La politica economica e l’economia comportamentale: non solo nudge

Eugenio Levi fa il punto sui tentativi, compiuti in Europa, di rinnovare l’intervento pubblico utilizzando i risultati dell’economia comportamentale. Levi si basa su un recente Rapporto del Joint Research Centre della Commissione Europea che documenta come i diversi paesi europei stanno affrontando il problema dell’elaborazione e della realizzazione delle politiche comportamentali. Illustrando altri aspetti del Rapporto, Levi sottolinea l’importanza di non limitare queste politiche ai nudge di cui si è molto discusso di recente.

I risultati raggiunti dall’economia comportamentale hanno alimentato l’interesse dei governi per le politiche ispirate al “paternalismo libertario”. L’economia comportamentale studia, a partire dal pionieristico studio del premio Nobel Kahneman e di Tversky del 1974, le “anomalie” nei meccanismi di scelta individuale rispetto alla razionalità economica neoclassica. Il “paternalismo libertario”, proposto da Sunstein e Thaler nel 2003, si basa sull’idea che lo Stato debba dotarsi di nuovi strumenti non coercitivi di intervento, i cosiddetti nudge (o “spinte gentili”), che consistono nel modificare il contesto di scelta a parità di incentivi economici, modificando le opzioni di default o i framing cognitivi, fornendo specifiche informazioni, richiamando le norme sociali, concedendo periodi di riflessione prima della scelta, e così via.

Sul tema, il Menabò ha già pubblicato due Schede, una sui Behavioural Insights Unit del governo inglese e l’altra sul Rapporto 2015 della Banca Mondiale. Ora ci occupiamo della discussione in atto su questo tema nella Commissione Europea, e più precisamente del recente rapporto “Behavioural insights applied to policy” presentato a Bruxelles in un’iniziativa con Tibor Navracsics, commissario UE all’Educazione, Cultura e Sport e responsabile del JRC (Joint Research Centre), organo ufficiale di studi della Commissione Europea.

Si sono di recente diffusi in Europa alcuni nudge, seppure in maniera disordinata. Iniziamo accennando alla misura forse più adottata, anche perché incoraggiata dalla Direzione generale per la fiscalità e l’unione doganale della UE: la lotteria sulla fiscalità. A Malta, in Slovacchia, Portogallo, Romania e Polonia, gli scontrini fiscali riportano un codice che permette di partecipare a una lotteria, che dispenserà premi solo a pochi fortunati. Sfruttando l’euristica cognitiva della sovrastima delle basse probabilità, questa misura ha portato, in tutti i paesi, ad un maggior rispetto degli obblighi fiscali.

Un primo aspetto interessante del rapporto è costituito dal resoconto e dall’analisi delle diverse forme istituzionali adottate dai vari paesi per affrontare la questione delle competenze necessarie a livello governativo per elaborare e implementare politiche di tipo comportamentale. Le strade scelte dai vari paesi – peraltro non sempre caratterizzate da una visione organica – sono diverse per i tassi di sostegno politico, per le risorse impegnate, per le competenze disponibili e per il grado di integrazione con i ministeri.

Precursore e capofila è il BIT inglese (Behavioural Insight Team), costituito nel 2010 in seno al gabinetto del Primo Ministro e composto prevalentemente da psicologici ed economisti. Il BIT gode di ampio sostegno politico, di notevole autonomia e di ingenti risorse, tanto che nel 2015 è diventato una società mista pubblica-privata che opera anche in Guatemala, Singapore e Australia e che svolge anche una intensa attività di ricerca: in queste settimane sta lanciando una borsa di dottorato in collaborazione con l’University College di Londra.

L’Olanda è stato il secondo paese in Europa a promuovere politiche di tipo comportamentale, ma, diversamente dalla Gran Bretagna, non ha una struttura centralizzata. Solo nel 2014 si è creato il Behavioural Insight Network, che è una federazione di 11 differenti strutture ministeriali e organismi regolatori. Questa soluzione consente una buona integrazione con i ministeri anche rispetto al disegno e alla valutazione di politiche tradizionali; il suo difetto è, però, una limitata uniformità nella metodologia e nei progetti.

In Germania esiste dal 2015 un piccolo staff in seno all’Unità per la Pianificazione delle Politiche nella Cancelleria Federale, composto da ricercatori con diverse competenze (scienziati sociali empirici e comportamentali, giuristi, e sperimentalisti). Le risorse sono ancora scarse e c’è il rischio che l’autonomia dei Lander limiti fortemente l’ambito di azione dell’Unità, ma è troppo presto per esprimere giudizi. In Francia non è stata creata una nuova struttura specializzata, ma si è tentato di incorporare sempre più un approccio comportamentale nelle modalità di lavoro del Segretariato Generale per la Modernizzazione (SGMAP), un organismo nell’Ufficio del Primo Ministro. Questa struttura collabora con tutti i dipartimenti ministeriali, quindi il suo raggio d’azione potenziale è molto ampio. L’SGMAP ha promosso un primo esperimento nel 2014 per aumentare il numero di dichiarazioni fiscali online inviando messaggi via internet; inoltre, ha avviato un progetto per ridurre l’uso del telefono alla guida di autoveicoli. In più, ha creato nel 2015 una fondazione, NudgeFrance, che ha promosso in occasione della COP21 sul clima un concorso che ha coinvolto varie istituzioni accademiche per l’ideazione di nudge efficaci sui problemi connessi ai cambiamenti climatici. L’SGMAP non ha particolari risorse o competenze interne per la ricerca, per cui spesso affida progetti specifici a enti privati esterni.

