La concorrenza ai tempi del virus e la rilegittimazione dell’intervento pubblico

Andrea Pezzoli osserva che, nelle crisi, la disciplina antitrust è un problema mentre la concorrenza, integrata da politiche appropriate, può essere parte della soluzione. A suo parere oggi la sfida per le autorità antitrust è contribuire alla ricostruzione dei mercati, favorendo, nel breve, la cooperazione per fronteggiare l’emergenza ma lasciando inalterato rigore nei confronti dei “profittatori del virus”. I processi di concentrazione che accompagneranno la riorganizzazione dei settori più colpiti dovranno poi essere valutati con un approccio flessibile ma non permissivo.

Di fronte alle grandi crisi economiche è forte la tentazione di considerare la tutela della concorrenza un lusso che non ci si può permettere.

È successo in occasione della crisi del ‘29, quando la disciplina antitrust negli Stati Uniti è stata di fatto sospesa fino al 1935, prolungando la fase recessiva di almeno cinque anni (Cole, H.L. e Ohanian, L.E. (2004), New Deal Policies and the Persistence of the Great Depression: a General Equilibrium Analysis, Journal of Political Economy).

È successo anche in occasione della crisi del 2008. In questo caso, tuttavia, le autorità antitrust europee hanno mostrato una buona tenuta e notevole flessibilità, soprattutto nell’accompagnare i processi di riorganizzazione del settore bancario (Olivieri, G. e Pezzoli, A., L’antitrust e le sirene della crisi, Analisi Giuridica dell’Economia, 2009).

Ad alimentare la sfiducia nella concorrenza durante le crisi ha contribuito non poco anche una concezione della disciplina antitrust “scolastica”, pregiudizialmente ostile a qualunque forma di intervento pubblico.

La situazione drammatica nella quale ci troviamo sconsiglia vivamente la riproposizione di un simile atteggiamento.

Non appare inutile ricordare che “…il mercato è una creazione umana e l’intervento pubblico ne è una componente necessaria e non un elemento di per sé distorsivo o vessatorio…” (Federico Caffè). Mai come oggi occorre essere consapevoli del fatto che, sia nel breve che nel medio termine, la concorrenza, opportunamente accompagnata da politiche pubbliche, è uno strumento prezioso per evitare scarsità, tenere bassi i prezzi e accelerare l’auspicabile ripresa.

La cooperazione per fronteggiare l’emergenza COVID-19. In queste settimane le autorità antitrust stanno mostrando ampia consapevolezza dell’eccezionalità della situazione, impegnandosi a fornire tempestivamente indicazioni in merito alla compatibilità con le norme antitrust degli accordi di cooperazione riconducibili all’emergenza, volti a scongiurare la scarsità di beni e servizi essenziali (farmaci, dispositivi medici, test diagnostici, prodotti alimentari…) e assicurarne la disponibilità a prezzi non esorbitanti (Cfr. tra gli altri, Comunicazione della Commissione,Quadro temporaneo per la valutazione delle questioni in materia di antitrust relative alla cooperazione tra imprese volta a rispondere alle situazioni di emergenza causate dall’attuale pandemia di Covid-19”; ECN, “Joint Statement Corona Crisis”; CMA, “Business Cooperation in Response to COVID-19”, 25 marzo; AGCM, “Comunicazione dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato sugli accordi di cooperazione e l’emergenza COVID-19”, 22 aprile).

Solo pochi giorni fa la Commissione Europea ha deliberato la prima comfort letter con la quale vengono preventivamente individuate le condizioni grazie alle quali sarà possibile per i produttori di farmaci generici scambiare dati e informazioni sui medicinali necessari per le terapie intensive e mettere a punto una strategia comune per una risposta rapida e concreta (Commisione, “Coordination in the pharmaceutical industry to increase production and to improve supply of urgently needed critical hospital medicines to treat COVID-19 patients”).

Resta invariato, invece, il rigore con il quale si combattono i cartelli, sia quando volti a sfruttare opportunisticamente la crisi per aumentare i prezzi sia quando vengono prospettati come cartelli “difensivi”. Ciò appare particolarmente rilevante per un sistema produttivo frammentato come quello italiano caratterizzato dalla presenza di numerosissime piccole imprese. Troppo spesso la collusione è stata una costosa scorciatoia, particolarmente bene accetta per le imprese più profittevoli, per mantenere in vita anche le imprese meno efficienti. Troppo spesso la produttività delle imprese più piccole non è aumentata perché i prezzi (grazie ai cartelli) potevano rimanere alti!

Anche oggi i danni di medio periodo provocati da questo tipo di collusione, seppure animata dall’obiettivo di surrogare l’assenza di misure di welfare adeguate, non possono essere ignorati. Anzi, in questa fase ci si dovrebbe interrogare su come ridisegnare il sistema delle protezioni per chi perde il lavoro, per riqualificare i lavoratori che non torneranno alle precedenti occupazioni e per garantire un reddito a coloro che perdono il posto di lavoro.

