La Politica Comune della Concorrenza in epoca Covid-19

Umberto Triulzi e Gianfranco Leonetti si occupano della politica della concorrenza europea in epoca Covid 19 e mettono in evidenza, con riferimento all’abolizione del divieto degli aiuti di Stato, i rischi di accentuazione delle asimmetrie presenti nel mercato interno europeo. In particolare gli autori ritengono che le imprese che operano nei Paesi più ricchi e meno indebitati riceveranno aiuti più consistenti e potranno uscire meglio dalla crisi. Le condizioni di parità tra le imprese verrebbero meno e la concorrenza europea sarebbe ulteriormente distorta.

In un articolo di Margrethe Vestager apparso su ilSole24ore (07.04.2021), il Commissario europeo per la concorrenza al suo secondo mandato, ha ricordato i non pochi vantaggi che il mantenimento di una situazione di concorrenza comporta per il mercato interno europeo. La concorrenza, sono le parole della Commissaria, assicura “che ogni impresa abbia la possibilità di competere equamente con le altre”. Se il potere economico resta nelle mani di poche imprese – oggi potremmo pensare al dominio delle big four nel web ma anche a tante altre imprese leader nei loro settori sui mercati internazionali -. si corre il rischio non soltanto di privare le imprese di minore dimensione degli stimoli a restare competitive ma anche di dipendere troppo da chi ha bilanci stratosferici e poteri decisionali a forte impatto economico e finanziario a livello globale, a cui non corrispondono obblighi sotto il profilo dell’assunzione di comportamenti socialmente responsabili né politiche di compliance di cui rendere conto ai governi e alle istituzioni dei paesi esteri in cui si opera.

Ma la politica della concorrenza all’interno dell’UE è veramente quella descritta dalla Vestager? L’UE sta oggi perseguendo e difendendo in modo adeguato la concorrenza, una delle quattro politiche comuni europee avviate con la firma dei Trattati di Roma del 1957? La domanda non è peregrina perché sono molti gli esempi di situazioni interne al mercato unico in cui si ha difficoltà a riconoscere la difesa della politica della concorrenza da parte delle Istituzioni europee. È sufficiente ricordare, pur non essendo questo il tema qui affrontato, come l’armonizzazione dei regimi fiscali dei paesi membri promossa dalla Commissione, in particolare l’imposizione diretta sui redditi delle persone fisiche e sui capitali, non abbia ridotto che in minima parte i divari esistenti.

Le misure di recente introdotte dall’UE a causa della pandemia per sostenere la ripresa degli Stati membri, costituiscono un ulteriore fattore di criticità con conseguenze difficili da immaginare sul ripristino delle regole fondamentali per il corretto funzionamento del mercato interno europeo.

Da marzo del 2020, la Commissione europea (CE), per contrastare la crisi economica, ha introdotto diverse tipologie di sovvenzioni statali per aiutare le imprese in situazioni di emergenza, a cui si sono aggiunte, dal gennaio 2021 con il Temporary Framework (TF), ulteriori sussidi per le imprese (saliti da 800 mila a 1,8 milioni di Euro per beneficiario e da 3 a 10 milioni di Euro per il contributo ai costi fissi), per le spese in R&S nel settore sanitario, la ricapitalizzazione per le imprese non finanziarie, il differimento per i pagamento delle imposte, il sostegno al reddito dei lavoratori dipendenti. Il Temporary Framework stabilisce i criteri che gli Stati membri devono applicare per la gestione degli aiuti ma spetta ai governi nazionali definire e notificare alla CE, in accordo all’art. 108 (3) e 107 (2) b del TUFE, le misure che si intendono adottare e che dovranno essere autorizzate dalla Commissione.

