La governance non sia un alibi: per Roma necessarie riforme profonde

Linda Lanzillotta ritiene che il turismo possa fare da traino al rilancio economico di Roma ma occorre valorizzare sia attività collegate come il restauro sia la ricca rete di università e centri di ricerca per sviluppi in altri settori. Lanzillotta sostiene, però, che preliminare al rilancio economico è il miglioramento di servizi come i rifiuti e i trasporti e il controllo dell’illegalità. A suo parere questo compito dovrà essere affidato a un Commissario governativo e, inoltre, andrebbe risolto un cruciale problema di governance: quello del rapporto tra Roma capitale e la Regione Lazio.

Questo incontro è quanto mai tempestivo visti i drammatici problemi che Roma sta vivendo in queste settimane. Una situazione in cui il declino di Roma sembra ormai irreversibile.

Inizio ringraziando Alfredo Macchiati per la qualità del Documento su cui siamo chiamati a discutere e confrontarci: un documento senza infingimenti, che dà un quadro crudo della situazione della Capitale, del carattere strutturale e storicamente consolidato dei suoi problemi, dei limiti della società e dell’economia romane che hanno reso sempre effimere le fasi di rinascita: da Nathan a Rutelli. Anche se, ogni volta, si è tentato di offrire una narrazione positiva sul futuro e sulle prospettive di Roma che puntualmente non si sono realizzate.

Dunque, un documento che genera consapevolezza, amarezza, frustrazione in chi, come me, ha collaborato ad una delle fasi di “rinascita” che vengono ricordate; un documento che chiarisce le enormi responsabilità che chi oggi governa la città e chi si candida a governarla in futuro si assume sulle spalle. Un compito da far tremare i polsi. E tuttavia risulta chiaro non solo dal Documento, ma dalla realtà che i cittadini vivono quotidianamente, che o si cambia radicalmente o la città muore.

La mia opinione è che non ci possa essere futuro, attrattività, fiducia nella possibilità di rilanciare Roma se non si ha la capacità, ma ancor prima il coraggio, di risolvere i problemi del funzionamento ordinario dei servizi e della vivibilità dell’area metropolitana di Roma. Si tratta di problemi incancreniti dall’immobilismo della politica romana, oggi drammaticamente aggravati dalle infiltrazioni della malavita organizzata. Rifiuti e trasporti sono ormai al collasso. Il nodo è stato e rimane quello della gestione delle municipalizzate, del potere di interdizione che sindacati e partiti hanno esercitato sulla indispensabile evoluzione del sistema.

Per i rifiuti era chiaro sin dal 1998, quando io lasciai l’amministrazione capitolina, che l’Ama andava praticamente sciolta : il settore industriale dello smaltimento e della trasformazione sarebbe stato conferito in ACEA, azienda già quotata e quindi sottoposta – almeno in una certa misura – alle regole del mercato, mentre raccolta e spazzamento dovevano essere gestite da cooperative mediante gare gestite dai singoli municipi che avrebbero anche svolto con maggiore efficacia l’attività di controllo. Era inconcepibile che l’AMA con 6.000 dipendenti pubblici pagati , con le lire di allora, mediamente sei milioni al mese, potesse sopravvivere. Mentre per il trasporto occorreva attuare la liberalizzazione , già prevista per il trasposto locale da una legge nazionale che avrebbe ricondotto i costi ai livelli standard delle altre città e avrebbe consentito di finanziare un grande piano di trasporto sul ferro. L’insipienza di tutte le Giunte, comunali e regionali, ha lasciato all’ATAC la gestione del trasporto comunale nel degrado del servizio e con costi che hanno divorato il bilancio comunale. L’ultima prova dell’irresponsabile incapacità di cambiare l’abbiamo vista con l’opposizione, lo scorso anno, alla proposta di liberalizzazione del servizio lanciata con il referendum promosso dai radicali. Inutile, direi inaccettabile, chiedere al paese maggiori risorse per Roma se prima Roma stessa non fa tutto quello che si può e si deve per dare qualità e sostenibilità ai servizi fondamentali. Altra azione urgente e irrinunciabile è quella di estirpare l’illegalità dilagante e visibile a occhio nudo nel commercio ambulante, nella ristorazione, nell’invasione delle strade con tavolini che impediscono il transito di auto e di persone. Illegalità ormai tollerata con la rinuncia a qualsiasi azione di repressione. Evidente la collusione con settori dell’amministrazione capitolina.

