La corruzione, la sua diffusione e i suoi costi. I problemi di misurazione e l’anomalia italiana

Le diverse modalità di misurazione della diffusione della corruzione, sottolineando le difficoltà che si incontrano a disporre di dati attendibili oltre che confrontabili a livello internazionale. Essi richiamano anche l’attenzione su un’apparente, interessante anomalia che i diversi indicatori della corruzione rivelerebbero per l’Italia.

In termini sintetici e generali, la corruzione si può definire come l’utilizzo improprio di denaro pubblico per guadagni privati o l’abuso da parte di un soggetto del potere a lui affidato al fine di ottenerne vantaggi privati [1. Monteduro et al. 2013, http://trasparenza.formez.it/sites/all/files/volume_1.pdf].

Questa definizione deliberatamente non discrimina le fattispecie giuridiche di corruzione e concussione su cui si sofferma la scheda di Luca Bisori in questo stesso numero del Menabò. Comunque, anche sotto il profilo economico che è quello che qui più interessa, si può accogliere la distinzione secondo cui la corruzione in senso stretto si riferisce ad una situazione in cui un soggetto paga (corrompe) un altro soggetto (che tipicamente ricopre un incarico pubblico) al fine di ottenere illegalmente un vantaggio che non gli spetterebbe di diritto, mentre la concussione si configura come quella situazione in cui un soggetto è indotto a pagare per ottenere ciò che invece gli spetterebbe di diritto. La corruzione in senso lato trova forma concreta in una serie di azioni quali l’appropriazione indebita di fondi pubblici, tangenti, abusi d’ufficio per vantaggi economici personali, nepotismo clientelare.

La rilevanza socio-economica della lotta alla corruzione è messa nel giusto risalto dalla Banca Mondiale (World Bank, 2011) che considera questo fenomeno come uno dei principali ostacoli allo sviluppo economico e sociale.

La natura illegale e quindi sommersa delle transazioni legate a episodi di corruzione rende particolarmente difficile poter disporre di dati sistematici indispensabili per costruire statistiche ufficiali. La corretta conoscenza della diffusione del fenomeno e la valutazione dei costi che pone a carico della collettività dovranno, dunque, attendere il miglioramento nella raccolta dei dati e nell’elaborazione degli indicatori. Al momento la corruzione può essere misurata in base a tre tipologie di indicatori.

Innanzitutto, la pervasività del fenomeno può essere valutata a partire dal numero di condanne e/o denunce per corruzione (o per reati ad essa assimilabili). I dati per l’Italia evidenziano che il numero di denunce per concussione e corruzione (più volatile) è rimasto pressoché costante dal 2004 al 2010 a fronte di una riduzione del numero delle condanne dal 1996 al 2009, che sono passate da circa 1250 a 300 per reati di corruzione e da circa 550 a 250 per reati di concussione. Questi dati – che non è facile porre a confronto con quelli di altri paesi a causa della scarsità di statistiche comparate a livello internazionale – potrebbero indurre a pensare che nel nostro Paese il rischio di corruzione sia costante o addirittura decrescente. Si tratterebbe, però, di una conclusione affrettata. Infatti, l’indicatore che stiamo considerando presenta diversi limiti. Anzitutto, esso cattura soltanto la parte emersa del fenomeno trascurando del tutto quella “nascosta” che verosimilmente è di dimensioni non irrilevanti e magari crescenti nel corso del tempo. Inoltre, questo indicatore è influenzato dal grado di tolleranza legale e sociale verso le pratiche corruttive, che possono mutare nel tempo e nello spazio. Esso riflette, cioè, non soltanto la reale diffusione del fenomeno ma anche molti altri fattori tra cui, in particolare, l’evoluzione delle norme sociali e dei valori culturali, da un lato, e l’efficienza del sistema giudiziario, dall’altro. Anche per questo i confronti internazionali sarebbero poco significativi.

Esistono poi misure di corruzione basate su indagini campionarie, che registrano quanti dichiarano di essere stati concussi o di aver pagato tangenti. Questi indicatori, come Il Global Corruption Barometer (GCB), hanno il vantaggio di catturare in qualche misura l’ampiezza del fenomeno sommerso e forniscono una stima finanziaria dei costi diretti della corruzione. La Banca Mondiale (World Bank, 2013), quantifica il costo diretto della corruzione mondiale – misurata come ammontare di tangenti pagate nel 2001-02 nei paesi in via di sviluppo e sviluppati – in circa il 3% del PIL mondiale (1000 miliardi di dollari). Assumendo arbitrariamente lo stesso rapporto del 3 % anche per l’Italia, il costo diretto della corruzione si aggirerebbe tra i 50 e 60 miliardi annui. E’ ovvio che queste grandezze devono essere valutate con estrema cautela perché come già sottolineato nella Relazione al Parlamento del Servizio Anticorruzione e Trasparenza (SAeT 2010), esistono considerevoli differenze tra paesi e questi numeri hanno uno scarso contenuto informativo senza una più solida base scientifica.

