La crisi pandemica e la necessità di riformare gli ammortizzatori sociali

Dario Guarascio analizza i limiti del sistema di protezione sociale messi in evidenza dalla crisi pandemica e sintetizza la proposta di riforma degli ammortizzatori sociali avanzata dalla Commissione del Ministero del Lavoro. Tale proposta ha delineato i contorni di un intervento che ridisegni gli ammortizzatori sociali, sia quelli in costanza di rapporto di lavoro sia quelli in carenza di occupazione, in modo che tutti possano accedere alle stesse prestazioni, e di uguale durata, per le stesse causali.

La crisi economica innescata dal diffondersi della pandemia da Sars-Cov-2 ha contribuito ad esacerbare le diseguaglianze – sociali, economiche e territoriali – che da lungo tempo affliggono l’economia italiana. Nel farlo, la crisi ha messo in luce i limiti di un sistema di protezione sociale e, in particolare, di ammortizzatori sociali incapace di tutelare tutte le categorie e i soggetti che hanno bisogno di supporto e di fornire prestazioni di entità e durata adeguata a tutti coloro che ne hanno diritto.

Queste note proseguono la riflessione avviata sul Menabò da Franzini e Raitano circa lo stato degli ammortizzatori sociali in Italia e le possibilità di riforma che stanno emergendo nel dibattito di politica economica. In primo luogo, vengono passati in rassegna i limiti e le iniquità dell’attuale sistema di ammortizzatori sociali distinguendo tra strumenti in costanza e in assenza di rapporto di lavoro. A partire da ciò vengono illustrati in modo sintetico i contenuti della proposta di riforma avanzata dalla Commissione nominata nel luglio 2020 dall’ex Ministro del Lavoro Nunzia Catalfo (la Commissione era presieduta dal Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali e composta da Marco Barbieri, Dario Guarascio, Mariella Magnani, Vito Pinto e Simonetta Renga. Le attività della Commissione si sono concluse il 31 marzo 2021. Resta inteso che opinioni espresse, eventuali refusi o inesattezze sono interamente ascrivibili all’autore del presente articolo).

La Cassa Integrazione Ordinaria (CIGO), decisiva per garantire (almeno in parte) i redditi di milioni di lavoratori nel corso della pandemia, copre solo alcuni settori produttivi e fornisce prestazioni differenziate, in termini di entità e durata, a seconda della natura del settore e delle dimensioni dell’impresa. Ciò vuol dire che per un’ampia platea di lavoratori il sostegno al reddito è insufficiente se non del tutto assente. Questo è particolarmente vero per quei lavoratori impiegati in settori (ove prevalgono imprese di piccole dimensioni e si concentrano occupazioni temporanee e a basso salario) coperti non dalla CIGO ma dai cosiddetti Fondi Alternativi e di Solidarietà. Pensati in larga parte per le imprese con minore capacità contributiva e sottoposti a rigidi vincoli finanziari, questi Fondi tendono di fatto a replicare nel dominio delle prestazioni sociali le diseguaglianze che già presenti nel mercato del lavoro. A ciò si aggiungano le ulteriori disparità e la confusione generata dagli interventi in deroga (i.e. Cassa Integrazione in Deroga – CIGD) che vanno a tamponare in modo estemporaneo ed emergenziale specifiche criticità settoriali/territoriali offrendo scarse garanzie per quanto riguarda l’adeguatezza degli interventi e la qualità della implementazione (per una trattazione dettagliata si veda S. Renga, “Un taccuino per la riforma degli ammortizzatori sociali”, Rivista del Diritto della Sicurezza Sociale, 2021).

Sempre in relazione all’entità delle prestazioni, la forte diffusione del lavoro part-time, in particolar modo quello di natura involontaria, ha determinato un allargamento della forbice tra chi ha accesso a prestazioni CIG di entità adeguata (tendenzialmente i lavoratori con contratti a tempo pieno e retribuzioni medie e medio-alte), e chi percepisce somme ben più basse dei massimali previsti, spesso insufficienti a coprire i bisogni primari.

