La giustizia sociale e l’Unione Europea: riflessioni in margine al rapporto della Bertelsmann Stiftung

Antonia Carparelli commenta il Rapporto sulla giustizia sociale nell’Unione Europea da poco pubblicato dalla Bertelsmann Stiftung, sottolineando l’utilità e l’importanza di questa iniziativa in un momento nel quale si avverte un’esigenza vitale di riportare la giustizia sociale al cuore del progetto europeo. Al tempo stesso, si interroga sull’adeguatezza di soluzioni che affidano interamente agli stati membri il perseguimento della giustizia distributiva, lasciando al livello europeo un ruolo marginale di orientamento.

Di cosa parliamo quando parliamo di giustizia sociale? Come tutti i quesiti che riguardano i concetti fondanti della nostra cultura – libertà, democrazia, diritti umani, solidarietà, dignità, ecc. – anche questo è un interrogativo che non ha risposte semplici e universalmente condivise.

La difficoltà di definire la giustizia in maniera univoca è efficacemente illustrata dall’esempio dei “tre bambini e un flauto” che Amartya Sen propone nell’esordio di una delle sue opere più importanti, “L’idea di giustizia”(Mondadori,2010). In sostanza, si tratta di decidere a quale di tre bambini – Anne, Bob e Carla – debba essere dato un flauto che è oggetto di contesa. Anne pretende il flauto perché è l’unica che sa suonarlo. Bob chiede che il flauto sia dato ha lui perché è così povero che non possiede nessun altro giocattolo. Carla rivendica il flauto perché è lei che lo ha costruito con il suo ingegno. Qualunque soluzione alla contesa sarebbe contestabile da qualche punto di vista, e Sen riconosce apertamente che non basta fare appello all’idea di giustizia per fare emergere soluzioni indiscutibilmente ottimali.

Tuttavia la riflessione che nasce da questa premessa, lungi dallo sfociare in agnosticismo etico, approda a un’appassionata difesa della centralità della giustizia sociale, in quanto dimensione che attiene alla natura stessa dell’essere umano. E si traduce nell’esortazione a incentrare la questione della giustizia anzitutto sulla verifica delle concrete realizzazioni sociali e sulla considerazione degli strumenti per promuovere la giustizia, ponendo queste istanze al centro del dibattito pubblico. “Quella della giustizia è un’idea di enorme importanza, che ha toccato l’animo della gente in passato e continuerà a toccarlo in futuro”. “Avremmo potuto essere creature incapaci di simpatia, insensibili al dolore e all’umiliazione del prossimo, indifferenti alla libertà[…]. La forte presenza di questi elementi nella vita dell’essere umano[…] rivela che nella società umana la generale aspirazione alla giustizia assai difficilmente potrà essere cancellata, anche se diversi possono essere i modi per provare a realizzarla”(Sen op. cit. p. 406 e 418-9).

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Vi sono molti motivi per i quali il Rapporto della Bertelsmann Stiftung sulla giustizia sociale nell’Unione Europea (Social Justice in the EU. Index Report 2015) rinvia all’idea di giustizia di Sen e ai suoi fondamentali contributi su questo tema e, d’altro canto, l’ispirazione ai lavori di Sen è esplicitata nella nota metodologica che accompagna il rapporto.

Il primo motivo riguarda la scelta stessa di pubblicare un rapporto sulla giustizia sociale nell’Unione Europea, sfidando la diversità di valori, esperienze e preferenze sociali che sicuramente renderebbe molto difficile un’operazione analoga da parte delle istituzioni ufficiali. Eppure un approccio aperto alla giustizia è essenziale non soltanto, come dice Sen,- per evitare la morsa del provincialismo nella riflessione morale e politica, ma anche perché l’interdipendenza tra le economie e le società europee limita e condiziona fortemente le politiche nazionali intese a promuovere la giustizia.