L’asimmetria nelle politiche di aiuti gestite dagli Stati membri è nella dimensione assunta dalle misure finanziarie, più elevata per gli Stati che hanno bilanci nazionali in grado di fare fronte alla crisi, più limitata per gli Stati con minori margini di manovra perché più indebitati. Oltre alle risorse previste dal NGEU (384 miliardi in forma di aiuti a fondo perduto e aiuti rimborsabili mediante strumenti finanziari e 320 miliardi in forma di prestiti), gli Stati membri sono stati autorizzati dall’UE a fornire aiuti di Stato alle imprese, con risorse proprie tratte dai bilanci nazionali, per un totale di 1.900 miliardi di euro. I principali beneficiari degli aiuti pubblici sono le imprese tedesche, con il 52% degli aiuti totali concessi, seguite, ma per importi più contenuti, dalle imprese italiane (con il 15%) e francesi (con il 14%). Gli aiuti notificati alla Commissione dagli Stati più piccoli variano dall’1 al 3% del totale. Anche i destinatari degli aiuti, imprese, lavoratori autonomi, agricoltori, ristoratori, operatori dello spettacolo ecc., e le somme loro erogate, divergono da Stato a Stato dando luogo ad un cocktail di interventi e di salvataggi pubblici che rappresentano una ulteriore alterazione delle condizioni di parità all’interno dell’UE.

Come sostenuto da alcuni autori (Motta, Peitz, CEPR Discussion Paper, 2020), il rischio derivante dalle differenze osservate negli importi autorizzati dall’UE per gli aiuti pubblici è quello di una accentuazione dei divari tra le aziende che hanno ottenuto aiuti consistenti e aziende dello stesso settore che operano in Stati con minori risorse finanziarie disponibili. Queste ultime rischiano di chiudere non perché meno efficienti ma perché non in grado di ottenere il sostegno necessario a superare la contrazione del fatturato e la crisi di liquidità. Le condizioni di parità tra le imprese europee vengono meno e con esse è la concorrenza che viene distorta.

Un secondo elemento di criticità è dato dal fatto che la normativa sui contributi finanziari riguarda i paesi dell’UE e non le imprese che provengono da Paesi extra UE. Queste ultime, disponendo di aiuti o trattamenti fiscali agevolati da parte dai propri governi, possono rafforzare la loro posizione nel mercato interno europeo con l’acquisizione di aziende o partecipando ad appalti pubblici dell’UE. Negli ultimi dieci anni sono aumentate le partecipazioni di imprese estere nelle società dell’UE non solo da parte degli investitori tradizionali, Stati Uniti, Svizzera, Australia e Giappone, ma anche investitori in provenienza dalla Cina, Hong Kong, India, e più di recente Russia ed Emirati Arabi Uniti. Nel corso del 2019 l’Europa è stata interessata da un afflusso di Investimenti diretti esteri (IDE) pari ad oltre 7 trilioni di euro e non vi è dubbio che il mercato interno continui ad esercitare una grande opportunità per le imprese estere ma anche il rischio, in assenza di un effettivo potere di controllo da parte della Commissione sui regimi di aiuti dei Paesi non EU, di una crescita della concorrenza sleale.

I cambiamenti intervenuti a seguito del coronavirus, le tendenze in atto nello scenario europeo sempre più caratterizzato dall’invecchiamento demografico, dal degrado ambientale e dalle modifiche che hanno interessato il mercato del lavoro, unitamente alla necessità di disporre di strumenti di intervento per bloccare gli effetti distorsivi causati dagli aiuti concessi dai Paesi terzi, hanno creato un contesto favorevole per l’avvio di un progetto di riforme nell’UE. La Commissione ha inviato di recente una comunicazione al Parlamento Europeo e al Consiglio con la proposta di un piano di tassazione delle imprese per il XXI secolo (COM 2021, 251 final) finalizzato a porre fine non solo alle disparità nella tassazione delle imprese estere, ma a creare condizioni fiscali paritarie nel mercato unico per tutti i settori dell’economia.

Sono allo studio due diverse direttive per garantirne una attuazione uniforme negli Stati dell’UE, mentre per le imprese e i contribuenti europei, la Commissione propone una revisione della fiscalità su lavoro (che contribuisce con oltre il 50% al gettito fiscale complessivo dell’UE a 27), sull’ambiente, sulla proprietà, sui redditi da capitale (sia privati che societari), ma anche il ricorso a risorse proprie supplementari per finanziare le spese del NGEU. Si tratta di un piano d’azione di ampio respiro e le cui linee generali sono certamente da condividere. La Commissione, tuttavia, non affronta il problema, in assenza di una modifica del voto all’unanimità nel settore della tassazione, di come ottenere il consenso di molti Stati membri divisi sulle diverse proposte avanzate per una riforma fiscale tante volte annunciata ma mai giunta a termine.

