La NASpI di fronte alla crisi pandemica

Roberto De Vincenzi e Giuseppe De Blasio basandosi sui dati amministrativi dell’INPS si chiedono quanti tra i lavoratori e le lavoratrici precari entrati in disoccupazione tra marzo e aprile 2020, in seguito alle restrizioni e alle chiusure delle attività economiche, abbiano beneficiato del sostegno al reddito offerto dalla Nuova Assicurazione Sociale per l’Impiego (NASpI). Secondo le loro stime si tratta di una quota consistente. I primi dati disponibili sembrano indicare anche una difficoltà a uscire dallo stato di disoccupazione.

I caratteri della NASpI. La NASpI, cioè la misura di sostegno economico agli individui che perdono involontariamente un lavoro di tipo subordinato in vigore dal maggio 2015, ogni anno coinvolge – in termini di ingressi in trattamenti di almeno un giorno – tra 1,6 e 1,7 milioni di percettori.

Solo una minoranza ha subito un licenziamento e dunque proviene da un lavoro regolato da un contratto a tempo indeterminato (il 30% del totale). Nella maggior parte dei casi gli ingressi in trattamento NASpI riguardano chi ha svolto da un lavoro a termine che non viene prorogato o trasformato in contratto di lavoro stabile (il 70%).

Una quota della popolazione di lavoratori e lavoratrici a termine, pari a ¼ del totale degli ingressi annuali, entra in modo ricorrente in disoccupazione amministrativa (ossia nello stato di disoccupazione amministrativamente riconosciuto ai sensi del d.lgs. n. 150/2015 e successive modificazioni) e, di questi, circa il 20% negli ultimi cinque anni è entrato in trattamento ogni anno. Questo ‘andamento stagionale’ della NASpI, legato alle dinamiche del lavoro nel settore turistico e a quello della scuola (pubblica e privata) determina due “picchi” nella distribuzione mensile degli ingressi in NASpI che nei mesi di giugno e settembre di ciascun anno registrano un aumento compreso tra le 150-200 unità rispetto alla media dei mesi immediatamente precedenti. Infine, la spesa complessiva sostenuta dall’INPS nel corso degli anni è cresciuta progressivamente raggiungendo i 15,9 miliardi di euro nel 2020, con un deficit del bilancio delle politiche passive del lavoro (legata alle minori entrate contributive e alla riduzione delle risorse per l’assicurazione sociale contro la disoccupazione) di 10,7 miliardi di euro. (Cfr.

https://www.inps.it/docallegatiNP/Mig/Dati_analisi_bilanci/Rapporti_annuali/XX_Rapporto_annuale/XX_Rapporto_annuale.pdf )

La NASpI e la crisi dell’occupazione del 2020. La crisi dell’attività economica connessa alla diffusione dell’epidemia e alle restrizioni e chiusure introdotte prima a livello locale e poi, dal 9 marzo 2020, su tutto il territorio nazionale ha impedito ai datori di lavoro di mantenere o confermare le risorse umane di cui avevano bisogno nella fase precedente. Il legislatore ha quindi introdotto, tra i molti provvedimenti riguardanti il lavoro (per una disamina dei quali si veda qui) il divieto di licenziamento dalla data del 17 marzo 2020 ( D.L. n. 18/2020, art. 46, c.d. Decreto “Cura Italia”, convertito in L. n. 27/2020). Al di là della sua evoluzione, con l’estensione della durata temporale e la specificazione dell’applicabilità, sancite con la decretazione successiva, il temporaneo divieto di licenziare ha riguardato il “giustificato motivo oggettivo” (licenziamenti individuali per motivi economici) e le procedure di ‘riduzione del personale’ (licenziamenti collettivi). La norma ha di fatto bloccato le cessazioni dei contratti di lavoro a tempo indeterminato, ma nulla poteva rispetto alla drastica riduzione della domanda di lavoro a termine espressa dalle imprese.