I prezzi esorbitanti, gli abusi e la tutela del consumatore. Durante la crisi sanitaria i prezzi di alcuni prodotti possono aumentare drammaticamente a seguito di un imprevisto aumento della domanda, di carenze di offerta o delle difficoltà che possono incontrare le forniture internazionali. I rischi di speculazioni sono particolarmente elevati.

Cosa possono fare le autorità antitrust per fronteggiare quelli che la Commissaria europea alla concorrenza, Margrethe Vestager, ha definito i “profittatori del virus”?

Uno strumento che, in linea di principio, può cogliere parte dei fenomeni speculativi è la norma contro l’imposizione di “prezzi eccessivi” da parte di un soggetto in posizione dominante. Si tratta di uno strumento “quasi-regolatorio”, controverso, utilizzato con parsimonia dalle autorità europee (nella legislazione statunitense non è neanche previsto), che però può tornare utile durante la fase emergenziale del COVID-19. I limiti nel suo utilizzo risiedono tuttavia non solo nell’esistenza della posizione dominante ma anche nella complessità dell’analisi.

Il secondo tipo di strumentazione a disposizione delle autorità antitrust – almeno per quelle che come l’AGCM hanno la doppia competenza – sono le norme a tutela del consumatore, che possono aggredire pratiche commerciali scorrette idonee a sfruttare la situazione di emergenza sanitaria, alterando la capacità di valutazione del consumatore così da indurlo all’acquisto di beni e servizi essenziali a prezzi maggiorati.

Le norme a tutela del consumatore, in ragione della diversa capacità sanzionatoria sono meno efficaci in termini di deterrenza ma in ragione della loro flessibilità possono risultare particolarmente appropriate in una fase durante la quale è necessario intervenire con rapidità.

In queste settimane, sono stati numerosi i procedimenti avviati dall’AGCM per pratiche commerciali scorrette che hanno facilitato l’aumento dei prezzi (cfr. tra gli altri, PS11716 e PS11717 relativi alla commercializzazione rispettivamente su Amazon e eBay di prodotti disinfettanti, mascherine e altri prodotti per la sanificazione; PS11736 relativo a dispositivi per la protezione dal COVID-19 e in particolare alle mascherine FFP2 e PS11734 relativo alla commercializzazione dei kit necessari per i test sierologici).

Il controllo delle concentrazioni tra “failing firm defense” e il consolidamento del potere. Nei prossimi mesi le autorità antitrust dovranno inoltre confrontarsi con i processi di riorganizzazione e consolidamento dei settori maggiormente interessati dalla crisi.

Il COVID-19 può colpire anche molte imprese, pienamente efficienti prima della pandemia. L’effetto “detergente”, tipico di ogni fase recessiva – per alcuni versi, un’opportunità – rischia di accompagnarsi alla distruzione di parti significative del nostro sistema produttivo.

La sfida per la politica della concorrenza sarà pertanto quella di accompagnare la ricostruzione del tessuto produttivo attraverso un utilizzo ampio e selettivo degli aiuti di stato e un approccio rigoroso ma flessibile al controllo delle concentrazioni (Cfr. la Comunicazione della Commissione, “Quadro temporaneo per le misure di aiuto di Stato” (2020/C 91 I/01). Si rinvia, inoltre, a Padilla, J. e Petit, N. (2020), Competition policy and the COVID-19 opportunity, Concurrences,; Cabral F., Hancher L., Monti G. e Feases A. R. (2020), EU Competition Law and COVID-19, TILEC Discussion Paper; Motta, M. e Martini, P. (2020), Europa a rischio di un’epidemia di aiuti di Stato, Lavoce).

Una parte dei processi di aggregazione potranno avere natura pro-competitiva, contribuendo a superare le inefficienze legate alla dimensione che caratterizzano parte del nostro sistema produttivo.

Altri, anche se in mercati più concentrati, potrebbero comunque non presentare criticità concorrenziali, quando i) l’impresa oggetto di acquisizione, non ha altre alternative se non l’uscita dal mercato, ii) non esiste una soluzione meno restrittiva (ad es. l’acquisizione da parte di un’altra impresa); c) in assenza della concentrazione gli asset dell’impresa target andrebbero perduti e le perdite di posti di lavoro sarebbero maggiori. In altri termini, quando può applicarsi la così detta failing firm defense.

Sarà bene, tuttavia, che le stringenti condizioni richieste per la failing firm defense vengano soddisfatte e che l’auspicabile ricorso al buon senso non sia troppo sensibile agli appelli insidiosi a favore di un approccio più permissivo.

