La Fiat scopre le carte

La Fiat ha annunciato la chiusura di tutti gli stabilimenti e la messa in cassa integrazione

dei lavoratori dipendenti per due settimane.

E’ una dura replica, in realtà annunciata già alla fine del 2009, alla decisione del governo italiano di sospendere gli incentivi alle imprese automobilistiche. Di chi il torto e di chi la ragione? Colpevole chi sospende gli incentivi in piena crisi o di chi scarica immediatamente sui lavoratori il peso di tale sospensione?

E’ inutile dire che la replica della Fiat non ci è affatto piaciuta. Quella seguita è veramente una via troppo facile per scaricare i problemi sempre sulla parte più debole. Ma va ricordato con franchezza che Etica ed Economia non ha mai approvato ed apprezzato la politica degli incentivi all’offerta. Che questa fosse una strada non percorribile a lungo avrebbe dovuto essere cosa nota a tutti e, in primo luogo, alla maggioranza che sostiene questo governo.

Siamo stati criticati e attaccati per averlo detto fin dall’inizio. Per avere detto cioè che gli incentivi all’offerta – il che significa addossare a tutti i contribuenti il costo del sostegno dato alle imprese – possono servire solo in casi di breve periodo e di estrema emergenza, ma che essi sono del tutto inutili se non concepiti come misura ponte in attesa del maturare degli effetti del sostegno dato alla domanda. Non serve avere studiato Adam Smith per capire che sostenere qualsiasi produzione che non ha sbocchi e che non si incontrerà con consumatori in grado di pagare è non solo inutile ma dannoso. Significa solo finanziare uno spreco.

E qui il discorso torna alla passività del governo di fronte al dovere di costruire una via

di uscita dalla crisi. Non si esce dalla crisi seguitando a ripetere dai microfoni di Porta a porta (massima espressione della cultura Rai) che la crisi non c’è. La crisi c’è e lo dicono i lavoratori disoccupati in continuo aumento, lo dicono piccole imprese industriali e commerciali che falliscono; lo dicono i dati dell’Istat e di Bankitalia, lo dicono le Borse e

le banche. La crisi c’è, ma non interessa questo governo, attento solo ai “lodi” che via via l’avvocato Ghedini inventa a protezione del premier. L’unico problema attorno a cui la maggioranza opera e lavora è quello della giustizia. L’economia e la crisi non esistono nella rubrica giornaliera e settimanale dei ministri e se non esistesse l’UE con le sue direttive si procederebbe solo amministrando il Bilancio, aspettando che avvenga il miracolo del “ritorno a prima” e rinviandone la data dal 2010 al 2011.

I problemi di fondo che questa crisi pone – dall’uso migliore di risorse limitate alla creazione di domanda pubblica, dalla ricerca di una misura di benessere diversa dal PIL o integrativa di esso alla riduzione delle disuguaglianze – sono assenti dal calendario della politica italiana non ostante le sollecitazioni internazionali e l’esempio che attraverso avanzate e arresti viene dagli Stati Uniti (creazione di due milioni di posti di lavoro, allargamento dei diritti di cittadinanza e quindi del welfare ecc.). Ed è per questo motivo – è qui che emerge la responsabilità del governo – che non si riesce a dare una risposta adeguata alla Fiat e prospettare sbocchi nuovi e meno inquinanti e invasivi alla sua produzione di auto. Creazione di nuova domanda e qualificazione nuova di tale domanda sono problemi legati tra loro e non eludibili. La fine della crisi non ci sarà donata; dobbiamo conquistarla e, in una certa misura,”inventarla”.

 

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