La libertà economica è sempre benefica?

Maurizio Pugno muove dalla considerazione che la pandemia ha messo in evidenza la necessità di porre limiti alla libertà economica, mentre molti critici ricordano che alla base della crescita economica - e dunque del benessere della popolazione - c’è proprio la libertà economica. Pugno richiama l’attenzione sul fatto che la relazione positiva tra libertà economica e benessere soggettivo medio della popolazione che è stata riscontrata in diversi studi non è, però, lineare. Un’analisi più accurata mostra infatti che oltre una certa soglia la libertà economica potrebbe ridurre il benessere.

In periodi eccezionali come questo della pandemia sembra ovvio che lo stato debba intervenire nell’economia, e che la libertà economica vada limitata in qualche misura. Non mancano tuttavia posizioni critiche, e a volte anche molto critiche. A sostegno di queste posizioni c’è spesso l’argomentazione che l’intervento dello stato e le limitazioni alla libertà economica frenano comunque la crescita, e quindi il benessere di tutta la popolazione. In particolare, l’evidenza empirica focalizzata sul benessere soggettivo della popolazione sembra dare ragione ai sostenitori del primato del mercato. Infatti, diversi studi econometrici mostrano che i paesi con una minore dimensione relativa della spesa pubblica o un maggiore grado di libertà economica hanno una popolazione che, in media, dichiara di godere di maggior benessere (ad es. Bjørnskov, C. Dreher, A., Fischer, J.A.V., 2007, The bigger the better? evidence of the effect of government size on life satisfaction around the world, Public Choice 130:267-292; Ovaska, T., Takashima, R., 2006, Economic policy and the level of self-perceived well-being: an international comparison, Journal of Socio-Economics 35:308-325; Bavetta, S., Patti, D.M.A., Miller, P., Navarra, P., 2017, More choice for better choosers: political freedom, autonomy, and happiness, Political Studies 65:316 –338).

Tuttavia, altri studi non confermano l’associazione tra minore spesa pubblica e maggiore benessere soggettivo, ma anzi trovano che la relazione è positiva quando si tiene in considerazione anche la qualità della spesa pubblica, misurata ad esempio con il grado di legalità (Ott, J.C., 2011. Government and Happiness in 130 Nations. Social Indicators Research 102:3-22), oppure quando la spesa pubblica è ristretta ad una componente (O’Connor, K. 2017. Happiness and welfare state policy around the world. Review of Behavioral Economics 4:397–420).

Non c’è consenso unanime, dunque, sul fatto che prevalga l’effetto negativo della spesa pubblica sul benessere. Invece, il fatto che i paesi con una maggiore libertà economica riportino anche un maggior benessere soggettivo sembra dato per acquisito, anche quando si tiene conto di altre variabili che potrebbero alterare questa relazione, come il PIL procapite e la spesa pubblica stessa. Ciò che però non è stato ancora indagato è se la relazione sia lineare. Si può ipotizzare infatti che quando la libertà economica è limitata, un suo aumento possa dare benessere alla popolazione, mentre quando è già abbondante, non è detto che un suo aumento dia ulteriore benessere. In altre parole, oltre una certa soglia, più libertà economica potrebbe erodere il benessere medio della popolazione. Esplorare questa ipotesi potrebbe dunque riservare delle sorprese.

Una misura della libertà economica molto usata è quella fornita dall’autorevole fondazione americana Heritage, nota per il suo orientamento conservatore Tale misura di libertà economica è una sintesi di sei diverse componenti: la libertà d’impresa (business freedom), che considera la semplicità amministrativa di aprire e chiudere un’attività; la cosiddetta labor freedom, che include la libertà di assumere e licenziare lavoratori, l’entità relativa del sussidio di disoccupazione, e la flessibilità d’orario; la monetary freedom, che tiene conto dei prezzi amministrati presenti nel mercato; la trade freedom, che tiene conto delle tariffe doganali; la investment freedom, che tiene conto delle restrizioni sugli investimenti settoriali, e, più in generale, della trasparenza; e la financial freedom, che tiene conto delle restrizioni sui mercati finanziari. La misura sintetica della Heritage Foundation include anche la dimensione della spesa pubblica e il grado di legalità. La tesi sostenuta da questa fondazione è che la libertà economica così definita alimenta la crescita economica, e, per questa via, il benessere di tutta la popolazione, e non solo di coloro che aprono un’impresa, fanno investimenti reali o finanziari.

Questa tesi può essere valutata mettendo in relazione la libertà economica, o le sue distinte componenti come definite sopra, con il benessere soggettivo della popolazione. Come misura di quest’ultimo si farà uso della ‘domanda di Cantril’, che chiede all’intervistato dove si collocherebbe su una scala da 0 a 10, essendo 0 la vita peggiore che l’intervistato stesso possa immaginare, e 10 quella migliore. La media delle risposte del campione rappresentativo di un paese danno l’indicazione del benessere che esprime, in media, la sua popolazione.

