La mobilità internazionale durante e dopo la pandemia: fatti e conseguenze

Rama Dasi Mariani illustra un recente rapporto dell’ONU sulla mobilità internazionale delle persone durante il 2020. Dopo una breve ricostruzione delle misure adottate dai vari governi che hanno condizionato gli spostamenti internazionali, Mariani si sofferma sull’effetto che tali misure hanno avuto su alcuni gruppi di persone in particolare. Il quadro che ne emerge è piuttosto allarmante e, secondo Mariani, dovrebbe indurre a ripensare il futuro della mobilità delle persone in maniera più inclusiva.

Delle tante cose dette e scritte sull’anno 2020, una è certa: non potrà non essere ricordato per la drastica restrizione imposta alla mobilità delle persone. Con la diffusione su scala globale della pandemia da Covid-19, sono stati eliminati i viaggi per turismo, decimati quelli per lavoro, è stata ridotta la migrazione dei lavoratori stagionali, ostacolato il ricollocamento dei rifugiati e fermate le procedure di visto in corso, da quelle per gli studenti internazionali a quelle per i ricongiungimenti familiari.

Da marzo 2020, l’International Organization for Migration (IOM) ha avviato un progetto per rilevare le restrizioni di viaggio e le chiusure delle frontiere decise dalle 246 entità nazionali per le quali le Nazioni Unite sono in grado di raccogliere dati. Questo dataset, unico nel suo genere, è stato da poco reso pubblico, insieme al report che contiene alcune delle analisi elaborate in collaborazione con il Migration Policy Institute (MPI). In questo articolo cerco di riassumere i risultati più interessanti che spesso sono anche sconcertanti.

La ricostruzione dei fatti. Per poter esaminare sistematicamente le limitazioni della mobilità nel corso del 2020, lo IOM e il MPI hanno classificato le politiche decise dai governi in tre categorie: restrizioni di ingresso, ossia chiusura degli ingressi a specifiche nazionalità o attraverso determinati passaggi di frontiera; condizioni d’ingresso, tra cui l’imposizione di requisiti sanitari (periodi di quarantena, certificazione di negatività al Covid, misurazione della temperatura e accertamento dello stato di salute corrente); eccezioni alle restrizioni, le quali hanno riguardato alcune categorie di persone che anche durante la fase più severa delle restrizioni hanno potuto continuare a spostarsi.

Sulla base di questa classificazione, la storia della mobilità globale durante il 2020 può essere schematizzata in tre fasi.

1. Da gennaio a maggio: i lockdown.

Durante la prima fase, molti governi hanno completamente chiuso gli ingressi o vietato gli arrivi dalle aree più contagiate. Entro la fine di marzo, erano state decise 43.300 restrizioni ed ogni entità nazionale era stata interessata da almeno 70 divieti di viaggio. Per capire meglio questi dati, si pensi che il numero di passeggeri sui voli internazionali è diminuito del 92% rispetto al 2019 e Frontex ha registrato un minimo storico negli attraversamenti irregolari delle frontiere. Tra marzo e maggio, quindi, qualsiasi tipo di movimento è stato drasticamente contenuto dai lockdown nazionali.

2. Da giugno a settembre: le riaperture.

Durante la seconda fase, le restrizioni di viaggio sono state gradualmente sostituite da condizioni d’ingresso, in particolare da requisiti sanitari, quali il possesso di un test di negatività al Covid recente, il rilascio di un’autocertificazione, l’osservanza di un periodo di quarantena; tutte misure che nei mesi successivi sono andate cristallizzandosi come pratica comune nelle procedure di viaggio.

3. Da ottobre a dicembre: le varianti.

Durante la terza fase, il quadro delle misure decise a livello globale è stato molto variegato. In generale, i paesi si sono sforzati di rendere operative alcune misure sanitarie in sostituzione delle restrizioni. Le certificazioni sono perciò diventate il requisito più diffuso per l’ingresso, mentre i periodi di quarantena e gli screening sono stati gradualmente abbandonati (probabilmente per gli alti costi della prima misura e per l’inefficacia della seconda). Alcuni paesi (tra cui gli Emirati Arabi, il Messico e il Cile) hanno aperto le frontiere ai turisti; mentre altri, ed in particolare il Regno Unito, hanno imposto di nuovo severi lockdown per fronteggiare l’insorgenza di nuove varianti del virus.

