La nomina dei giudici costituzionali: un delicato e complesso bilanciamento

Ferdinando Tufarelli illustra le specificità della triplice provenienza dei componenti della Corte, ricollegandosi agli intenti dei costituenti in ordine al carattere della necessaria ed esclusiva collegialità delle decisioni, frutto della sintesi tra le diverse "anime" della Corte. Tufarelli si sofferma, poi, sui rischi che la difficoltà di raggiungere un accordo tra i partiti sulla scelta dei candidati pone alla nomina dei giudici da parte del Parlamento in seduta comune.

Rattrista e preoccupa che il Parlamento si autoprivi di una facoltà attribuitagli dalla Costituzione“. La frase pronunciata dal Presidente Napolitano, subito dopo l’esito negativo della diciassettesima seduta del Parlamento di martedì 7 ottobre per l’elezione dei due giudici costituzionali di nomina parlamentare, è la sintesi più chiara degli avvenimenti degli ultimi mesi.

La Corte costituzionale – o Consulta dal nome del palazzo dove ha sede in piazza del Quirinale – è in questo momento ancora una volta al centro della vita delle istituzioni e argomento di discussione. E’ questo un ruolo insolito e non adeguato per la Corte abituata a lavorare nel silenzio e ad essere conosciuta solo attraverso la lettura delle sue sentenze. L’attenzione che le è ora rivolta è dovuta, per l’appunto, ai ripetuti tentativi del Parlamento di giungere all’elezione dei due giudici designati ad integrare il collegio dei quindici.

Occorre precisare che in tutto questo periodo i lavori della Corte non si sono interrotti, poiché il collegio può continuare a lavorare anche con un numero di componenti inferiore a quindici, purché sia raggiunto un numero minimo di undici giudici. La situazione attuale rappresenta tuttavia una distorsione del sistema generato dal dibattito dei costituenti, il cui obiettivo era far sì che le decisioni della Corte fossero il risultato di un lavoro collettivo, frutto dell’integrazione fra i diversi apporti dei singoli componenti.

Si ricorda che la nomina parlamentare costituisce solo uno dei modi di elezione dei giudici alla Corte; un terzo dei giudici è eletto all’interno delle tre magistrature superiori (tre dalla Corte di Cassazione, uno dal Consiglio di Stato, uno dalla Corte dei Conti); altri 5 sono eletti dal Parlamento (Camera e Senato in seduta comune), con un voto a maggioranza dei due terzi dei componenti nei primi tre scrutini, di tre quinti dal quarto scrutinio in poi. Gli altri 5 giudici sono scelti dal Presidente della Repubblica. Il sistema di nomina, secondo l’art. 135 della Costituzione, è il risultato di un delicato equilibrio: i giudici devono essere imparziali e indipendenti, devono garantire il necessario livello di competenza tecnico-giuridica e portare all’interno della Corte diverse competenze ed esperienze.

La nomina dei giudici costituzionali da parte delle supreme magistrature permette di avere qualificate esperienze giudiziarie, persone non legate direttamente a scelte degli organi politici. I giudici di nomina parlamentare possono più facilmente, invece, portare all’interno della Corte esperienze e sensibilità presenti in Parlamento. I cinque giudici nominati dal Presidente della repubblica sono scelti, infine, in funzione d’integrazione e di equilibrio rispetto alle scelte effettuate dal Parlamento: è testimonianza di tale affermazione il fatto che sino ad oggi la presenza femminile all’interno della Corte è stata garantita solo dai diversi Capi dello Stato (agli inizi del prossimo mese di novembre il Presidente dovrà nominare due giudici in sostituzione di quelli che hanno terminato il mandato, eletti dal suo predecessore).

La nomina parlamentare, come si vede, è sicuramente quella esposta a maggior rischio d’insuccesso. Il numero assai elevato di voti richiesti fa sì che non sia la sola maggioranza a scegliere i giudici, ma che sia necessario l’accordo tra varie forze politiche presenti in Parlamento sui candidati a giudici. Lo stallo a cui stiamo assistendo conferma la difficoltà di convergenza di alti consensi sulle candidature e fotografa la complessità della relazione tra maggioranza e opposizione, ma soprattutto, le difficoltà generate da alleanze spesso fragili. In tempi non troppo lontani anche la nomina dei giudici De Siervo e Vaccarrella (maggio 2002) avvenne dopo diversi mesi, e anche in quell’occasione la criticità si originava a monte, ovvero in sede di accordo tra i gruppi parlamentari per la scelta del candidato. Il deus ex machina, in quell’occasione, fu proprio il prescelto dal partito di Forza Italia (l’ex ministro della giustizia Mancuso) che ritirò la sua candidatura uscendo polemicamente dal partito che lo aveva supportato.

La Corte è sicuramente un’istituzione poco conosciuta dalla generalità dei cittadini, sia per quanto concerne la sua composizione (art. 135 Cost.), che per le sue funzioni disciplinate direttamente dalla Costituzione (artt. 134 e 136 Cost.) ciononostante, sul piano dell’organizzazione costituzionale, è sicuramente all’apice degli organi di garanzia, e ciò in virtù della funzione di controllo di costituzionalità sulle leggi. Si ricorda peraltro che la Costituzione ha previsto l’istituzione della Corte e le sue funzioni fondamentali e gli effetti delle sue decisioni sulle leggi, ma ha rinviato a successive leggi costituzionali e ordinarie l’ulteriore disciplina della sua attività (leggi costituzionali n. 1 del 1948, n. 1 del 1953, n. 2 del 1967, leggi n. 87 del 1953, n. 20 del 1962, n. 352 del 1970, n. 131 del 2003, Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale 7 ottobre 2008). Solo nel 1955 è stata completata la prima composizione e il 23 aprile 1956 si tenne la prima udienza pubblica della Corte.