Per stimare la relazione tra libertà economica e benessere soggettivo s’è tenuto in considerazione anche il reddito medio dei paesi, cioè il Prodotto Interno Lordo procapite, nonché la spesa pubblica, specificata come quota dei consumi pubblici rispetto ai consumi nazionali. S’è considerato anche il principio di legalità come sintesi di diversi indicatori di qualità regolatoria, corruzione e altro, ma non ha mostrato alcun ruolo significativo. Non sono state considerate altre variabili, dato il ridotto numero di paesi del campione utilizzato.

L’eterogeneità tra paesi è stata contenuta limitando il campione a 33 fra i paesi più grandi e avanzati, vale a dire: Australia, Austria, Belgio, Canada, Cile, Colombia, Cechia, Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Giappone, Grecia, Irlanda, Israele, Italia, Korea, Lettonia, Lituania, Messico, Nuova Zelanda, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo, Slovacchia, Spagna, Svezia, Svizzera, Turchia, Ungheria, UK, USA.

La elaborazione preliminare di questi dati ha confermato quanto trovato dagli altri studi, e cioè che i paesi con maggiore libertà economica riportano anche un maggior benessere soggettivo. Questo risultato è stato ottenuto imponendo una relazione lineare tra le due variabili, e adottando indicatori sintetici della libertà economica (nella colonna I della tabella sottostante il coefficiente di regressione è sufficientemente significativo per l’indicatore della Heritage Foundation che tiene conto anche della spesa pubblica; nella colonna II il coefficiente è molto significativo per l’indicatore che sintetizza le sei componenti della libertà economica, ma nessun altro coefficiente è significativo, compreso quello della spesa pubblica).

Invece, se si indaga sulla possibilità che la libertà economica abbia un effetto sul benessere soggettivo con segno diverso a seconda che sia limitata o abbondante, allora si trovano risultati nuovi. Infatti, risulta che l’effetto è positivo se la libertà economica è limitata, ma negativo se è abbondante, pur usando l’indicatore che sintetizza le sei componenti della libertà economica (nella colonna III i coefficienti dell’indicatore lineare e quadratico sono opposti e significativi, migliorando sensibilmente la stima complessiva). In altre parole, la libertà economica aumenta insieme al benessere soggettivo della popolazione quando parte da bassi livelli, ma oltre una certa soglia, l’aumento della libertà economica riduce il benessere soggettivo.

Se si tengono distinte le sei componenti della libertà economica, si trova, ancora una volta, che la labor freedom, la monetary freedom, e la investment freedom hanno un effetto positivo sul benessere soggettivo quando la specifica libertà è limitata, e un effetto negativo quando è abbondante, mentre la business freedom, la trade freedom e la financial freedom non sembrano avere effetti sul benessere soggettivo (nella colonna IV i coefficienti delle prime tre libertà è significativo o molto significativo, mentre i coefficienti delle altre tre libertà non è significativo).

Studiando la combinazione più significativa fra le prime tre componenti della libertà economica, emerge la coppia della labor e monetary freedom. Infatti, ignorando le altre quattro componenti, il loro duplice effetto sul benessere soggettivo, prima positivo e poi negativo, diventa molto significativo. Non solo, ma diventa significativo anche il contributo del reddito al benessere soggettivo (questi risultati sono riportati nella colonna VI, che contrasta con i risultati della colonna V che ripropone la versione lineare delle due componenti di libertà economica).

La spesa pubblica (o più precisamente i consumi pubblici), sebbene mai significativa, assume anch’essa una interessante relazione con il benessere soggettivo, perché è negativa a bassi livelli e positiva ad alti livelli.

Come elaborazione finale, si sono calcolate le soglie delle labor freedom e monetary freedom, oltre le quali la relazione con il benessere soggettivo diventa negativa. Nel caso della labor freedom sono 10 i paesi che hanno “troppa” libertà economica, in testa ai quali figurano l’Australia e gli Stati Uniti. Nel caso della monetary freedom sono 5 i paesi che hanno “troppa” libertà economica, in testa ai quali figurano il Giappone e la Nuova Zelanda (il calcolo è stato fatto sulla base dei coefficienti della colonna VI).

Questi risultati, ovviamente, non possono essere presi alla lettera, perché qui è stata fatta solo una prima esplorazione del problema. Possono però far venire qualche dubbio sulla fondatezza empirica dell’idea che la libertà economica porti comunque maggior benessere all’intera popolazione. Specialmente quando si intende per ‘libertà economica’ la libertà di licenziare lavoratori, ridurre il sussidio di disoccupazione, aumentare la flessibilità dell’orario di lavoro, o ridurre l’intervento amministrativo sui prezzi. Altre forme di libertà dovrebbero essere considerate per avere un quadro più completo del problema. L’esperienza di questa pandemia ha messo in evidenza che il problema delle libertà è complesso, e che forse la libertà economica, superata una certa soglia, non è più quella fondamentale (cfr. Pugno, M., La libertà come bene collettivo, MicroMega online, 17/11/2020).

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