La futura urbanistica di Roma: alcuni temi

Daniel Modigliani esamina alcuni aspetti problematici dell’urbanistica della città metropolitana di Roma. Dopo aver ricordato la conflittualità tra i diversi Enti responsabili del governo della città metropolitana, Modigliani sostiene la necessità non soltanto di una integrazione delle componenti storico culturali, antiche e moderne, e di un urgente riassetto istituzionale che semplifichi le competenze e dia un reale potere ai municipi ma anche di una proficua convergenza tra pubblico e privato.

Abitiamo una metropoli viva ed attiva, ma senza governo. I cittadini che vivono nella metropoli sono purtroppo assuefatti alla mancanza della politica. Le decisioni che riguardano la collettività non vengono prese, se vengono prese vengono prese a tempo scaduto, e comunque risultano incomprensibili ai più.

Roma come insediamento umano e la sua struttura produttiva possono essere seriamente riconosciute solo a livello metropolitano.

La città metropolitana come istituzione è oggi un ente-ombra a partire dal vertice per passare agli organi di governo ed infine per la mancanza di risorse e personale tecnico qualificato. L’eredità della Provincia è profondamente ambigua ed i ruoli e le competenze degli Enti locali – Regione, Città Metropolitana,Comune di Roma, altri Comuni – dovrebbero essere rivisti. Le attività dell’Ente Città Metropolitana di Roma, non sono visibili. Non entrerò qui nel merito, se non con un cenno, delle varie proposte per il riordino istituzionale degli Enti che hanno competenze su Roma, prendo solo atto di una incapacità conclamata di affrontare e risolvere problemi noti da molti decenni; per lo meno dalla prima legge che affrontò il tema di Roma Capitale (15/12/1990). Da allora sempre peggio. La legge per Roma Capitale, che comunque assicurava a Roma uno specifico canale di finanziamento, da molti anni non produce più risorse per la città. La riduzione del numero degli Enti con la contemporanea promozione dei Municipi a Comuni, e con un cambiamento di ruolo del Municipio centrale per diventare la cabina di regia della metropoli, sembra per ora la strada migliore. Ma i tempi sono lunghi ed i problemi restano.

Il gioco squallido dei veti incrociati si somma alle incapacità incrociate della Regione Lazio e del Comune di Roma. Sono giochi di poteri non divisi e non condivisi tra i due Enti. L’attuale città Metropolitana gioca un ruolo solo interdittivo per marcare la sua presenza. E Intanto manca il governo. L’esistenza della città metropolitana come ente intermedio è puro simulacro.

La dimensione geografica di Roma, bene o male coincidente con la perimetrazione amministrativa della città metropolitana, è costantemente ignorata. Il campo fisico in cui la città vive, si muove e lavora non ha piani né programmi né progetti che rendano comprensibili le attività che comunque vi si svolgono e sono inarrestabili, per il solo fatto che la gente lavora. Il conflitto tra Regione Lazio e Comune di Roma ha conseguenze devastanti. Ben poco possono fare oggi i piccoli comuni, costretti tra Regione e Comune di Roma.

La forma fisica della Roma del futuro già esiste ed è perfettamente riconoscibile. Va compresa, acquisita ed aiutata a ritrovare una visibilità nuova ed unitaria.

Il più grande patrimonio paesaggistico e storico-culturale, di circa 4000 Kmq è ostaggio di contese tra lo Stato, che ha competenze sulle strategie infrastrutturali e sulla tutela del patrimonio storico ed archeologico e paesaggistico, e la Regione, che esercita i suoi poteri delegati con discutibile autonomia. La concorrenza campanilista tra i Comuni, con in testa il Comune di Roma non aiuta. Non c’è una visione che permetta di percepire e far vivere la straordinaria eredità su cui si fonda tutta la metropoli. Roma e l’agro romano non sono nati scissi, ed hanno vissuto in continuità fisica e produttiva per decine di secoli. Unica costante caratteristica è la struttura centripeta, che ancora oggi condiziona tutti i rapporti tra centro storico circondato dalla città storicizzata ed aree più esterne. Da sempre la mezza mela etrusca e la mezza mela latina si uniscono e si legano nel torsolo della città storica. La metropoli è definita dai rilievi dell’Appennino e dei vulcani, da un lato, e dal delta del Tevere e dal mare, dall’altro. Tutti gli abitanti vivono nella stessa conca.