Si ha motivo di ritenere che la politica comune della concorrenza, introdotta principalmente per limitare gli aiuti pubblici e impedire l’esclusione delle industrie manifatturiere più competitive dai mercati nazionali, necessiti di revisioni più profonde di quelle annunciate dalla Commissione per tenere conto delle trasformazioni e delle innovazioni che hanno interessato tutti i settori produttivi e l’intera economia europea. La Commissione deve tornare ad avere una interpretazione più severa e un’applicazione più rigorosa delle regole di condotta delle imprese nell’intento di salvaguardare l’ordinato funzionamento del mercato interno europeo impedendo alle politiche economiche degli Stati membri di produrre effetti distorsivi sulla concorrenza. Un’ ampia letteratura conferma che l’allentamento delle regole di concorrenza, come è avvenuto nella depressione degli anni Trenta o più recentemente con la grande crisi finanziaria, produce impatti negativi sulla produttività dei sistemi economici e sulla crescita

In epoca di politiche monetarie espansive e di momentanea sospensione delle regole della concorrenza e del Patto di stabilità e crescita, il rischio da evitare è ripercorrere esperienze simili a quelle avvenute di recente nell’Unione europea con il passaggio dalle regole del Bail-out alle regole del Bail-in. Gli Stati che erano intervenuti, dopo la grande crisi finanziaria, a salvaguardia delle proprie banche in difficoltà con consistenti interventi pubblici, sono stati i primi, superate le difficoltà interne, a chiedere il ritorno ad una rigida applicazione delle regole della concorrenza. Uno scenario simile potrebbe ripresentarsi al termine del Temporary Framework.

Gli interventi economici approvati dalle Istituzioni europee per accelerare la ripresa della crescita, costituiscono il pacchetto delle misure di stimolo economico più ingente mai finanziato dall’Unione Europea i cui effetti non potranno non produrre sostanziali mutamenti nei rapporti tra Stato, mercato e istituzioni intermedie a livello transnazionale (Bastasin, Europa 2020). Queste misure non sembra, tuttavia, che siano stati disegnate nella consapevolezza degli effetti di impatto sulla concorrenza, né si sono pianificati interventi per favorire una armonizzazione fiscale nei settori industriali considerati strategici (Pianta ed al. Sbilanciamoci, 2020) a tutela degli obiettivi individuati nel Next Generation EU, né tanto meno sono state progettate misure di accompagnamento per elidere gli effetti indotti dagli aiuti pubblici in danno delle condizioni di parità all’interno del sistema economico dell’UE.

Se in risposta alla crisi economica e sanitaria provocata dalla diffusione del Covid-19, la Commissione europea ha concesso agli Stati membri la piena flessibilità nell’applicazione della disciplina sugli aiuti di Stato, occorre ora programmare delle misure di phasing out graduali che tengano conto degli interessi delle economie più fragili dell’Unione europea e che riducano le asimmetrie createsi nel mercato.

L’intervento della Commissaria Vestager può essere, in conclusione, accolto con favore solo nella misura in cui la Commissione si doti di nuove norme e procedure per rendere il mercato interno più efficiente, vigili con più determinazione sull’applicazione di una politica della concorrenza rinnovata e, nel caso di manifeste violazioni, porti all’attenzione delle Istituzioni europee (Consiglio e Parlamento europeo), e se necessario alla Corte di Giustizia, l’organismo che assicura che il diritto dell’UE sia applicato allo stesso modo in tutti gli Stati membri, le situazioni in cui la mancata o inadeguata applicazione del diritto europeo impedisca l’equa competizione tra imprese. La strada da percorrere per uniformare i sistemi economici degli Stati membri e per giungere ad una politica fiscale equa e sostenibile in Europa è ancora lunga e in salita.

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