Per quanto concerne le attivazioni, dal confronto operato sui dati CICO (Campione Integrato delle Comunicazioni Obbligatorie) tra i dodici mesi precedenti l’inizio della pandemia (marzo 2019 – febbraio 2020) e i dodici mesi ricompresi nel periodo pandemico (marzo 2020 – febbraio 2021), emerge una variazione negativa del numero di contratti attivati e, soprattutto, del numero di lavoratori coinvolti nelle attivazioni, scesi da 5,4 a 4,6 milioni (-13,6%). Fatta eccezione per i lavori domestici e quelli afferenti all’istruzione e alla sanità (ambedue sia del comparto pubblico sia privato), il numero di lavoratori che hanno sottoscritto un contratto di lavoro di tipo subordinato è diminuito in tutti i settori di riferimento (graf. 1).

Grafico 1 – Lavoratori coinvolti nei contratti di lavoro subordinati attivati – Variazioni tendenziali tra anno pre-COVID (marzo 2019 – febbraio 2020) e anno COVID (marzo 2020 – febbraio 2021) v.%

Fonte: elaborazioni su microdati CICO (Campione Integrato delle Comunicazioni Obbligatorie) – Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali

La forte decrescita delle attivazioni – data la struttura del nostro mercato del lavoro – ha determinato un calo della cessazione dei contratti di breve durata che, in termini di variazione tendenziale, ha raggiunto a marzo 2020 il 79,3% per i rapporti di lavoro della durata di un 1 giorno e il 75,6% per quelli di 2-3 giorni. Le cessazioni dei contratti di durata 4-30 giorni sono diminuite, invece, del 17,8%. Di contro, sono cresciute, sempre in termini tendenziali, le cessazioni dei contratti di durata 2-3 mesi (+10,4%) e, soprattutto, quelli di durata 4-12 mesi (+22,7%). A tale proposito è utile ricordare che In Italia i contratti di lavoro della durata brevissima sono tantissimi. Nel 2019, su un totale di 11,34 milioni di contratti di lavoro cessati, quelli inferiori al mese erano il 35% e la quota di quelli dalla durata di 1 solo giorno era del 13,3%, ai quali si aggiungeva un ulteriore 5,4% dalla durata fino a 3 giorni. (Cfr. https://www.lavoro.gov.it/documenti-e-norme/studi-e-statistiche/Documents/Rapporto%20annuale%20sulle%20Comunicazioni%20Obbligatorie%202021/Rapporto-Annuale-CO-2021.pdf

Analizzando nel dettaglio le causali di cessazione dei rapporti di lavoro subordinato nel primo semestre del 2020, a parte il forte aumento dei pensionamenti, si nota l’incremento del 150% delle cessazioni anticipate dei contratti a termine (quasi 106mila) rispetto al primo semestre del 2019 (erano stati circa 42mila). Ben 47.550 di queste cessazioni anticipate sono avvenute nel periodo che va dal 23 febbraio al 17 marzo 2020, con il 50% nel settore della ricezione turistica e, in particolare, nel Nord Est, con una concentrazione molto alta nel Trentino-Alto Adige, dove si è passati dai 1500 casi del 2019 ai quasi 26mila del 2020.

La ricaduta sui nuovi ingressi in trattamento NASpI è stata immediata. È presumibile che tutti (o quasi) i lavoratori e le lavoratrici entrate in disoccupazione e in possesso dei requisiti lavorativi e contributivi necessari, hanno presentato domanda di accesso al sussidio e – dopo un’attesa media di 18 giorni – hanno iniziato a ricevere il sussidio per disoccupazione.

In termini di variazioni tendenziali, i nuovi ingressi in trattamento NASpI nel marzo 2020 rispetto allo stesso mese dell’anno precedente sono quasi raddoppiati passando da 110mila a poco più di 210mila, con una variazione tendenziale di +91% (graf. 2).

Grafico 2 – Ingressi in trattamento NASpI – Variazioni tendenziali mensili (2019-2020) – v.a. e v.%

Fonte: elaborazioni su microdati archivio Prestazioni Sostegno al Reddito dell’INPS

Salvo il settore riferito al lavoro di tipo domestico, in tutti i comparti produttivi la variazione degli ingressi in NASpI tra marzo 2020 e marzo 2019, risulta sempre positiva. Se la variazione tendenziale media è del 90%, per alcuni settori questa percentuale è notevolmente superiore al +100% (turismo +161%; la somministrazione +127%; altri servizi pubblici, sociali e personali +135%).