Un secondo motivo attiene alla proposta di un indice sintetico per misurare la giustizia sociale che cerca di rappresentare al meglio l’approccio delle capabilities, superando diffuse obiezioni concettuali e metodologiche. L’indice fa riferimento a sei aree identificate come rilevanti ai fini della giustizia sociale: contrasto alla povertà, accesso all’educazione, inclusione nel mercato del lavoro, coesione sociale, non-discriminazione, salute ed equità intergenerazionale E si avvale di ben 27 indicatori quantitativi e di otto indicatori qualitativi. Sono note le obiezioni di metodo mosse all’impiego degli indicatori sintetici, obiezioni che ne hanno fortemente limitato l’elaborazione da parte delle istituzioni ufficiali. E’ inoltre probabile che alcuni degli indicatori da cui scaturisce l’indice sintetico non supererebbero il test del rigore statistico-metodologico. E tuttavia il quadro che emerge da questo indice della giustizia sociale ha una grande plausibilità e un’evidente utilità pratica ai fini della lettura delle “concrete realizzazioni sociali”. Ed è di nuovo pertinente il richiamo all’insegnamento di Sen questa volta sull’importanza di soluzioni utili, anche se non perfette, in tema di giustizia sociale.

C’è un terzo aspetto – forse il più importante – per cui il rapporto della Bertelsmann Stiftung evoca gli insegnamenti di Sen, e riguarda l’urgenza di sviluppare la riflessione europea sulla giustizia sociale. Nel divenire del progetto europeo il valore della giustizia sociale, inteso come equità distributiva negli Stati e tra gli Stati, ha avuto uno spazio molto limitato, e comunque largamente residuale rispetto ai valori del mercato, dell’efficienza e della competitività. Ma è proprio su questo aspetto che l’Unione sta ora vacillando, che si tratti di distribuire gli oneri della crisi migratoria o quelli delle crisi bancarie, ma è probabile che proprio su questo si deciderà il futuro del progetto europeo. Il rapporto aspira a dare più centralità alla giustizia sociale nel dibattito europeo, e non è poco. “Per cercare di stabilire come sia possibile promuovere la giustizia è assolutamente indispensabile la riflessione pubblica, alimentata da argomentazioni provenienti da posizione eterogenee e prospettive divergenti” (Sen, op. cit., p.397).

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L’evoluzione dell’indice dal 2007 al 2014 mostra che in questi anni di crisi tutta l’Europa ha pagato un prezzo elevato in termini di giustizia sociale ma in alcuni paesi il prezzo è stato altissimo. Tra questi, neanche a dirlo, ci sono la Grecia, la Spagna, l’Italia, il Portogallo, l’Irlanda, che già prima della crisi occupavano le posizioni più basse della graduatoria, assieme a molti paesi dell’est europeo. Insomma, il grande “shock asimmetrico” che ha messo a repentaglio la stessa sopravvivenza dell’Unione economica e monetaria, ha avuto un impatto asimmetrico anche sulla giustizia sociale.

Il rapporto evidenzia la relazione abbastanza stretta tra il livello di ricchezza di un paese, misurata dal reddito pro-capite, e le realizzazioni sul piano della giustizia sociale, ma sottolinea che la presenza di numerosi outlier dimostra tutta la rilevanza delle politiche sociali nazionali. Ad esempio, l’Estonia, con un reddito pro-capite prossimo a quello della Grecia, realizza una performance simile a quella dell’Austria o della Germania. D’altro canto, l’Irlanda, con un reddito pro-capite tra i più elevati dell’Unione, si colloca, sotto il profilo della giustizia sociale, al livello di paesi molto meno ricchi, come il Portogallo o la Slovacchia.

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La posizione dell’Italia, cui il rapporto assegna un avvilente 25° posto tra i paesi dell’Unione – seguita solo da Bulgaria, Romania e Grecia – è doppiamente inquietante: perché riflette tutto il ritardo storico accumulato nelle politiche sociali, e perché segnala che la deriva degli ultimi anni sul piano della crescita economica si è inesorabilmente accompagnata a una deriva sociale, anche se è molto difficile stabilire la direzione di causalità tra i due andamenti.

