La giustizia sociale nei paesi dell’Unione europea secondo il Rapporto Bertelsmann 2015

Chiara Assunta Ricci ed Eleonora Romano illustrano la metodologia e presentano i principali risultati che emergono dal Rapporto della Fondazione Bertelsmann sulla situazione della giustizia sociale in Europa nel 2015. In particolare, le due autrici, sottolineano che secondo il rapporto non si sono avuti significativi miglioramenti nella capacità dei 28 Paesi membri di creare una società inclusiva, rispetto al 2014, mentre persistono elevati squilibri tra gli stessi Paesi membri e l’Italia ha perso ancora posizioni nella graduatoria europea.

Da alcuni anni la Bertelsmann Stiftung fa il punto sullo stato della giustizia sociale in Europa sulla base di un indice sintetico quantitativo che si propone non soltanto di misurare la posizione relativa dei diversi paesi ma anche di seguirne l’evoluzione nel tempo e di mettere a fuoco i principali fattori che ne determinano la dinamica.

In questa Scheda esaminiamo i dati più importanti che emergono dall’edizione 2015 del rapporto e forniamo alcune informazioni sul modo nel quale è stato costruito l’indice di giustizia sociale, al quale fa riferimento l’articolo di Antonia Carparelli, pubblicato su questo stesso numero del Menabò.

Come già riferito nella scheda del Menabò relativa a una precedente edizione del rapporto, l’indice multidimensionale di giustizia sociale deriva dall’aggregazione di 27 variabili quantitative e 8 indicatori qualitativi, relativi a sei dimensioni della giustizia sociale: i) lotta alla povertà; ii) istruzione inclusiva; iii) accesso al mercato del lavoro; iv) coesione sociale e assenza di discriminazioni; v) servizi sanitari; vi) giustizia intergenerazionale. I pesi delle sei dimensioni sono diversi: la lotta alla povertà, considerata la dimensione più importante, ha un peso pari a 3 mentre il peso dell’istruzione e dell’accesso al mercato del lavoro è di 2 e quello delle tre restanti macrocategorie è pari a 1. L’indice di giustizia sociale varia da 1 a 10.

I dati quantitativi derivano principalmente dal database di Eurostat e dall’indagine statistica sul reddito e le condizioni di vita dell’Unione Europea (EU-SILC). I dati qualitativi riflettono, invece, – secondo una metodologia che forse dovrebbe essere meglio spiegata – le valutazioni, anch’esse su una scala da 1 a 10, di oltre cento esperti intervistati nell’indagine Sustainable Government Indicators (condotta sempre dalla fondazione Bertelsmann) sulle politiche adottate in diversi ambiti nei Paesi OCSE e UE.

Dal confronto tra i risultati del 2015 e quelli del 2014 non emerge un peggioramento del grado di giustizia sociale per la maggior parte dei paesi dell’Unione europea (Figura 1) tuttavia non si registra alcuna inversione di tendenza. In particolare, in molti paesi le condizioni sociali e le opportunità di partecipazione civile non hanno ancora raggiunto i più alti livelli che si registravano nel periodo precedente alla crisi e in undici paesi (alcuni dei quali nella parte alta della graduatoria) la situazione è peggiorata rispetto all’indagine dello scorso anno Inoltre, risulta confermato lo squilibrio tra i paesi del Nord Europa e quelli dell’Europa meridionale e di recente ingresso nell’Unione europea. Per quanto riguarda l’Italia, per la quale si mostrava una situazione preoccupante già nell’edizione precedente, si registra la perdita di due posizioni nella graduatoria (dal 23esimo al 25esimo posto), nonostante un leggero aumento nel valore dell’indice. Sebbene l’indicatore complessivo fornisca una misura d’impatto immediato è interessante capire quali siano i risultati a livello delle singole dimensioni che lo compongono.

Il divario tra Europa del Nord e del Sud riguarda particolarmente povertà ed esclusione sociale. Se a livello dell’Unione europea la quota di popolazione a rischio di povertà ed esclusione sociale è pari al 24,6%, i paesi che si sono mostrati più attivi nel contrasto alla povertà, secondo i più recenti dati Eurostat, sono Repubblica Ceca, Paesi Bassi, Svezia e Finlandia, per i quali la quota di popolazione a rischio di povertà ed esclusione sociale varia tra il 14.6% e il 17,3%. Al contrario, i paesi cui si associano le peggiori performance in questo ambito (Grecia, Romania e Bulgaria), registrano tassi compresi tra il 36% e il 48%.

Con riferimento al grado di inclusione dei sistemi di istruzione emergono pochi cambiamenti rispetto al 2014; in particolare, l’Italia si posiziona al di sotto della media europea ed i paesi nordici, insieme a Lituania, Estonia e Croazia, conseguono le migliori performance.