Il ruolo svolto dalla Corte all’interno dell’ordinamento assume un’importanza cruciale per l’ordinamento giuridico, poiché con le sue pronunce vengono eliminati dubbi interpretativi su disposizioni di legge o sull’effettiva competenza dei diversi organi dello Stato. Di particolare rilievo, poi, è il ruolo c.d. “di supplenza”, o quanto meno di integrazione, del legislatore e del Governo, assolto dalla Consulta in certe fasi di snodo istituzionale, come avvenuto a seguito della riforma del Titolo V della Costituzione del 2001. Com’è infatti ben noto, le pronunce della Corte hanno in molte occasioni, interpretato e definito le competenze dello Stato e delle regioni individuando i reciproci limiti.. Particolare sforzo è stato compiuto nel definire le materie e nell’individuare criteri che potessero indicare al legislatore nazionale e regionale gli ambiti delle rispettive funzioni.

I quindici giudici decidono tutto collegialmente, la Corte costituzionale è infatti l’unica istituzione della repubblica in cui la collegialità è una caratteristica decisiva. I giudici si riuniscono in camera di consiglio non solo per decidere la questione loro sottoposta, ma anche in seguito, per leggere la sentenza una volta che questa è stata redatta dal relatore. Va ricordato che anche tutta l’attività legata all’amministrazione della Corte è sottoposta a decisioni collegiali o da Commissioni composte da giudici che riferiscono della loro attività, non solo al Presidente del collegio, ma a tutti i giudici.

Il numero limitato dei giudici, il metodo collegiale e l’impegno esclusivo alla Corte (durante il mandato i giudici non possono svolgere alcuna attività professionale), fanno sì che la personalità dei giudici, strettamente intesa, acquisti un rilevo particolare. Ogni giudice è nominato per un mandato di nove anni (il più lungo fra le istituzioni repubblicane) e non è rieleggibile né prorogabile alla scadenza. Il funzionamento in composizione plenaria è reso possibile proprio dal numero non elevatissimo di componenti. Esso assicura, di massima, la coerenza degli indirizzi della Corte: negli organi di giustizia costituzionale che si suddividono in sezioni, infatti, queste possono facilmente esprimere indirizzi contrastanti fra di loro. Durante i lavori in Assemblea costituente, l’orientamento a favore di una Corte costituzionale le cui decisioni fossero il risultato di una discussione collegiale è strettamente connesso non solo alla decisione sulle diverse provenienze dei giudici, ma anche all’intenso dibattito sulla legittimazione della Corte ed in particolare se questa dovesse essere tecnica o politica. Il rispetto delle diverse provenienze all’interno del collegio è assicurato dal fatto che se un giudice cessa dal mandato anticipatamente, per morte o dimissioni o decadenza, questi è sostituito ad opera dello stesso organo che aveva designato il suo predecessore e dura in carica altri nove anni. E’ a causa di tale meccanismo che assistiamo ad uno sfasamento di date per cui il mutamento del collegio risulta sempre parziale e graduale, non producendo mai una brusca cesura fra una composizione e un’altra.

La collegialità è esaltata anche dal ruolo che l’Assemblea costituente ha individuato per il Presidente del collegio.
La Corte collegialmente elegge fra i propri componenti il Presidente a scrutinio segreto, e con la maggioranza assoluta (almeno otto voti); al fine di garantire il segreto del risultato delle elezioni, le schede alla fine della votazione vengono bruciate dagli stessi giudici all’interno della Camera di consiglio. Il voto del Presidente della Corte assume all’interno del collegio la stessa valenza di quello degli altri giudici, salvo il caso in cui vi sia parità di voti e quindi è considerato doppio. Fra i poteri che sono riconosciuti al Presidente vi è quello assai rilevante della ripartizione fra i giudici dei compiti di relatore sulle cause, nella fissazione dei calendari di lavoro: il c.d. “ruolo”. Si tratta di un compito delicatissimo che deve essere esercitato con particolare equilibrio, la scelta del giudice relatore di una causa è, infatti, di estrema importanza poiché è il relatore che studia approfonditamente la questione di legittimità, illustrandola poi ai colleghi in camera di consiglio, corredata da un’approfondita ricerca di giurisprudenza e di dottrina.

La lunga attesa per l’elezione dei due giudici si rivela di certo un danno per l’istituzione: il ripetersi di nomi e il continuo ripensamento offrono un’immagine della Corte – oltre che del Parlamento – che ne svilisce l’effettivo ruolo che questa assume all’interno del nostro sistema costituzionale. L’equilibrio dei lavori collegiali è assicurato proprio dal sistema di elezione, sistema che ad oggi non risulta modificato nella sua impostazione neanche dal disegno di legge costituzionale attualmente in discussione presso le camere (A.S. 1429 approvato dal Senato in prima deliberazione in data 8 agosto 2014).

Il collegio deve funzionare correttamente, al completo, al fine di poter avere decisioni che rappresentino le diverse sensibilità, non solo giuridiche: la Corte non può diventare “terreno per scorribande politiche” (intervista del Presidente della Corte Giuseppe Tesauro, Corriere della sera, 30 settembre 2014).

Schede e storico autori