Ciò detto – o, meglio, ciò fatto –allora, e solo allora, sarà possibile disegnare per Roma un nuovo orizzonte, esprimere una nuova progettualità coerente con l’ambizione di Roma di essere un punto di riferimento globale, testimone della storia e della civiltà occidentale, e centro della cristianità. Da questo punto di vista la rinuncia alle Olimpiadi è stata un’occasione persa perché sicuramente sarebbe stato un traguardo capace di rimettere in moto energie spente e disamorate e sarebbero state forse una spinta ad accelerare la soluzione strutturale dei problemi del funzionamento ordinario della città. L’esempio dell’Expo a Milano ci deve far riflettere. Da quell’evento, cui molti avrebbero voluto rinunciare, si sono sviluppate attività permanenti che hanno collocato nuove funzioni nell’area milanese, hanno accelerato importanti trasformazioni urbane e reso la città nuovamente attrattiva.

Macchiati si interroga su quali possano essere le nuove “missioni” di Roma una volta andate in crisi le attività che nel dopoguerra e poi, ancora, negli Anni Novanta avevano qualificato il suo sviluppo: edilizia, aziende e amministrazioni pubbliche, aerospazio. Ma aggiungerei anche le attività legate alla fiction e alle produzioni televisive. Oggi tutti questi settori sono in una crisi profonda, forse irreversibile. Il Documento vede come principale, se non unico, traino dell’economia romana del futuro il turismo. Certo il turismo va fortemente riqualificato e ad esso vanno abbinati nuovi modelli di gestione museale, il restauro e le nuove tecnologie ad esso legate; penso, ad esempio, che una grande scuola romana del restauro potrebbe diventare un punto di riferimento importante per tutti quei Paesi arabi il cui patrimonio culturale – talvolta devastato dalle guerre – sarà la leva per una nuova economia del turismo anche da loro e, in tal modo, potrà proiettare Roma in una rete di relazioni che abbiano al centro il Mediterraneo. Sicuramente possono essere creati nuovi “luoghi” della cultura che siano insieme fattori di attrattività e di riqualificazione di aree della città.

E, tuttavia, non credo che una metropoli possa vivere di solo turismo. Penso che Roma debba valorizzare la densissima rete di università e di centri di ricerca. Intorno ad essi possono essere realizzati distretti industriali nei settori più innovativi: biotecnologie, nanotecnologie, intelligenza artificiale, tecnologie applicate ai settori tradizionali dell’artigianato, bioedilizia, e così via. La ricerca romana può diventare una leva formidabile ma vanno messe in atto politiche di connessione tra università, ricerca, e industria.

La rigenerazione urbana con la creazione di nuovi moderni quartieri che facciano vivere anche a Roma l’urbanistica e l’architettura moderne senza le remore di una cultura della conservazione che a Roma ha sempre sbloccato l’innovazione. E bisogna farlo puntando alla valorizzazione delle aree di proprietà pubblica senza cedere alle pressioni dei proprietari delle aree e alla rendita fondiaria.

Ma si deve anche pensare alla bellezza della città da inserire nel piano per la qualità urbana: si potrebbe rendere permanente l’operazione di rifacimento delle facciate realizzata dalla Giunta Rutelli in vista del Giubileo e che, con un mix di incentivi fiscali ed economici, aveva ridato splendore ai palazzi e aveva rimesso in moto l’edilizia delle PMI con una potente iniezione di liquidità. Si dovrebbe prevedere che ogni anno in un diverso Municipio della città i proprietari abbiano l’obbligo di rifare le facciate dei palazzi, operazione da ripetere ogni dieci anni (così avviene a Parigi). Questo darebbe un flusso costante di lavoro alle piccole imprese edili e contrasterebbe il degrado urbano.