La percentuale di soggetti che dichiara di avere pagato tangenti in Italia si attesta intorno al 13%, leggermente al di sopra della media Europea (11%). I paesi nordici e anglosassoni presentano percentuali molto più basse (dall’1 al 4%), mentre in generale il fenomeno è più diffuso nei paesi dell’Est Europa, dove si supera il 20%. Un altro aspetto interessante della realtà Italiana è che la distribuzione settoriale delle tangenti è piuttosto eterogenea e si concentra maggiormente nella giustizia, nella sanità, nei servizi pubblici locali e nelle dogane. Questi numeri forniscono un quadro approssimato della portata del fenomeno ma non ne catturano certamente la sua dimensione effettiva, né illustrano la sua complessità e la sua eterogeneità.

I costi diretti (ad esempio, la somma delle tangenti pagate), rappresentano solo una quota dei costi economici e sociali connessi alla corruzione. Quest’ultima, infatti, può avere effetti negativi sulla concorrenza – anche agendo indirettamente su incentivi, norme sociali e grado di fiducia nelle istituzioni – e può generare significative distorsioni nell’allocazione del capitale fisico e umano, nell’impiego del lavoro e nella destinazione della spesa pubblica; infine, configurandosi come una “tassa occulta” che riduce il rendimento atteso dell’investimento, la corruzione può influenzare negativamente la propensione ad investire e innovare. Nel complesso, ne risentiranno negativamente i processi di produzione, distribuzione, crescita e sviluppo.

La maggioranza degli indicatori di corruzione si basa quindi su sondaggi mirati a estrarre una misura di percezione della severità delle dinamiche corruttive. Tra i più diffusi, il Corruption Perception Index (CPI) e il Bribe Payers Index (BPI) prodotti da Transparency International, il Control Curroption (CC) curato da World Wide Governance Indicator (WGI) e il Curruption Index distribuito da International Country Risk Guide.

Anche questi indicatori soffrono di importanti limitazioni, la più evidente delle quali è che la percezione di un fenomeno è fortemente influenzata dalle norme sociali e culturali prevalenti in un dato luogo o periodo. Si tratta degli stessi fattori che incidono sulla facilità con la quale la corruzione viene denunciata e sanzionata e che pongono seri problemi di confrontabilità tra paesi.

D’altra parte, però, questa misura è significativa sia perché è potenzialmente in grado di catturare tutti gli effetti della corruzione, anche quelli indiretti, sia perché la percezione esercita un’influenza importante sul comportamento dei singoli. Non a caso questi diversi indici di percezione – peraltro tra loro altamente correlati – costituiscono attualmente la principale metrica di riferimento per policy makers, analisti e imprenditori al fine di valutare l’impatto della corruzione sull’economia.

A prescindere dal grado di precisione con cui la percezione si associa al livello effettivo del fenomeno, capire come si determina questa percezione rappresenta il primo passo verso la definizione di strumenti di prevenzione e di lotta alla corruzione. In un mondo fortemente integrato, il paese che fosse percepito come altamente corrotto dalla business community potrebbe, quanto meno, perdere investimenti esteri e, quindi, subire danni economici rilevanti.

La Figura 1 riproduce la mappa della diffusione nel mondo della CPI prodotta da Transparency International. L’indice è disponibile per 177 paesi e varia da 0 (alta corruzione) a 100 (bassa corruzione). L’Italia mostra un costante peggioramento negli ultimi anni scivolando dal 29° posto nel 2006 al 69° posto nel 2013 con un indice pari a 43 che la distanzia molto dai paesi Europei limitrofi. La Danimarca è al 1° posto, con un CPI di 91; la Germania al 12° con un CPI di 78; la Francia al 22°con CPI di 71 e la Spagna al 40°. In Grecia il CPI è di 40, dunque superiore a quello italiano.

Figura 1: la mappa della corruzione percepita nel mondo. Fonte: Transparency International (2013)
Figura 1: la mappa della corruzione percepita nel mondo. Fonte: Transparency International (2013)

Dalla lettura di questi semplici dati l’Italia emerge come un paese anomalo. Infatti, da un lato, gli indicatori di corruzione emersa e diretti non rivelano una situazione di particolare gravità rispetto alla media mondiale o anche Europea mentre, dall’altro, il livello di corruzione percepito è molto elevato. Questa apparente incongruenza può dipendere dal fatto che, come si è già sottolineato, i diversi indicatori catturano fenomeni diversi e la differenza tra questi fenomeni può essere particolarmente marcata in Italia. Le metriche basate sul numero di soggetti che hanno dichiarato di avere pagato tangenti tipicamente tendono a sottostimare il fenomeno perché i soggetti che si rendono disponibili all’indagine sono di solito quelli coinvolti in episodi di corruzione di piccola scala (petty corruption). La discrepanza osservata tra questi indicatori e quelli di percezione potrebbe quindi segnalare il fatto che il problema dell’Italia sia prevalentemente di grand corruption, un fenomeno che non è facilmente rilevabile con indagini campionarie basate su esperienze dirette.

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