La dinamica della disuguaglianza in Italia dagli anni ’80 ad oggi

Giovanni Gallo, facendo uso dei dati disponibili nel World Inequality Database, mostra alcune evidenze sulle dinamiche della disuguaglianza dei redditi in Italia, anche in comparazione con Francia, Svezia, Regno Unito, Cina e Stati Uniti. Gallo rileva che nel periodo 1980-2016 in Italia si è avuto un aumento significativo della disuguaglianza dei redditi individuale lordi, largamente superiore a quello di altri paesi europei, ma più contenuto rispetto a Cina e Stati Uniti.

Negli ultimi decenni, l’Italia ha registrato un forte aumento nella disuguaglianza dei redditi (cfr. “Il mercato rende diseguali? La distribuzione dei redditi in Italia” a cura di M. Franzini e M. Raitano, 2018). Questo inasprimento delle disuguaglianze, tuttavia, non ha riguardato solo il nostro Paese ma il complesso dei paesi occidentali. Con l’ausilio dei dati messi a disposizione nel World Inequality Database (WID), uno degli archivi più estesi sull’evoluzione storica della distribuzione mondiale dei redditi e delle ricchezze, in questo articolo si forniscono alcune evidenze sulle dinamiche della disuguaglianza dei redditi in Italia, nonché un confronto con alcuni importanti paesi: Francia, Svezia, Regno Unito, Cina e USA.

Per consentire di valutare in quale misura i mercati creino disuguaglianze, a fronte di sistemi fiscali nazionali fortemente eterogeni, in questo contributo si fa esclusivo riferimento al reddito lordo, inteso come la somma dei redditi di mercato e da pensione, senza considerare le imposte e i trasferimenti monetari non pensionistici. In base a questo approccio, le pensioni sono, dunque, ritenute una forma di salario differito piuttosto che un mero trasferimento monetario. In linea con le scelte metodologiche del WID, piuttosto che fare riferimento ai redditi familiari o individuali o equivalenti, vengono considerati i redditi “pseudo-individuali” (equal-split adults incomes), ottenuti dividendo il reddito lordo familiare complessivo per il numero di adulti che vivono nello stesso nucleo. Per brevità, qui ci si riferisce comunque a questi come redditi individuali lordi. Queste particolarità della definizione di reddito adottata nel WID conducono a valori degli indicatori di disuguaglianza, soprattutto con riguardo all’indice di Gini, piuttosto “inediti” nella vasta letteratura economica che interessa il nostro Paese, benché i rispettivi trend rimangano similari.

La Figura 1 mostra che in tutti i paesi considerati tra il 1980 e il 2016 (i dati sono disponibili fino al 2015 per la Cina e al 2014 per Francia e USA) la quota del reddito totale detenuta dal top 1% è in crescita mentre, all’opposto, quella detenuta dal 50% più povero della popolazione è in costante calo. Solo in Francia e nel Regno Unito la quota di reddito concentrata nelle mani del 50% più povero ha smesso di diminuire dagli anni 2000, così come nello stesso periodo appare più stazionaria la quota detenuta dal top 1% in Italia e in Francia.

Figura 1. Quote del reddito totale detenute dal top 1% e dal 50% più povero per Paese e anno

Fonte: Elaborazioni dell’autore su dati del World Inequality Database.

Fonte: Elaborazioni dell’autore su dati del World Inequality Database.

Benché i trend siano comuni, i sei paesi analizzati registrano livelli (relativi) di reddito dei super-ricchi piuttosto differenti, come già messo in luce da FraGRa sul Menabò. L’Italia e la Svezia sono i paesi dove il top 1% detiene la minore quota del reddito totale lordo a livello nazionale (e il 50% più povero della popolazione la quota più elevata), mentre gli USA sono caratterizzati chiaramente dalla maggiore concentrazione di reddito al top. È interessante notare, comunque, come la Cina sia passata, in circa 30 anni, dall’avere un livello di disuguaglianza nei redditi in linea con quello dei paesi europei a presentare quote di reddito nei due estremi della distribuzione sempre più simili agli USA, soprattutto per quanto riguarda quella detenuta dal 50% più povero.

Guardando l’intera distribuzione del reddito, con specifico riferimento all’Italia, la Figura 2 ne mette in evidenza la dinamica distinguendo tre classi: i) il 10% più “ricco” della popolazione; ii) il successivo 40%; e iii) il 50% più povero. Nel 1980 il 10% più ricco della popolazione italiana deteneva il 23% del reddito totale, mentre nel 50% più povero era concentrato il 30% del reddito. Da allora il divario tra poveri e ricchi in Italia ha subito un significativo inasprimento, tanto che nel 2016 il 10% più ricco deteneva il 29% del reddito totale e il 50% più povero il 24%. L’intervallo temporale in esame sembra essere composto da tre fasi distinte. Nella prima, tra il 1980 e il 1985, in Italia si assiste ad una diminuzione della disuguaglianza economica. Nella seconda, nel periodo 1985-2001, le quote di reddito detenute dal 10% più ricco e dal 50% più povero divergono totalmente, delineando probabilmente la fase di maggiore crescita della disuguaglianza nella storia recente del nostro Paese. In questo stesso periodo, non a caso, il top 1% registra un incremento della quota di reddito detenuta del 64% rispetto al 1980. Infine, la terza fase è quella che si sviluppa successivamente al 2001, quando si osserva una certa stazionarietà nel livello della disuguaglianza economica nella popolazione italiana, ad eccezione del 2016 in cui si registra un nuovo aumento.