Certo, per fare tutto ciò occorrerebbe una classe dirigente capace di progettare e realizzare. Questo è forse l’aspetto più critico di un’operazione di rilancio dell’economia romana e del suo ruolo nazionale e internazionale. La classe dirigente romana, già strutturalmente debole, come ben ricorda Macchiati, oggi è sempre più afona e anemica. Occorrerebbe una leadership politica che la sappia rianimare, rimotivare , coinvolgere e responsabilizzare su un grande, condiviso progetto per il futuro di Roma. Anche se, allo stato, scrutando l’orizzonte, di una tale leadership non si vede l’ombra: ma siamo fiduciosi che possa presto emergere.

Tuttavia la mia opinione è che le operazioni straordinarie per il rilancio della città non possano infrangersi contro i problemi drammatici del ripristino delle condizioni di vivibilità della città : nessun sindaco, nessun leader potrebbe sopravvivere se dovesse misurarsi con il consenso dei partiti politici per attuare le misure, cui ho prima accennato, dirette a risolvere i problemi dei rifiuti, dei trasporti e della legalità. In questo caso il problema non è l’assetto della governance della Capitale ma la fattibilità politica. La Regione avrebbe avuto i poteri per fare molto in questi settori e non l’ha fatto.

La mia opinione è che, allo stato in cui siamo, i drammatici problemi di Roma non possano essere affrontati con strumenti ordinari ma necessitino per un periodo che non potrà essere inferiore a uno o due anni, dell’intervento di un commissario governativo dotato dei poteri della Giunta e del Consiglio del Comune, della Città metropolitana e della Regione di Roma che affronti radicalmente la questione della gestione dei servizi di trasporto, dei rifiuti e delle attività criminali legate sia all’abusivismo commerciale che al traffico dei rifiuti. Bisogna essere onesti intellettualmente e sapere che nessuna forza politica sarà in grado di fare ciò che serve. Si ritiene che questa sia una soluzione antidemocratica? Non credo: il decreto Salva Roma aveva chiesto alle istituzioni della città di assumere decisioni per il risanamento del bilancio e per il funzionamento dei servizi pubblici che non sono state adottate. Qual’ è allora l’interesse dei cittadini? Avere una città migliore o garantire il ruolo dei partiti che finora l’hanno utilizzato in questo modo e assistere, sindaco dopo sindaco, alla morte della città? Credo occorrano realismo e pragmatismo.

Solo dopo che sarà stata ripristinata la vivibilità della città si potrà lavorare alla costruzione del futuro di Roma. In questo futuro dovrà essere affrontata la questione dei poteri della Capitale. L’occasione offerta dalla riforma costituzionale del 2001 è andata totalmente sprecata perché lo scontro tra Comune e Regione Lazio – a quel tempo entrambe governate dal centro destra – ha impedito qualsiasi trasferimento di poteri e la razionalizzazione degli ambiti di intervento.

Nel quadro di una riforma che sia collegata all’attuazione del federalismo differenziato si dovrebbe riprendere la questione dei poteri di Roma capitale. Avendo però coscienza che attribuire poteri legislativi a una Capitale che abbia il perimetro territoriale dell’attuale Roma Capitale, ovvero la ex Provincia di Roma, che rappresenta il 70 per cento della Regione Lazio, non può non comportare lo scioglimento di quest’ultima e l’attribuzione delle altre province alle Regioni confinanti. Sarebbe, infatti, paradossale e del tutto disfunzionale fare insistere sul medesimo territorio due enti – Roma Capitale e Regione Lazio – dotati di poteri analoghi se non identici. Aumenterebbero solo confusione e conflitti. Chi dunque invoca la riforma della governance della Capitale sappia che essa avrebbe implicazioni non piccole, soprattutto sul piano politico.

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