di  un ambizioso modello europeo di sviluppo.

Ponendosi questo problema, Spinelli ricorda che nel Trattato di Roma, preoccupato soprattutto di rimuovere le  barriere doganali e non, la politica industriale, è assente  , e sottolinea che  il bisogno di questa  politica emerse assieme alla consapevolezza  che occorre  l’ integrazione dell’industria europea per sfruttare appieno la dimensione continentale, l’apertura dei mercati pubblici, l’integrazione delle politiche energetiche e  tecnologiche e,  più generale,  è necessario  governare  lo sviluppo economico.  Se la crescita e i suoi limiti restano temi essenziali allora –  afferma Spinelli – abbiamo bisogno di saggezza,  di direttive e di conoscenza fondamentale  per definire le  priorità nell’impiego delle ricchezze che la Comunità produce.

“Sorge così tutta la problematica delle nuove priorità fra consumo pubblico e consumo privato, fra investimento industriale e investimento pubblico, tra condizioni di lavoro in fabbrica  e  ricerca di una migliore qualità della vita, anche  in termini di democrazia industriale , di partecipazione democratica alle decisioni strategiche delle grandi imprese e delle multinazionali presenti nella Comunità”.

Con riguardo alle politiche per la  ricerca, Spinelli osservò che la loro collocazione a livello nazionale si rivelava sempre più inadeguata; tali politiche dovevano dimensione comunitaria e dovevano utilizzare  anche lo strumento delle imprese e delle commesse pubbliche. D’altro canto, gli organismi di ricerca pubblici e privati dovevano, in alcuni casi, essere opportunamente riformati e rinnovati.

Nella primavera  del 1972 erano già  iniziati gli incontri preparatori per il vertice di ottobre a Parigi, a cui erano stati invitati i tre nuovi paesi membri (Regno Unito, Danimarca, Irlanda). Le aspettative erano di vario tenore,   secondo quelle più realistiche sarebbe stata  confermata  la necessità di proseguire per tappe nel processo di integrazione monetaria e sarebbero stati assunti  impegni formali su altri temi ed in particolare sulla politica regionale, uno dei temi centrali  della Conferenza organizzata da Spinelli.

La decisione più importante presa a  Parigi fu la creazione di un fondo speciale per la politica regionale da realizzare entro l’anno successivo. D’altro canto, la concezione della politica industriale elaborata alla Conferenza  di Venezia raccolse  ampi consensi tra le parti sociali,  gli esperti e l’opinione pubblica.

Il messaggio, semplice ma  fondamentale, di quella Conferenza era che i processi di ristrutturazione dell’economia europea già nei primi anni ’70 rendevano necessario agire direttamente sulle strutture produttive,  agricole e industriali, sulla ricerca scientifica e tecnologica,  sulle comunicazioni e le infrastrutture pubbliche. E occorreva farlo con attenzione all’ambiente e allo sviluppo umano.

Per vari motivi questo non è accaduto nei decenni successivi. La speranza è che i tempi siano ora maturi per dare corso a alcune delle idee di Spinelli e alle raccomandazioni della Conferenza di Venezia di oltre 40 anni fa.

* Una versione più estesa di questo articolo comparirà sulla Rivista di Studi Internazionali.

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