Anche in una fase recessiva, infatti, la concentrazione del potere economico deve restare la principale preoccupazione delle autorità antitrust (Cfr. Amato, G. (1998), Il Potere e l’antitrust. Il dilemma della democrazia liberale nella storia del mercato, Il Mulino e, da ultimo, Fox, E. (2020), Antitrust and Power: the State, the Market and the Virus, Competition Policy International), anche quando la riduzione della concorrenza sembra promettere un minore impatto di breve sull’occupazione. Le autorità di concorrenza europee hanno mostrato in più di un’occasione come buon senso, rapidità e rigore possano trovare un punto di equilibrio soddisfacente.

In assenza di un tale equilibrio, rischia di riproporsi in termini ancora più esasperati il dibattito che lo scorso anno, in occasione del divieto della concentrazione Siemens/Alshtom da parte della Commissione, ha visto confrontarsi non tanto le ragioni della concorrenza e quelle della politica industriale, quanto piuttosto l’indipendenza delle decisioni in materia di concorrenza e la politica. Ovvero, in un’altra prospettiva, l’accettazione di monopoli, oggi, per meglio difendere con campioni europei la nostra base industriale dall’aggressività della Cina, domani, quando il mercato sarà più ampio.

Il dibattito relativo al rapporto tra antitrust e politica industriale, già in pieno sviluppo prima del COVID-19 (Cfr. A Franco-German Manifesta for a European Industrial Policy fit for the 21st Century, 19 febbraio 2019; Rey, P. e Tirole, J. (2019), Keep Politics out of Europe’s Competition Policy, Project-Syndacate. Org; Lowe, P. (2019), Competition and Industrial Policy: How can they work together?, Conferenza Associazione Antitrust Italiana), non potrà che riprendere ma in una prospettiva radicalmente diversa, più consapevole della necessità di integrazione tra antitrust e politiche pubbliche.

Nei prossimi anni, infatti, anche la politica della concorrenza dovrà confrontarsi con le sfide inerenti a valutazioni di più lungo periodo, più sensibili a una visione dinamica del processo competitivo (Cfr. Jenny, F. (2020), Economic resilience, globalisation and market governance. Facing the COVID-19 test, CEPR Covid Economics Review).

Lo shock determinato dal COVID-19 e la sostanziale impreparazione delle nostre economie suggeriscono tuttavia che alcune scelte importanti per non trovarsi nuovamente impreparati di fronte a fenomeni analoghi – siano essi nuove epidemie o calamità naturali legate ai cambiamenti climatici – richiedono un orizzonte temporale non necessariamente coerente con le logiche del mercato.

Il principio di precauzione che oggi consiglierebbe di riallocare risorse verso il sistema sanitario, energie pulite, istruzione e digitalizzazione dei settori più maturi dell’economia, difficilmente può fare a meno di politiche pubbliche. Senza l’aiuto di queste politiche anche la fiducia nella concorrenza – nelle fasi di crisi più debole del solito – rischia di attenuarsi.

La concorrenza e la rilegittimazione dell’intervento pubblico. In un periodo costellato da cattive notizie la rilegittimazione dell’intervento pubblico può essere un’eccezione. Dopo anni di ideologica contrapposizione tra Mercato e Stato, lo shock prodotto dal COVID-19 conferma che per fronteggiare la crisi, la politica della concorrenza costituisce uno strumento prezioso che però va sempre più integrato con altre politiche pubbliche idonee a rendere socialmente accettabile l’uscita dal mercato delle imprese non efficienti e a orientare l’allocazione delle risorse verso quegli obiettivi il cui orizzonte temporale non sempre è coerente con il mercato (Cfr. Pezzoli, A. (2019), “With a little help from my friends. Quale politica della concorrenza per l’economia digitale?”, Economia Italiana).

Tuttavia il rischio che l’intervento pubblico si riproponga nelle forme vecchie della “normalità” pre-virus è elevato. E il desiderio di normalità non ci deve far dimenticare che la “normalità” è stata parte del problema.

Utilizzare le restrizioni concorrenziali come ammortizzatore sociale improprio è un lusso che non ci possiamo più permettere. Rischia di compromettere le possibilità di essere competitivi per tornare a crescere e fronteggiare i problemi della disoccupazione e delle nuove povertà.

Se alla politica della concorrenza è inappropriato chiedere un contributo diretto per ricostruire il tessuto produttivo e per soddisfare il principio di precauzione, è invece del tutto legittimo chiedere una visione più sensibile alla componente dinamica del processo competitivo. Il rigore nell’applicazione della disciplina antitrust non verrebbe meno e il suo contributo, anche nei prossimi anni, continuerà ad essere prezioso.

 

 

*AGCM. Le opinioni espresse in queste brevi note non impegnano l’istituzione di appartenenza.

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