L’impatto sulle persone. Le misure adottate durante il 2020 per contenere la diffusione del nuovo virus hanno senza dubbio avuto un impatto di vasta portata su migranti e rifugiati. Lo IOM stima che circa tre milioni di persone sono rimaste bloccate fuori dal proprio paese senza assistenza consolare, finendo così nell’irregolarità. Alle persone sfollate non è stato possibile raggiungere il luogo d’asilo. Molte altre hanno perso i precari mezzi di sostentamento e sono stati costretti a tornare a casa.

Secondo l’agenzia delle Nazioni Unite, tre sono gli impatti più visibili, destinati, probabilmente, a perdurare nei prossimi mesi o nei prossimi anni.

  1. L’ampliamento delle disuguaglianze tra chi si muove e chi non si muove. Le restrizioni d’ingresso hanno influenzato in maniera del tutto marginale coloro che, grazie alla loro nazionalità, alle risorse economiche o al proprio status hanno potuto continuare ad attraversare i confini internazionali per lavoro, per ricongiungersi con i propri familiari o anche per turismo. Al contrario, coloro che si muovevano per necessità (migranti e rifugiati) hanno dovuto affrontare quarantene e autoisolamenti dagli alti costi diretti e indiretti. Guardando avanti, le disuguaglianze tra chi si muove e chi non si muove sono destinate ad aumentare. Infatti, chi ha subìto maggiormente le conseguenze delle restrizioni d’ingresso molto probabilmente ha anche un più limitato accesso alle vaccinazioni o alle risorse digitali necessarie per tornare a spostarsi.
  2. Il peggioramento della vulnerabilità socioeconomica per coloro che, prima della pandemia, dipendevano dalla possibilità di muoversi per sopravvivere.
  3. L’aumento dello sfruttamento e dei viaggi pericolosi.

Le restrizioni alla circolazione hanno, infatti, aumentato la dipendenza di molti migranti dagli intermediari, legali ed illegali. Secondo lo IOM, le restrizioni d’ingresso hanno accresciuto la richiesta di servizi di contrabbando sia da parte delle persone che cercano disperatamente di fuggire dalla violenza, dalle catastrofi naturali o dalla deprivazione economica, sia da parte delle persone che hanno la necessità di tornare a casa. Allo stesso tempo, le restrizioni d’ingresso hanno portato all’utilizzo di rotte pericolose e all’aumento dei prezzi, esponendo migranti e rifugiati a un maggiore rischio di sfruttamento e ad un aumentato pericolo di viaggio.

Il futuro della mobilità. È passato più di un anno da quando sono state imposte le restrizioni in risposta alla diffusione virale, ma il loro ruolo non è tuttora chiaro o univoco. Sebbene ci siano alcune eccezioni, in particolare l’Australia e la Nuova Zelanda, la maggior parte dei paesi non è riuscito a prevenire o contenere la diffusione virale. Coloro che hanno avuto più successo lo hanno fatto adottando contemporaneamente anche severe restrizioni di mobilità interna, rendendo difficile poter distinguere i due effetti. Inoltre, i tentativi di prevenire la diffusione delle nuove varianti del virus hanno mostrato gli stessi limiti che si sono presentati all’inizio del 2020: nel momento in cui è stata imposta una limitazione alla mobilità, i nuovi ceppi erano già diffusi.

Nel 2021 occorre dunque affrontare la sfida di sviluppare strategie di mitigazione del rischio che vadano oltre i miopi strumenti di chiusura delle frontiere e dei divieti di viaggio. Tra gli strumenti disponibili, i test sono sempre più richiesti e diffusi. Tuttavia, bisogna garantire a tutti la possibilità di accedervi a costi ragionevoli, soprattutto alle persone che vivono in paesi a medio e basso e reddito. Inoltre, il test non è uno strumento di salute pubblica infallibile e sostenibile nel lungo periodo. Diversi paesi stanno vagliando l’uso dei certificati di vaccinazione, ma occorre affrontare importanti questioni logistiche, etiche e tecnologiche, a livello nazionale e globale, per ridurre al minimo le frodi e garantire l’uguaglianza d’accesso a tali tecnologie.

Forse la cosa più importante è che questi interventi siano pensati come parte di un sistema ben strutturato, che sia in grado di mettere a frutto la complementarità delle diverse misure e di evitare duplicazioni. L’infrastruttura che si sta costruendo oggi potrebbe essere operativa anche durante la prossima (speriamo lontanissima) pandemia ed è quindi importante strutturare un sistema che minimizzi i rischi per la salute pubblica e che sia, al tempo stesso, in grado di includere tutte le persone che popolano un mondo in movimento.

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