In termini di accesso al mercato del lavoro si ha evidenza di un generale miglioramento rappresentato dalla crescita del tasso di occupazione dal 64,1% al 64,8% – ancora lontano dall’obiettivo 75% fissato con la strategia Europa 2020 – e dalla riduzione del tasso di disoccupazione [1. Si noti che il tasso di disoccupazione nel 2008 era pari al 7,1%] dall’11% al 10,4%. Tuttavia si registra una grande eterogeneità tra i paesi ed i problemi occupazionali nei paesi colpiti maggiormente dalla crisi continuano ad essere particolarmente gravi come in Grecia e in Italia dove il tasso disoccupazione giovanile è rispettivamente del 52,4% e del 42,7%.

Grandi differenze tra Europa del Nord e del Sud riguardano anche l’indicatore di coesione sociale e non discriminazione. Oltre all’indice di disuguaglianza di reddito, dove si distinguono positivamente i paesi del Nord Europa e di recente accesso, un importante indicatore di coesione sociale è la quota di giovani (20-24 anni) che appartengono alla categoria dei NEET (Not in Education, Employment or Training), per il quale l’Italia si posiziona all’ultimo posto con un valore pari al 32%, nonostante la quota complessiva a livello europeo sia diminuita rispetto allo scorso anno (dal 17.8% al 18.6%).

Per quanto riguarda inclusione e qualità dei servizi sanitari la graduatoria risulta dominata dai paesi del Benelux, dalla Danimarca e dalla Repubblica Ceca, anche se nella maggior parte dei paesi europei la qualità dei servizi sanitari può considerarsi alta.

Infine, i paesi nordici costituiscono un modello da seguire nell’ambito della giustizia intergenerazionale, soprattutto con riferimento alle politiche per la famiglia e di conciliazione (work-life balance). Analogamente, l’Italia continua a distinguersi per il forte affidamento sulle reti familiari e gli scarsi interventi nel settore dei servizi all’infanzia e in relazione alle problematiche delle madri lavoratrici, posizionandosi all’ultimo posto, insieme a Cipro e Ungheria, nella graduatoria riferita alle politiche per la famiglia. Altro ambito intergenerazionale per cui i paesi nordici sono d’esempio è quello pensionistico (in particolare, Finlandia e Danimarca), essendo stati in grado di implementare schemi pensionistici che danno ampio peso alla sostenibilità finanziaria e, in generale, alla sicurezza sociale. Si conferma poi, come per la precedente edizione del rapporto, il divario tra i paesi europei in termini di debito pubblico, ancora alto per i paesi maggiormente colpiti dalla crisi, e la spesa in ricerca e sviluppo, per la quale solo tre paesi (Finlandia, Svezia e Danimarca) hanno già raggiunto l’obiettivo del 3% del PIL fissato con la strategia Europa 2020. L’ultima declinazione del concetto di giustizia intergenerazionale considerato è la sostenibilità ambientale: mentre la Svezia registra la più alta quota di consumo da energie rinnovabili rispetto al consumo totale di energia (52.1%), contro una media europea del 17.9%, Regno Unito, Paesi Bassi, Malta e Lussemburgo chiudono la graduatoria con quote comprese tra il 3,6% e il 5,1%.

Complessivamente, i risultati mettono nuovamente in luce come le attuali politiche europee non abbiano avuto ripercussioni particolarmente positive sulla condizione e l’inclusione sociale dei cittadini europei, che godono ancora di minori opportunità rispetto al periodo pre-crisi nella maggior parte dei paesi dell’Unione. Il Rapporto 2015 ribadisce inoltre la necessità di un’inversione di tendenza delle politiche europee, secondo cui l’obiettivo di una maggiore giustizia sociale dovrebbe essere un elemento prioritario nonché funzionale alla crescita e alla ripresa economica. Si afferma quindi sempre più l’urgenza di interventi mirati delle politiche negli ambiti dell’istruzione, dell’occupazione e della lotta alla povertà.

L’osservazione conclusiva riguarda una critica che potrebbe essere mossa all’indice su cui si basa il rapporto. La correlazione tra molte delle variabili considerate può determinare una perdita di eterogeneità delle informazioni fornite e di ciò si potrebbe tenere conto in vista di un suo rafforzamento. Anche per questo motivo, potrebbe essere utile prendere in esame altri ambiti di rilevanza del benessere multidimensionale, come il riconoscimento e la tutela dei diritti, la qualità e la possibilità di accesso a servizi diversi da quelli sanitari, le relazioni sociali e il tempo libero.

Fig. 1: Graduatoria dei paesi in base all’indice di giustizia sociale (valori pesati)

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Fonte: Social Justice in the EU –Index Report 2015

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