La conoscenza che gira intorno

Anna Natali ci ricorda che la conoscenza tacita dei luoghi periferici sta cambiando e va ripensata. Sempre più spesso le comunità includono persone di recente insediamento che mettono in circolazione nuove competenze, sensibilità e relazioni. Ne seguono effetti diversi. Tra i più interessanti, la capacità di attingere creativamente all’intelligenza contestuale dei luoghi per produrre nuove conoscenze e iniziative difficilmente riproducibili e trasferibili.

Capita di passare un paio d’ore a guardare il sito e i video di una cosa che c’entra praticamente niente col proprio lavoro, interessi e conoscenze come la Scuola italiana di potatura della vite, e restare sorpresi e perplessi di questa strana fascinazione… salvo capire dopo un paio di mesi, sotto l’effetto di altri eventi, che c’entra invece molto con tutto – lavoro interessi e conoscenze – e con i “Territori vicini in movimento” di cui si occupa questa rubrica.

Potatura della vite
La spiegazione è semplice, dopo tutto. Venivo da ricordi di cattedre ambulanti, iniziative meritorie e di avanguardia alla fine dell’Ottocento legate alla scuola di Portici, di Serpieri e Rossi-Doria, ricordo ravvivato dal frequentare la Basilicata e la val d’Agri, dai discorsi su Nitti e la Scuola di Maratea istituita nel suo nome. Cattedre, assieme a stazioni sperimentali, centri sementieri e vivaistici o di selezione animale, consorzi di difesa dalle malattie, istruzione sulle cooperative. Il sapere tecnico degli agronomi e il sapere organizzativo venivano portati ai contadini per aumentare la produttività delle campagne; nelle regioni del sud si andava dai coltivatori di zone povere e arretrate, con intento pedagogico e senso di missione; tanto più nei durissimi anni della crisi agraria.

Cento anni più tardi la Scuola dei potatori, o preparatori d’uva, lavora sul sapere tecnico in un mondo rivoluzionato e lontanissimo. Elabora un metodo innovativo che “adotta una logica opposta rispetto a quella classica”, basato sullo studio della fisiologia della pianta (“la vite è una liana”) e lunghe sperimentazioni in azienda. Codifica una teoria di riconosciuta validità che si afferma a scala internazionale. Si presenta sul web con un sito che sembra di architetti o designer e ricalca le orme dei migliori del settore, Josko Gravner ad esempio. Si rivolge palesemente ai segmenti più alti del mercato orientati all’innovazione. Non ha intento pedagogico ma dimostrativo, di promozione dell’eccellenza.

Il filo rosso che lega le cattedre ambulanti con la Scuola di potatura è il rapporto tra la conoscenza codificata e la conoscenza situata, specifica ai luoghi. I “territori vicini in movimento” sono da sempre attraversati da questa relazione cruciale: la conoscenza codificata è stata e resta l’elemento vivificatore, importantissimo, dei saperi sedimentati dalla storia particolare di una società e un territorio.

Ma chi oggi frequenta da vicino i territori periferici si accorge che questa relazione si pone in termini un po’ diversi dal passato. Vent’anni fa la conoscenza situata delle aree appartate, senza occasioni di forte coinvolgimento nelle dinamiche di trasformazione economica e sociale (mi capitò di vederne in Umbria, Sardegna, Calabria, Basilicata), mostrava un rapporto privilegiato con le pratiche produttive tradizionali – le diverse vocazioni agricole e manifatturiere – e le corrispondenti competenze commerciali: conoscenza della domanda, delle condizioni per stare sul mercato, delle regole di rapporto con dipendenti, fornitori, banche, istituzioni locali. Oggi i luoghi periferici (fisicamente e funzionalmente distanti, secondo lo schema di ragionamento della strategia aree interne: vedi Menabò 1 luglio 2014) si caratterizzano spesso per una conoscenza situata che somma al sapere radicato nella storia quello di persone nuove, di recente insediamento.

Alcuni sono arrivati per scelta da aree urbane più o meno distanti, hanno esperienze di lavoro nell’industria o nei servizi e danno vita ad attività agricole, turistiche, ricreative, gastronomiche, di fruizione dell’ambiente naturale e storico, di produzione culturale. Altri, figli e nipoti frequentatori della vecchia casa di famiglia o del borgo degli avi, sfruttano le ICT per passare del tempo fuori dalla congestione della città e prendersi il meglio della vita urbana e della vita rurale. Altri sono giovani lavoratori della conoscenza e creativi che aprono studi, atelier, laboratori ed estraggono dal genius loci significati liberamente interpretati.

Si vede bene come in tutto questo abbia fortissima risonanza l’immateriale quale nuovo terreno di produzione di valore, di cui Enzo Rullani ed altri autori molto hanno scritto negli ultimi dieci anni. Questo fenomeno lo si incontra in forme diverse da luogo a luogo. Porto due esempi, da Marche e Liguria.