La dislocazione delle grandi funzioni metropolitane è già in atto. Va incentivata e razionalizzata completando i poli e le aste della rete già configurata nella realtà esistente (infrastrutture puntuali: porti, aeroporti , università, centri di ricerca; reti infrastrutturali di livello superiore: ferrovie ed autostrade). Nel porto di Civitavecchia possono sbarcare anche 10.000 turisti al giorno dalle navi crociera. L’aeroporto di Fiumicino è un potente motore di livello mondiale. Già ora serve circa 30 milioni di passeggeri/anno ed è in continua crescita. A Frascati esiste una concentrazione di attività di ricerca in continua evoluzione (Banca d’Italia, ENEA, CNR, ISPRA). Sono solo esempi di attività di livello superiore che incarnano la città metropolitana esistente. Attualmente le competenze per il governo di ciascuna di queste attività sono articolate su diversi livelli, da quello nazionale a quello municipale. Manca qualsiasi programmazione e condivisione. Il Piano territoriale della provincia di Roma, anche se approvato nel 2010, quindi relativamente di recente, è un simulacro già vecchio che serve solo per vaghe indicazioni, senza responsabilità e senza ricadute operative. Il mondo nel frattempo è già cambiato.

L’agricoltura ed il paesaggio che gli agricoltori mantengono e rinnovano in tutto l’agro romano (non solo nel Comune di Roma) non possono essere lasciati senza prospettive. Solo gli agricoltori sono i custodi attivi del paesaggio. Grandi estensioni di agro sono abbandonate al degrado, non essendo più remunerativa l’attività agricola. I boschi riconquistano vaste aree un tempo coltivate. E non è certo l’uso delle aree libere all’interno della città per il trastullo dei cittadini urbani nel tempo libero che può sostituire una vera attività produttiva. Una coraggiosa apertura verso la multifunzionalità in agricoltura è stata resa possibile da una recente legge regionale, ma una politica per l’agricoltura metropolitana ancora non c’è, e manca un piano agricolo regionale sostenuto da adeguate risorse.

I municipi del Comune di Roma soffrono di impotenza per mancanza di deleghe (disponibilità economiche nei bilanci municipali e poteri di governo delle trasformazioni locali). Il loro ruolo di sportelli amministrativi decentrati è una soluzione vecchia e di minima. La sola delega della manutenzione ordinaria e straordinaria del patrimonio pubblico locale senza le risorse adeguate non permette ai municipi di svolgere un ruolo attivo.

Le ricerche sulle identità delle unità territoriali di base hanno ormai più di venti anni (CRESME-Comune di Roma 1997/98), le micro città individuate erano più di 200. I criteri per l’identificazione dei territori delle comunità locali sono, a mio avviso, ancora validi. Le micro città individuano nuclei tra i 5.000 ed i 30.000 abitanti. Sono le reali dimensioni dei nostri quartieri. I nomi di questi quartieri già li identificano. E’ molto più aderente alla realtà prendere atto della configurazione storica degli insediamenti esistenti piuttosto che inventare sottoinsiemi del Comune di Roma non basati su criteri sufficientemente oggettivi (Marco Pietrolucci- Confedilizia ha per lo meno tentato una nuova lettura, ma le sue micro città intorno al GRA sono ciascuna delle dimensioni di grandi città capoluogo ). I Municipi ormai sono storicizzati e non penso sia il caso di ridiscuterne i confini amministrativi. Ma i municipi sono sempre grandi città, ciascuna delle dimensioni di circa 200.000 abitanti, e a loro volta sono composti di sottoinsiemi, i quartieri, che sono i veri interlocutori per le trasformazioni locali.

Ormai da molto tempo si registra l’Incapacità degli organi di governo di decidere in tempi ragionevoli per attivare gli investimenti. Si suole dire che i tempi della politica sono lenti. Più che altro dimostrano inadeguatezza e spesso protervia. E si suole (malamente) dire che se c’è la volontà politica, le cose si fanno. Ma a Roma non si fanno. Gli unici investimenti possibili derivano dalla parziale liberalizzazione dei titoli abilitativi edilizi, riguardo ai quali, per la totale assenza degli uffici pubblici, tutte le responsabilità sono scaricate sui professionisti. Non è sufficiente. Il mercato delle manutenzioni e delle ristrutturazioni è attivo perché è ancora l’unica forma di investimento sul mattone dei risparmi delle famiglie. Qualsiasi proposta di miglioramento di una parte di città, quando non si tratta di un’unica proprietà, si incaglia perché non c’è una presenza pubblica capace di imporsi. La conflittualità innescata dai singoli piccoli proprietari in difesa dei loro interessi è alimentata da una legislazione ipergarantista. Quando poi, dopo anni, si riconosce la prevalenza dell’interesse pubblico, la farraginosità delle procedure d’esproprio allunga i tempi di realizzazione delle opere tanto da vanificare l’impresa. Qualsiasi operazione di livello superiore, che riguardi quindi non una singola proprietà, ma parti di città da rinnovare, si insabbia negli impedimenti derivanti dalla incapacità della politica di recepire le istanze locali e dalla ipertrofia normativa.