Per quanto concerne le misure di sostegno al reddito in caso di perdita del posto di lavoro (le attuali NASPI e DISCOLL), il sistema presenta diversi limiti: i) tutele di entità inferiore per chi è esposto a rischi maggiori (in primis i lavoratori a termine) e per chi ha carriere lavorative altamente frammentate; ii) assenza di tutele più vantaggiose per chi entra in stato di disoccupazione in età anziana, dunque con basse probabilità di rioccupazione; iv) completa assenza di tutele per i giovani che tentano di entrare nel mercato del lavoro.

In particolare, la logica individualistico-assicurativa che sottende al disegno della NASPI si è dimostrata particolarmente penalizzante per chi sperimenta condizioni di fragilità relativa all’interno del mercato del lavoro (i.e. persone con competenze medio-basse, individui che vivono condizioni di disagio socio-familiare e in zone caratterizzate da prospettive occupazionali e reddituali inferiori alla media nazionale) e ha determinato di fatto un accentuazione delle diseguaglianze.

Si pensi al meccanismo del décalage, il cui senso ex art. 4, co. 3, d.lgs. 22/2015 è quello di sollecitare comportamenti proattivi sul mercato del lavoro da parte dei beneficiari riducendo le prestazioni del 3% al mese a partire dal 4° mese, a prescindere dall’entità delle prestazioni stesse. Nella situazione di stagnazione economica (e dunque di carente o assente domanda di lavoro) che caratterizza numerose aree del paese, il tentativo di ‘stimolare la proattività individuale’ tende a trasformarsi in una indebita colpevolizzazione dei disoccupati che, in molti casi, hanno perso occupazioni discontinue e a basso reddito.

Inoltre, la pandemia ha messo nuovamente in evidenza la segmentazione del mercato del lavoro italiano, nel quale una massa sempre più consistente di autonomi a basso reddito, parasubordinati, lavoratori discontinui e soggetti privi di qualsiasi riconoscimento formale del proprio rapporto di lavoro non dispone di alcuna tutela o di tutele del tutto inadeguate. A ciò dovrebbe associarsi, inoltre, il contrasto di fenomeni tanto pervasivi quanto nefasti da un punto di vista micro e macroeconomico quali il part-time involontario e le ‘false partite IVA’. È opportuno infatti ricordare come una parte rilevante del lavoro è costituita dal lavoro autonomo e la sua rilevanza in Italia è assai maggiore che nella media dei Paesi europei per ragioni storiche che qui non mette conto discutere: EU 28 14,3%; Italia 21,7% (fonte: Commissione Europea, Employment and Social Developments in Europe, 2019).

All’interno della vasta area del lavoro autonomo italiano si concentrano importanti sacche di fragilità (significativamente popolate da giovani) caratterizzate da individui che optano per questo tipo di lavoro più per adeguarsi alle prassi organizzativo-istituzionali del settore di appartenenza che in virtù di una deliberata scelta orientata alla maggiore autonomia organizzativa. Questi lavoratori sono spesso esposti a elevati gradi di incertezza, sperimentano traiettorie reddituali e contributive inferiori a quelle dei lavoratori standard e non dispongono delle tutele che il Legislatore offre sia in costanza sia in assenza di rapporto di lavoro (un primo passo nella direzione della tutela dei soli lavoratori autonomi iscritti alla gestione separata dell’INPS è stato compiuto con l’introduzione, lo scorso dicembre, dell’ Indennità Straordinaria di Continuità Reddituale ed Operativa (ISCRO) che prevede l’erogazione di una somma pari al 25% di quanto percepito l’anno precedente la presentazione della domanda da chi avesse avuto un calo della propria attività del 50% o superiore).

