La difficile scelta del giusto vaccino

Ugo Pagano ricorda che grazie anche a cospicui contributi pubblici alcune società farmaceutiche occidentali hanno sviluppato vaccini molto innovativi contro il Covid 19, su cui continuano a pesare i loro diritti di proprietà intellettuale. Pagano sostiene che questi ultimi rendono difficile una valutazione comparativa dei meriti dei diversi vaccini e la loro produzione e diffusione a livello globale; inoltre, le caratteristiche dei nuovi vaccini andrebbero attentamente comparate con i tradizionali vaccini inattivati che non sono brevettabili e hanno riscosso scarso interesse presso le società farmaceutiche occidentali.

Un vaccino sicuro ed efficace è l’unico modo per superare la pandemia. A chi scrive sono sempre sembrate fuori luogo le polemiche contro i vaccini. Questo non ci esime dal valutare e comparare in modo rigoroso i vaccini fra breve disponibili che hanno, fra l’altro, caratteristiche molto diverse. Mentre la valutazione nel merito del vaccino più idoneo dovrà essere fatta da esperti della materia, i modi di regolare la scelta e la concorrenza fra i diversi vaccini riguarda anche chi si occupa di scienze sociali e, più in generale, tutti i cittadini.

Prima degli straordinari progressi della genetica, la diversità di strategie nello sviluppo dei vaccini aveva riguardato lo stato del virus da iniettare per generare gli anticorpi. Sul vaccino antipolio Salk e Sabin seguirono due strategie diverse. Nel caso del vaccino inattivato di Salk si neutralizzavano i virus e si sperava che l’organismo reagisse in modo adeguato con la produzione di anticorpi anche in presenza di virus “morti”. Il metodo di Sabin si basava invece su virus depotenziati ma ancora attivi – un metodo che presentava il problema opposto e cioè che il virus non provocasse esso stesso l’infezione che doveva curare.

La genetica moderna ci ha permesso di rendere meno pericolose le alternative al vaccino inattivato. Ora è possibile iniettare solo un frammento del patrimonio genetico del virus usando come vettore un altro virus innocuo ed è possibile con tecniche ancora più avanzate trasmettere alle cellule istruzioni utili a combattere il virus (come nel caso dei vaccini RNA). È certamente molto positivo che queste nuove tecniche sembrino dare in tempi rapidi dei buoni risultati e che siano numerosi i vaccini candidati all’uso clinico. Tuttavia la scelta è difficile proprio a causa della pluralità di candidati e non aiuta affatto che essa debba essere fatta in un contesto molto diverso da quello dei tempi di Salk e Sabin.

Allora la ricerca dei vaccini si svolgeva presso le Università grazie a fondi pubblici (e ai contributi di varie fondazioni non-profit). Né Salk né Sabin pensarono mai di brevettare i loro vaccini. A chi gli chiedeva chi possedesse il brevetto Salk rispose “Well, the people I would say. There is no patent. Could you patent the Sun?” e Sabin disse che il suo vaccino era il “suo regalo a tutti i bambini del mondo”. Non vi fu concorrenza economica a fini di lucro fra le due modalità di vaccino anti-polio (che tuttora coesistono). Vi fu, invece, una sana e aperta concorrenza scientifica, che divise il mondo in ben distinte zone di adozione dei due vaccini. L’assenza di brevetti permise una rapida diffusione dei vaccini con costi molto contenuti. Erano tempi in cui era ancora molto forte il binomio “open science – open markets”. Una scienza che pubblicava apertamente i propri risultati permetteva poi alle aziende farmaceutiche di sfidarsi in mercati aperti.

Il capitalismo degli ultimi tre decenni, basato sulla privatizzazione della conoscenza e sui monopoli intellettuali, è molto diverso. Il binomio “closed science – closed markets” è quello prevalente. Segreti e brevetti, invece della corsa alla pubblicazione, tipico della open science, caratterizzano la produzione dei farmaci e ne assicurano il monopolio. Nel caso dei vaccini questo modello ha mostrato notevoli svantaggi, solo in parte attenuati dagli enormi sussidi per la ricerca dati ad alcune aziende farmaceutiche.