Con riguardo a “il successivo 40%” (ossia coloro che si collocano tra il 50° e il 90° percentile della distribuzione del reddito), è molto interessante constatare che è l’unica classe a non evidenziare alcuna variazione significativa nella quota del reddito totale detenuta. In altre parole, questa classe rimane sempre tanto ricca quanto nel 1980, mantenendosi stabile anche a seguito degli importanti shock economici che si sono registrati nel periodo qui analizzato, come ad esempio quello della Grande Recessione.

Figura 2. Quote del reddito totale detenute in Italia per classe di reddito e anno

Fonte: Elaborazioni dell’autore su dati del World Inequality Database.

Fonte: Elaborazioni dell’autore su dati del World Inequality Database.

Gli andamenti appena descritti delle quote di reddito tra gruppi della popolazione si riflettono sulla dinamica dell’indice di Gini (Tabella 1). Tutti e sei i paesi considerati vedono l’indice di Gini del reddito individuale lordo crescere nel periodo 1980-2014. Dopo gli USA, la Francia è il paese con l’indice di Gini più elevato agli inizi degli anni Ottanta, ma è anche quello che registra la minore variazione dell’indice (+6%), seguito dal Regno Unito (+11%). Nel 1980 l’Italia mostra un basso indice di Gini, simile a quello della Svezia, ma il forte aumento della disuguaglianza verificatosi negli anni Novanta ha condotto il nostro Paese a un indice pari a 0,38 nel 2014 (+28%) e a 0,39 nel 2016 (+31%). Come atteso, la Cina è invece il paese caratterizzato dalla maggiore variazione percentuale dell’indice di Gini, con un aumento del 54% nel periodo 1980-2014 che porta il paese asiatico a livelli di disuguaglianza economica vicini a quelli degli Stati Uniti.

L’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile dell’ONU, sottoscritta nel settembre 2015 da 193 paesi membri, individua tra i suoi 17 obiettivi quello di ridurre le diseguaglianze all’interno e tra le nazioni (Obiettivo 10). Nello specifico, il target 10.1 chiede ai paesi di “raggiungere progressivamente e sostenere la crescita del reddito del 40% della popolazione nello strato sociale più basso ad un tasso superiore rispetto alla media nazionale” entro il 2030. Per verificare il raggiungimento di tale obiettivo, OXFAM nel suo rapporto 2018 raccomanda ai governi di mirare a un indice di Palma non superiore a 1, laddove tale indice, rispetto al Gini, è più sensibile ai cambiamenti nelle code della distribuzione del reddito, essendo ottenuto dal rapporto tra il reddito complessivamente detenuto dal 10% più ricco della popolazione e quello detenuto dal 40% più povero. I valori assunti nel periodo 1980-2016 dall’indice di Palma per i paesi qui in esame sono mostrati nella Tabella 2.

Ad esclusione della Svezia nel 1990, nessun paese riporta un indice di Palma del reddito non superiore a 1, evidenziando che forse l’obiettivo proposto da OXFAM è da considerarsi troppo ambizioso. Di fatto, solamente la Svezia e l’Italia registrano valori vicini all’unità, soprattutto negli anni Ottanta, salvo poi mostrare una crescita significativa negli anni successivi. Tra il 1980 e il 2016 l’indice di Palma in Italia aumenta addirittura del 62%, rendendo più complesso per il nostro Paese il raggiungimento dell’obiettivo sulla disuguaglianza dell’Agenda2030. I paesi che devono comunque preoccuparsi maggiormente sono – ancora una volta – USA e Cina, dove il Palma ratio è più che raddoppiato negli ultimi trent’anni e nel 2014 supera, rispettivamente, il valore di 6 e 4.

In questo quadro di disuguaglianze crescenti nei redditi lordi, c’è da chiedersi quale contributo potrebbe generare sulla disuguaglianza dei redditi disponibili – ritenuti solitamente la miglior proxy del benessere economico individuale – una riforma del sistema fiscale ispirata alla flat tax, come quella presente nel “Contratto di Governo” fra Lega e Movimento 5 Stelle. Come mostrato, tra gli altri da Baldini e Rizzo (Flat Tax, Il Mulino, 2019) una riforma di questo tipo determinerebbe, oltre a un minor gettito, un maggiore risparmio fiscale soprattutto per le classi di reddito più abbienti. Il rischio di un’eventuale flat tax sarebbe dunque quello di peggiorare in modo significativo la capacità del sistema nazionale di tassazione dei redditi di contrastare l’alta disuguaglianza economica nel nostro Paese, e tale peggioramento sarebbe solo in parte compensato dagli effetti perequativi legati all’introduzione del Reddito di Cittadinanza.

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