A nord di Fabriano il piccolo centro di Arcevia, che superficialmente si direbbe appenninico e periferico, distante dai luoghi di produzione di cultura, si rivela invece un posto dove la cultura si frequenta, si capisce e si produce; così che per esempio una proposta della Regione piuttosto sofisticata, fare emergere e rendere produttiva la conoscenza tacita sul paesaggio – tema di Histcape, progetto internazionale che si occupa di conservazione del patrimonio culturale – viene non solo raccolta, ma trova in loco intelligenze pronte a lavorarci sopra e a interpretarla creativamente. La popolazione che compie questa operazione è robustamente innervata di nuovi residenti di estrazione metropolitana, imprese con rapporti commerciali ad ampio raggio, uso delle ICT in relazione col mondo.

il piccolo centro di Arcevia

Alle spalle delle Cinque terre la val di Vara, antica terra di castelli e commerci tra valle Padana, Lunigiana e Genovesato, tuttora appartata e agricola benché a pochi chilometri dal mare, mostra disseminati tra i grandi prati pascoli e i boschi una nuova popolazione arrivata da dieci-vent’anni a recuperare ruderi, rilevare poderi, avviare attività agricole e imprese di servizi dopo anni di lavoro industriale o terziario a Genova, Milano, Torino, Bruxelles. Nella valle il biologico è intensamente diffuso, l’ambiente largamente integro, la rete dei sentieri e i beni storici sono oggetto di progetti di recupero e d’uso. I nuovi arrivati stanno interpretando in modo spontaneo quella smart specialization su cui da qualche anno l’Europa cerca di investire: la ricerca di modi specifici per estrarre creativamente valore dai tratti originali ed esclusivi che distinguono ogni contesto territoriale.

Sia Arcevia che la val di Vara mostrano che la conoscenza situata è una categoria da ripensare: continua ad essere quella del passato, della storia lunga del luogo, e, assieme, quella “che gira intorno” delle nuove presenze che filtrano e interpretano sul piano pratico, col loro concreto esserci ed agire, il retaggio del tempo. In questa nuova configurazione, tre aspetti sembrano particolarmente importanti.

  1. Le nuove popolazioni che abitano o frequentano le aree periferiche portano alle comunità locali una più incisiva capacità di leggere i problemi e criticare le politiche pubbliche, e, insieme, di riconoscere gli spazi di azione – o, come direbbe Hirschman, di “percepire le opportunità di profitto” – grazie al confronto che esse sanno stabilire con esperienze e modelli visti altrove.
  2. Le nuove presenze, temporanee e stabili, contribuiscono a portare i luoghi fisici su internet: un fenomeno vertiginosamente in crescita che implica produzione e consumo di intrecci di contenuti cognitivi, estetici ed emotivi che avvolgono i luoghi e incidono sulla loro capacità di attrazione.
  3. Le vocazioni produttive tradizionali – lavorazioni di metalli, pietre, carni, grano… – sono sempre più studiate e apprezzate anche nei loro contenuti di maestria, sapienza e abilità tecnica. La maestria è un sapere che si definisce in rapporto con un ambiente specifico; è sensibilità alle differenze e alle minime variazioni di un esterno materiale e contestuale ben definito; è abilità creata da pratiche d’uso lungamente affinate.

Quest’ultimo profilo è dove si realizza, o si può realizzare, l’incontro più produttivo della “conoscenza che gira intorno” con la conoscenza sedimentata nelle vocazioni locali. In che senso? Un esempio lo chiarisce.
Reggio Children

In Emilia c’è un’organizzazione, Reggio Children, che nel linguaggio degli economisti potrebbe essere definita una multinazionale del terziario avanzato con casa madre a Reggio Emilia. L’oggetto della sua attività è la produzione di servizi di alta qualità educativa. Ha stabilito una fitta rete di relazioni ed è un polo di attrazione internazionale, al punto che a scopo di osservazione o di studio è raggiunta continuamente da delegazioni da tutto il mondo, ed esporta idee e libri in moltissime lingue, inclusi giapponese, coreano e cinese. Nel tempo, la specializzazione pedagogica ha generato ricadute produttive in altri settori: per esempio, la fabbrica e l’indotto di PLAY+ nel settore degli arredi per l’infanzia.

Queste notizie, tratte da un articolo di Andrea Ginzburg, sono accompagnate dalle seguenti illuminanti osservazioni:

“Viviamo nell’epoca dell’abbattimento dei differenziali cognitivi perché rapidamente la conoscenza codificata viene trasmessa, imitata, innovata. Le conoscenze codificate anche di high tech sono le meno difendibili in termini di originalità ed esclusività (…) L’intelligenza contestuale, sedimentata nella mente delle persone e nelle pratiche della vita sociale costituisce la risorsa chiave, differenziale, del vantaggio competitivo. Le scuole dell’infanzia sono espressione e producono a loro volta una cultura difficilmente codificabile e trapiantabile. Sono un esempio concreto di quell’intelligenza terziaria che dovrebbe costituire il motore dell’economia nel produrre conoscenze difficilmente riproducibili e trasferibili, e quindi saperi sostenibili. Credo che questo derivi dal fatto che le scuole dell’infanzia di Reggio hanno posto al centro del loro interesse la creatività dei bambini e i loro diritti.”

Il punto chiave su cui riflettere è la relazione stabilita tra l’originalità non replicabile di Reggio Children e la particolare intelligenza contestuale “in quanto risorsa chiave, differenziale, del vantaggio competitivo”. Intelligenza contestuale, cioè conoscenza sedimentata nella mente delle persone e nelle pratiche della vita sociale. Un insieme di abilità, ma anche un punto di vista sul mondo.

Si può allora allo stesso modo mettere in relazione l’originalità non replicabile della Scuola italiana di potatura della vite con la particolare intelligenza contestuale sedimentata nella mente delle persone e nelle pratiche viticole del Friuli, la regione dove si sono formati i giovani agronomi che hanno fondato la Scuola. E si può estrarre dalla vicenda dei potatori, ed altre simili, un’idea convincente, da coltivare: dove “la conoscenza che gira intorno” attinge creativamente al fondo di originalità ed esclusività delle pratiche locali, lì succede qualcosa di davvero rilevante, oltre il racconto delle identità di luogo, delle storie peculiari, della ricchezza delle tradizioni. Lì si genera nuova capacità produttiva che continua una cultura distintiva, difficilmente codificabile.

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