Gli Stati si sono assunti i rischi finanziari della ricerca. Per esempio il governo americano ha dato a Moderna 1 miliardo di dollari per avviare la ricerca e un contratto anticipato di 1,5 miliardi di dollari per la fornitura di dosi. Persino con una pandemia in corso, in assenza di ingenti finanziamenti statali, gli investimenti in vaccini sono considerati troppo rischiosi dalle società private. Lo sono ancora di più nel caso di vaccini per malattie rare o contro virus presenti in altri esseri viventi che possono fare un salto di specie

Nonostante i cospicui finanziamenti pubblici Moderna, come Pfizer, continua a far valere i suoi diritti di proprietà intellettuale. I prodotti sono stati sviluppati in un clima di segretezza e i risultati sono stati diffusi mediante comunicati stampa e non attraverso riviste scientifiche. Questi comunicati hanno permesso ai manager e ad altri proprietari di vendere le loro azioni a prezzi molto alti ma non hanno certo contribuito ad innalzare la fiducia che degli individui nei vaccini. È naturalmente vero che l’efficacia e la sicurezza dei vaccini sono anche garantiti dalle autorità pubbliche preposte a questo scopo. Tuttavia queste autorità possono svolgere meglio il loro lavoro, ed evitare una cattura da parte di interessi particolari, se possono avvalersi di un dibattito e di una verifica che coinvolgono tutta la comunità scientifica internazionale. Questo è forse incompatibile con i profitti derivanti da brevetti e segreti ma proprio questa incompatibilità costituirebbe un argomento a supporto delle procedure della open science.

I diritti di proprietà intellettuale pongono problemi non solo nella fase di sviluppo del vaccino ma anche al momento della sua produzione e distribuzione. In loro assenza si potrebbero sfruttare le capacità produttive dei molti impianti idonei esistenti in tutto il mondo. Invece non aver nemmeno previsto per questi vaccini delle licenze obbligatorie renderà molto lenta la produzione dei vaccini generando ritardi che potrebbero costare numerose vite umane.

Le compagnie farmaceutiche hanno prevalentemente investito in nuove tecnologie proprietarie ma, questa strategia non era, l’unica possibile e, per certi versi, forse nemmeno la più conveniente. Il tradizionale ma ben collaudato metodo Salk, legato a una tecnologia ormai ben difficilmente brevettabile, poteva portare a risultati validi, come provano i numerosi casi in cui, dopo la polio, sono stati usati virus o altri microrganismi inattivati: colera, difterite, encefalite, polmonite pneumococcica, rabbia, tetano, tifo ecc. Tuttavia, la strada di Salk non è stata seguita da nessuna delle grandi imprese farmaceutiche occidentali, verosimilmente a causa degli esegui profitti che si realizzano quando si segue una strada ben nota, che molto difficilmente permette di brevettare prodotti innovativi.

Se si scorre l’elenco dei candidati al vaccino del WHO (World Health Organization) fra i vaccini inattivati nella terza fase (quella finale) troviamo ben tre candidati cinesi (Sinovac, Sinopharm con Wuham Institute of Biological Products e Sinopharm con Beijing Institute of Biological Products) e uno indiano (Bharat Biotech anche se solo all’inizio della terza fase). Non vi è, invece, nessuna compagnia occidentale.

Con molto ritardo qualche compagnia occidentale comincia a sviluppare vaccini inattivati e qualche governo europeo comincia a dare credito a questa vetusta ma ben collaudata tecnologia. Per esempio la compagnia francese Valneva (i cui impianti di produzione sono a Livingston in Scozia) compare nella lista del WHO con un vaccino inattivato che è tuttavia ancora nella prima fase. Ciò nonostante, ha annunciato di essersi assicurata in data 14 settembre un contratto con il governo inglese per 60 milioni di dosi (al costo di 470 milioni di euro con opzioni per 130 milioni di dosi fra 2022 e 2025 – un prezzo ben più basso di quello pagato per i vaccini prodotti con tecnologie più moderne).

Avendo contenuto con altri mezzi l’epidemia la Cina ha dovuto sperimentare l’efficacia del vaccino all’estero. La sperimentazione è ormai in una terza fase avanzata in numerosi paesi come il Brasile, la Turchia, l’Indonesia, le Filippine e Abu Dhabi. Il caso di Abu Dhabi è particolarmente interessante perché il paese è molto ricco e non ha certo problemi a comprare vaccini sofisticati e costosi: con una procedura di emergenza a tutto il personale ospedaliero e a tutte le persone più esposte al virus è stato somministrato uno dei vaccini inattivati cinesi, quello della Sinovac. Analogamente, la stessa Cina ha vaccinato oltre un milione di persone e in particolare tutti coloro che andando all’estero rischiavano al loro rientro di fare ripartire l’epidemia. Inoltre i Cinesi hanno prontamente pubblicato i risultati della seconda fase su The Lancet mostrando fiducia nel vecchio binomio open science – open market e anche Astrazeneca sta seguendo la stessa strada.