In Finlandia, invece, l’ufficio del Primo Ministro ha avviato nel 2015 un progetto chiamato “Design for Government”, volto a utilizzare la metodologia sperimentale e l’approccio comportamentale nell’analisi di tutte le politiche economiche. Questo progetto si è concluso e ha portato alla scelta di creare un piano annuale di analisi, valutazione e ricerca sulle politiche pubbliche. I primi due studi riguardano l’attuazione di uno schema di reddito universale garantito e la valutazione della necessità di prevedere fondi per esperimenti a breve termine, a livello locale o nazionale.

Anche Danimarca ed Austria stanno muovendo i primi passi in questa direzione. La Danimarca non ha una struttura centralizzata. Alcuni ministeri si stanno muovendo autonomamente; in particolare, l’Authority per il Business ha creato un’unità ad hoc. L’Austria sta creando un’unità su modello della BIT inglese. Anche alcune grandi città europee come Copenaghen hanno la loro unità. In Italia, il comune di Milano e la Regione Lazio stanno istituendo gruppi di lavoro.

Passando alle proposte formulate, l’obiettivo del rapporto è favorire il passaggio dagli sperimentalismi diffusi e poco consapevoli ad un approccio più ragionato e sistematico, che conduca a una incorporazione dei risultati delle scienze comportamentali nelle politiche di welfare tout court. A tal proposito, centrale è il concetto di “behavioural insights”, cioè l’uso del complesso dei contributi provenienti dalle scienze comportamentali, superando l’identificazione delle politiche a carattere comportamentale con il “paternalismo libertario” e i nudge.

Rispetto al superamento del “paternalismo libertario”, la tesi è che il contributo delle scienze comportamentali alla politica economica non si esaurisca nei nudge ma possa essere rilevante per tutte le politiche di welfare (regolazione, incentivi, requisiti informativi, ecc.) se i comportamenti individuali sono affetti da razionalità limitata e da motivazioni non strumentali. I nudge, d’altro canto, rischiano di incorrere in fallimenti dovuti alla mancanza di allineamento fra gli incentivi economici segnalati dai prezzi e gli input che rimandano alle norme sociali, all’altruismo e alla reciprocità. L’esempio contenuto nel rapporto concerne le politiche ambientali: se il prezzo del petrolio cade, l’efficacia di semplici nudge nel modificare i comportamenti legati all’uso di autoveicoli, al consumo di prodotti alimentari provenienti da lontano, e all’uso non parsimonioso dell’energia potrebbe essere fortemente ridotta, perché i nudge dovrebbero indurre comportamenti in contrasto con quelli resi convenienti dai prezzi.

La proposta è di integrare i contributi delle scienze comportamentali in tutto il processo di definizione delle politiche, per renderle il più possibile coerenti con l’obbiettivo che si propongono, a prescindere dagli strumenti usati. In generale, ogni obbiettivo di politica economica dovrebbe essere perseguito dai governi con un mix di politiche tradizionali e comportamentali, sulla base delle preventiva conoscenza delle reazioni individuali a tali politiche. Non si può neanche escludere che talvolta sia preferibile un intervento tradizionale o addirittura nessun intervento. In definitiva, si propone una completa integrazione delle “spinte gentili” con le più tradizionali forme d’intervento pubblico. Inoltre, tutte le scienze comportamentali possono essere utili, anche la psicologia e le neuroscienze. In breve, il punto centrale è che “l’efficacia delle politiche pubbliche spesso dipende da come le persone reagiscono ad esse e da quanto il reale comportamento delle persone è preso in considerazione quando si definiscono le politiche”. Ciò implica, rispetto a tutti i tipi di interventi, il riferimento a modelli di scelta individuale più realistici rispetto a quello dell’homo oeconomicus.

Infine, sotto il profilo delle prassi metodologiche, vengono suggeriti alcuni miglioramenti rispetto a quelle seguite dal BIT inglese. In breve, bisognerebbe ampliare i compiti delle “behavioural units” in Europa attraverso: 1) la condivisione dei risultati al fine di replicare in contesti diversi gli interventi di successo e comprendere le cause dei fallimenti, 2) l’intensificazione dei rapporti con il mondo scientifico per arricchire la cassetta degli attrezzi del pianificatore pubblico e 3) il ricorso non solo a studi randomizzati e controllati per la valutazione ex ante delle politiche, ma anche a ricerche qualitative, sondaggi e quasi-esperimenti.

In conclusione, il Rapporto individua almeno tre ambiti di lavoro a livello europeo per i prossimi anni. Il primo riguarda quello che organismi europei, come il JRC e lo EU Policy Lab, possono fare su questi temi. Le risorse e le competenze di cui dispongono permette loro di svolgere a livello europeo l’analisi degli elementi comportamentali nelle policy, dell’evidenza empirica e di specifiche soluzioni. Il secondo ambito riguarda l’implementazione della metodologia e dei risultati delle scienze comportamentali nella Better Regulation Agenda, che è un processo di revisione generale della regolazione che la UE sta portando avanti. Il terzo è la creazione di dataset comportamentali di grandi dimensioni in collaborazione con ricercatori scientifici, policy-makers e, possibilmente, le imprese.

In conclusione, il rapporto individua alcuni punti critici nell’applicazione dei nudge, in un momento in cui cresce l’interesse dei governi e l’attenzione dell’opinione pubblica verso questo strumento. In particolare, invita a non restringere il focus sui nudge e a favorire la sua integrazione con le politiche di welfare tradizionali, in modo da massimizzare il contributo che l’economia comportamentale può dare alla politica economica. Anche le proposte di revisione dei processi di policy sembrano andare nella giusta direzione, cioè quella di proiettare le politiche comportamentali verso uno stadio più maturo e di creare le condizioni per una loro armonizzazione a livello europeo. L’auspicio finale è che questa sia la strada giusta per migliorare la qualità dell’intervento pubblico e la sua capacità di contribuire al benessere sociale.

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