I programmi integrati, bandiere del pubblico e del privato, sono stati e sono tuttora osteggio dei conflitti tra poteri locali dei Municipi e potere centrale del Comune di Roma. Il risultato è la paralisi. Il Piano Regolatore vigente da dieci anni nel comune di Roma ha già in sé gli strumenti tecnici per governare le trasformazioni urbane senza varianti urbanistiche derogatorie. Tuttavia senza un governo l’attuazione del rinnovo urbano è una favola priva di contenuti o prospettive. Da quando vige il nuovo PRG non ci sono state più deroghe significative, se non quelle minori e fisiologiche. In ogni caso si contano ormai sulle dita di una mano le deliberazioni del Consiglio Comunale in materia di urbanistica, a testimonianza dell’incapacità di governo.

Le fake news sul consumo di suolo continuano ad inquinare il dibattito. Da quando è stato approvato il NPRG, (quindi da dieci anni a questa parte) non è stata più superata la linea che divide la aree trasformabili a fini edificatori da quelle non trasformabili. Le favole sulle devastanti varianti in accordo di programma sono state smentite dai fatti. Quindi non c’è consumo di suolo fuori controllo. Purtroppo non si completano le aree già urbanizzate, e non si ottimizza l’esistente. Sarebbe poi anche il caso di occuparsi dello spreco di suolo. Immense superfici di agro sono abbandonate e solo un’ottica ottusa impedisce di vedere in modo unitario condizioni urbane, suburbane e territori naturali. La stessa attenzione che si deve alla città si deve anche a tutto il territorio.

Un breve cenno sui problemi della casa e della cosiddetta emergenza abitativa. Senza affrontare la questione dello stato del patrimonio residenziale privato, che costituisce la stragrande maggioranza del patrimonio residenziale (circa il 93% di tutti gli alloggi), peraltro oggetto di numerose ricerche anche recenti, nelle cronache si parla sempre di quella quota del 7% di alloggi di proprietà pubblica abitati da circa 70.000 famiglie di disastrati, quasi fosse l’argomento principale. Il patrimonio residenziale pubblico è scarso ed eroso dalle vendite necessarie per far quadrare i bilanci delle ATER e dei Comuni; la sua La sottoutilizzazione è cosa più che nota, si sa anche cosa si potrebbe tecnicamente fare per incrementare significativamente il numero degli alloggi a parità di superficie occupata e di volume, ma i programmi e gli interventi per migliorare la situazione non ci sono.

I numeri che i mezzi di comunicazione ci propinano continuano a ballare. Per Roma il fabbisogno va da 5000 a 30.000 allogi. Eppure i dati ci sono e sono aggiornati in tempo reale. Per lo meno quelli dell’ATER. Non ci sono quelli della Regione né quelli del Comune. Manca ancora la base conoscitiva per un programma.

Le norme di gestione, che risalgono a più di trenta anni fa, sono insufficienti, anzi dannose. Sono state scritte sull’onda dei movimenti per la casa della fine degli anni 70. Vanno riviste, alla luce delle condizioni odierne e delle velocissime dinamiche sociali. Vanno riscritti i diritti ed i doveri per avere in uso un alloggio pubblico. Chi esercita un ruolo pubblico (ATER e Comuni) deve avere gli strumenti per esercitarlo. Oggi non ne ha la possibilità. Tutti hanno una quota di competenze e di responsabilità (lo stato, la regione, la magistratura, il comune, i servizi sociali municipali). Serve una legislazione regionale aggiornata con nuovi principi di gestione coordinata del patrimonio residenziale pubblico, nuovi strumenti e nuove regole. Non bastano gli accorpamenti di vertice delle ATER, che sono solo manovre di piccola ingegneria istituzionale. Serve una nuova legge che permetta di ricondurre ad ordine una gestione da sempre al collasso. Il degrado sociale urbano, comunque, deriva solo in minima parte dall’edilizia popolare, sempre comunque minoritaria, ben più importante è la perdita del senso della città come patrimonio comune.

La vera emergenza è quella educativa tanto nelle periferie che nel resto della città. Anche su questo argomento si sono versati fiumi di inchiostro. La lotta alla criminalità può e deve essere condotta solo dalle forze dell’ordine. La sicurezza invece può essere assicurata solo promuovendo con tutti i mezzi il controllo sociale della legalità.

Pochi dipendenti pubblici, soprattutto municipali, insieme con le organizzazioni del terzo settore stanno sostenendo una battaglia impari per far recuperare agli abitanti il senso della città (nelle scuole di ogni ordine, con l’implementazione della presenza pubblica, nelle biblioteche, nei centri culturali, nei centri sportivi). Tutti questi operatori vanno prima di tutto ringraziati per aver sostenuto le comunità in questi ultimi disastrosi anni e vanno aiutati ad incrementare i loro sforzi coordinando sempre meglio pubblico e privato.

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