Nei mesi successivi al marzo 2020, la variazione tendenziale sempre degli ingressi in trattamento NASpI, calcolata sullo stesso mese dell’anno precedente, cala bruscamente fino a diventare negativa tra maggio e dicembre 2020. Molto probabilmente, questa netta diminuzione dei nuovi ingressi è legata a:

  • la diminuzione complessiva del volume sia dei contratti a termine attivati, specie quelli di breve periodo sia della platea di lavoratori coinvolti, con un effetto di contrazione sulla platea potenziale di riferimento della NASpI. La stima della media mensile annualizzata della platea segnala, nel confronto tra i mesi finali del 2020 con i mesi finali dell’anno precedente, una variazione assoluta di circa -35 mila unità;
  • la diminuzione, all’interno della platea di lavoratori in disoccupazione involontaria, della quota di individui in possesso dei requisiti lavorativi e contributivi necessari ad accedere al trattamento NASpI e all’aumento, per contro, di quella priva di tali requisiti;
  • gli effetti determinati dal blocco dei licenziamenti sugli ingressi nella condizione di disoccupazione. Rispetto al 2019 i percettori di NASpI a seguito di licenziamento (riguardante cioè i contratti a tempo indeterminato), che nel 2019 erano 811.000, sono divenuti 654.000;
  • la progressiva ripresa delle attività legate al turismo a partire dal mese di maggio e per tutto il periodo estivo del 2020.

Ciononostante, a fronte della diminuzione degli ingressi in trattamento il volume finanziario complessivo della misura, dal 2019 al 2020, è aumentato di circa 800 milioni di euro. Il motivo è legato al fatto che i trattamenti attivi nei mesi successivi al marzo 2020 sono rimasti in numero costante. In termini di trattamenti attivi per mese, infatti, le variazioni tendenziali manifestano valori positivi almeno fino a ottobre 2020 e solamente nei mesi di novembre e dicembre il confronto con gli stessi mesi del 2019 mostra un rallentamento del trend positivo.

Particolarmente interessante a tale proposito è l’andamento delle medie mobili calcolate sui trattamenti attivi per mese (graf. 3). La serie storica concernente il periodo compreso tra gennaio 2017 e gennaio 2021, oltre a rendere evidente una progressiva crescita dei trattamenti attivi per mese (da circa 1,2 milioni di trattamenti attivi nel 2017 si passa a circa 1,6 milioni nel 2020), mostra come, con il protrarsi dell’emergenza da COVID-19, la curva sinusoidale tende ad appiattirsi. Ciò significa che un numero crescente di disoccupati sussidiati – diversamente da quanto succedeva nel periodo pre-COVID quando le interruzioni dei trattamenti per uscita dallo stato di disoccupazione riguardavano il 40% del totale dei trattamenti NASpI di durata più lunga (13-24 mesi) – non è stato in grado di sottoscrivere un nuovo contratto di lavoro della durata di almeno 6 mesi (al riguardo si veda il nostro WorkINPS Paper).

Solo nei prossimi mesi, quando l’arco temporale dell’osservazione sarà sufficientemente ampio, si procederà a quantificare il tasso di uscita dalla disoccupazione amministrativa dei lavoratori e delle lavoratrici sussidiate durante il periodo di pandemia, verificando gli effetti della ripresa economica su questa specifica popolazione.

Grafico 3 – Trattamenti attivi per mese – Medie mobili su tre mesi Distribuzione gennaio 2017 – febbraio 2021

Fonte: elaborazioni su microdati archivio Prestazioni Sostegno al Reddito dell’INPS

 

*L’articolo è estratto da un progetto di ricerca condotto nell’ambito dell’iniziativa VisitInps Scholars dell’Inps. Le opinioni espresse sono esclusivamente quelle degli autori e non riflettono necessariamente quelle dell’Inps.

*Questo articolo esce in contemporanea su lavoce.info.

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