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Il rapporto Bertelsmann non è reticente sulla relazione tra crescita economica e giustizia sociale. “I responsabili politici, sia negli stati membri, sia nell’Unione, devono prendere sul serio il fatto che una maggiore giustizia sociale può favorire la crescita. Vari studi sull’argomento […], negli anni recenti, sono giunti alla conclusione che livelli crescenti di diseguaglianza nei redditi e nelle opportunità hanno un impatto negativo sulla crescita economica nel lungo periodo”. Da cui l’urgenza di “una strategia a lungo termine dell’Unione che sostenga questa relazione potenzialmente positiva” (Social Justice in the EU,cit., p.12).

Quali dovrebbero essere, secondo il rapporto, gli elementi di questa strategia a lungo termine dell’Unione? Anzitutto, un approccio multidimensionale alla giustizia sociale, perché la povertà si combatte anche con sistemi educativi e sanitari equi ed efficienti, e con mercati del lavoro inclusivi; perché politiche di coesione e d’integrazione lungimiranti sono essenziali per la sostenibilità dei sistemi di welfare, come lo è l’equità intergenerazionale. Per ciascuna delle dimensioni considerate il rapporto articola prescrizioni di ferrea saggezza, che sono in larga parte il punto di arrivo di decenni di analisi e riflessioni, dentro e fuori le istituzioni, sui successi e i fallimenti delle politiche sociali nei vari paesi europei.

Tuttavia, a rileggere queste prescrizioni sullo sfondo delle nubi che si addensano minacciose sul futuro dell’Unione, con la crisi di Schengen e il resto, è difficile reprimere la sensazione di un dejà vu tanto scontato quanto irrilevante. Irrilevante perché i governi nazionali, soprattutto nei paesi maggiormente colpiti e impoveriti dalla crisi, hanno ben pochi margini per attuare politiche sociali di inclusione, di integrazione, di contrasto alla povertà degne di questo nome, o per investimenti lungimiranti nella sanità e nell’educazione. E difficilmente l’azione a livello nazionale, per quanto determinata e avveduta, basterà a ribaltare le preoccupanti tendenze messe in luce dal rapporto.

Il rapporto Bertelsmann, che pure ambisce al ruolo di coscienza critica delle realizzazioni e delle politiche sociali nell’Unione europea, si guarda bene dall’aprire una riflessione su una divisione di competenze che è sì consacrata dai Trattati, ma che appare ormai per molti versi insostenibile: le politiche di mercato all’Unione e le politiche sociali agli Stati membri. Una divisione di competenze che sarebbe difendibile se l’apertura e l’integrazione dei mercati fossero neutrali dal punto di vista redistributivo. Ma così non è. L’apertura dei mercati, e ancor più l’integrazione monetaria, hanno avuto e ancora hanno importanti conseguenze redistributive tra paesi e nei paesi, e la “grande recessione” ha visibilmente esasperato tali conseguenze, provocando un crescendo di sfiducia e risentimenti verso un Europa percepita come incapace di solidarietà e insensibile alle istanze dei più deboli. E comunque questa divisione di competenze è già venuta meno quando si è trattato di definire i programmi per i paesi a rischio di insolvenza.

La riflessione pubblica su come promuovere la giustizia sociale nell’Unione Europea è divenuta più che mai urgente, anzi vitale, e possiamo solo essere grati alla Bertelsmann Stiftung per la meritoria puntualità con la quale da alcuni anni richiama l’attenzione su questo tema. Ma affinché questa riflessione abbia senso e rilevanza occorrerà andare ben oltre la saggezza delle best practices e portare il discorso sulla giustizia sociale al cuore del progetto europeo e del suo divenire.

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