È naturalmente troppo presto per dire come finirà questa gara fra vaccini che ormai presenta, purtroppo, anche i caratteri di un conflitto geopolitico. E queste note non hanno lo scopo di fare una simile previsione. Da quanto precede possono, però, trarsi alcune implicazioni rilevanti per individuare il mondo verso il quale indirizzarsi nel futuro non immediato e, d’altro canto, per compiere a breve la scelta difficile di quale vaccino adottare.

Anzitutto, sembra evidente che il regime di “closed science – closed markets”, ovvero il capitalismo dei monopoli intellettuali che prevale nel mondo occidentale, porta ad investire in modo soddisfacente solo in un intervallo molto piccolo dell’insieme di opportunità di investimento. Sono esclusi da questo intervallo, da un lato i progetti di investimento eccessivamente rischiosi (a meno che gli Stati non assumano quasi tutti i rischi pur lasciando alle imprese alti profitti, indiscussi diritti di proprietà intellettuale e diritto alla segretezza industriale) e, dall’altro lato, anche progetti poco rischiosi ma con limitate prospettive di profitto perché i prodotti non sono brevettabili (come per il caso dei vaccini inattivati). Un intervento pubblico fondato su scienza e mercati aperti potrebbe recuperare queste opportunità di investimento, così importanti per la nostra salute, che il modello di capitalismo prevalente nel mondo occidentale rischia di non sfruttare.

In secondo luogo, iniziative come il COVAX (un portafoglio condiviso di vaccini per il Covid 19 lanciato dal WHO) hanno aperto un importante spiraglio di cooperazione internazionale e di equo accesso ai vaccini; tuttavia molto va ancora fatto contro il cosiddetto nazionalismo dei vaccini e in generale per migliorare le istituzioni della produzione di farmaci. Il nazionalismo dei vaccini consiste in un disdicevole scambio in cui lo Stato, in cambio di una priorità di uso dei medicinali e altri vantaggi economici e politici, sussidia alcune imprese e ne garantisce la segretezza industriale e i diritti di proprietà intellettuali. Pur essendo la conoscenza un bene di cui ciascuno può disporre senza limitarne la disponibilità per altri, ogni paese ne favorisce una inefficiente e ingiusta privatizzazione. Siamo di fronte a un classico problema di dannoso opportunismo economico da risolvere con accordi multilaterali. Se usufruire degli investimenti degli altri senza fare la propria parte costituisce una forma di concorrenza sleale, allora la partecipazione al WTO (World Trade Organization) e al commercio internazionale dovrebbe comportare livelli minimi obbligatori di investimenti in open science. Solo in questo modo potremo trovarci più preparati di fronte a future epidemie e in generale, potremo evitare un forte sotto-investimento nei beni globali comuni.

Infine, una considerazione su alcuni criteri utili per affrontare la scelta del vaccino che dovremo fare fra breve. I vaccini più sofisticati (come quelli RNA) potrebbero dare risultati inferiori in termini di efficacia, sicurezza e tempi di produzione rispetto a quelli sviluppati con metodi più tradizionali. Questo non significa che gli investimenti in quei vaccini e i relativi contributi pubblici siano sprecati. I risultati raggiunti potranno servire per lo sviluppo di nuovi vaccini e per fronteggiare altre malattie. In ogni caso il campo di applicazione di queste nuova classe di farmaci è molto ampia e promettente. Tuttavia le spese sostenute e i contratti preliminari con le case farmaceutiche non devono far dimenticare che la scelta dei vaccini migliori in termini di sicurezza, efficacia e di celere disponibilità richiede una discussione trasparente nella comunità scientifica. Le barriere, spesso protezionistiche, derivanti dai diversi sistemi di regolamentazione non devono distoglierci da questo obiettivo. Se per esempio nessuna impresa occidentale avrà ancora un valido vaccino inattivato al momento della scelta questo non dovrà essere un motivo per non considerare questa classe di vaccini fra i candidati possibili. Lo scopo della regolamentazione è quello di permettere l’accesso ai farmaci migliori senza privilegiare i paesi che li hanno prodotti e indipendentemente dai sentieri più o meno innovativi seguiti dagli scienziati.

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