Come già sottolineato da Franzini e Raitano, risolvere i problemi che affliggono il sistema degli ammortizzatori sociali non è compito facile. In primo luogo, tuttavia, andrebbero considerate misure di carattere pre-distributivo in grado di contrastare la diffusione delle forme contrattuali atipiche che tendono ad associarsi a bassi salari, elevata incertezza e inadeguata contribuzione. In questo contesto, un insieme organico di interventi di riforma del sistema degli ammortizzatori sociali è contenuto nella proposta elaborata dalla Commissione del Ministero del Lavoro menzionata in precedenza. Il punto cardine della proposta di riforma è l’universalizzazione delle tutele. Un’universalizzazione, fondata sul principio mutualistico-assicurativo e declinata nel rispetto delle eterogeneità del sistema produttivo italiano (i.e. un ‘universalismo differenziato’), in grado di eliminare le disparità nell’accesso alle prestazioni di sostegno al reddito e di rendere la rete di protezione tempestiva e efficace a prescindere dal settore, dalle dimensioni d’impresa e dalla natura contrattuale dei rapporti di lavoro (il testo completo della proposta è disponibile qui). La prima lezione che si deve trarre dalla pandemia è che l’estrema frammentazione del sistema, insieme all’esistenza di ampie zone di carenza di tutela, hanno reso farraginosa l’effettiva percezione delle provvidenze stabilite dal Legislatore. Di conseguenza, la prima linea di riforma proposta dalla Commissione consiste nel fare in modo che, per quanto possibile, le persone percepiscano le stesse prestazioni, per le stesse causali e per la stessa durata: cioè che sia configurata una prestazione universale sia per gli ammortizzatori sociali in costanza di rapporto sia per quelli in carenza di occupazione. Per quanto riguarda il sistema degli ammortizzatori in costanza di rapporto di lavoro (CIGO e CIGS), vengono indicate le seguenti direttrici di intervento:

  • estensione della CIG a tutti i lavoratori includendo coloro che oggi sono coperti dai Fondi e chi è privo di copertura
  • aumento del tetto dell’integrazione salariale al fine di garantire che tutti i percettori ottengano effettivamente l’80% della retribuzione e previsione di una soglia minima per evitare che coloro che hanno un rapporto di lavoro a tempo parziale ricevano una prestazione inferiore ad una soglia minima che, tra le varie ipotesi, si è immaginata coincidere con l’importo massimo erogabile dal Reddito di cittadinanza
  • incentivazione del contratto di solidarietà così da ridurre il rischio che fasi di crisi e/o di ristrutturazione si traducano in una non necessaria distruzione di posti di lavoro e competenze.

Per quanto concerne la tutela del reddito nel caso di perdita del posto di lavoro la proposta di riforma si concentra sui seguenti elementi:

  • unificazione delle attuali prestazioni di sostegno al reddito (NASPI e DISCOLL)
  • eliminazione del requisito delle 13 settimane di contributi pagati nei 4 anni precedenti per l’accesso alla prestazione per coloro che hanno fino a 35 anni di età
  • aumento della durata delle prestazioni (prevedendo un minimo di 6 mesi) facendo coincidere questa al periodo di contribuzione del percettore
  • abolizione del décalage

La proposta di riforma elaborata dalla Commissione contiene inoltre misure a favore dei lavoratori autonomi iscritti alla gestione separata dell’INPS, che non abbiano versato contributi per un anno. Per questi ultimi è prevista una indennità mensile basata sui contributi versati nei tre anni precedenti. Infine, la proposta prevede un generalizzato rafforzamento delle politiche attive del lavoro: i) superamento del divieto di cumulo tra prestazioni sociali e brevi periodi di lavoro al fine di favorire l’emersione dall’economia informale; ii) obbligo di attività formative a partire dalla tredicesima settimana di CIG; iii) attività formative per i percettori di CIGS a fronte di specifica richiesta da parte delle imprese; iv) divieto di ricorso alla CIGS per coloro che abbiano frequentato i corsi finanziati dal Fondo Nuove Competenze .

La crisi economica scatenata dalla pandemia ha approfondito le diseguaglianze preesistenti all’interno del mercato del lavoro e ha messo in luce come l’attuale sistema di protezione sociale non sia in grado di sostenere in modo adeguato chi più ha bisogno contribuendo, in alcuni casi, alla cristallizzazione delle diseguaglianze. In questo contesto, con la pressione delle imprese per l’eliminazione del blocco dei licenziamenti che cresce di giorno in giorno, l’universalizzazione del sistema degli ammortizzatori sociali e l’eliminazione delle iniquità che lo caratterizzano sono azioni di politica economica non più rinviabili.

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