La complessità e le Costituzioni. Commento a Termites of the States di Vito Tanzi

Chiara Goretti commenta le pagine di Termites of the State di Vito Tanzi dedicate alla qualità delle istituzioni e alle Costituzioni. Goretti arricchisce, facendo riferimento al processo legislativo in Italia, l’analisi delle conseguenze della complessità del contesto economico sulle scelte pubbliche; si chiede se formulazioni più dettagliate delle Costituzioni possano favorire l’efficace applicazione dei loro principi e, infine, invita a riflettere sul rapporto tra dettato costituzionale e sensibilità collettiva, considerando emblematica la vicenda dell’art. 81.

Un filo sottile inizia nel titolo e si svolge lungo il libro di Vito Tanzi “Termites of the States. Why Complexity Leads to Inequality”, avvolge il mondo economico, ma tocca anche la realtà sociale, soprattutto circonda i fenomeni da affrontare e regolare con l’azione pubblica. La “complessità”, caratteristica che pervade la realtà di oggi e da cui – secondo l’autore – deriva la chiarissima minaccia per i governi di adottare politiche subottimali. Nel testo essa viene dipinta in modo a volte drammatico, come elemento che ha contribuito allo sviluppo di relazioni poco trasparenti tra gli individui (e tra questi e le istituzioni), che porta ad abusi e corruzione, con una contaminazione crescente in ogni campo, in molti paesi. La complessità è alla base della cattiva legislazione, con leggi sempre più lunghe che danno adito a diverse interpretazioni, è un elemento distruttivo dell’equità e della legalità (rule of law), crea una categoria di insider, coloro che di quelle leggi hanno una conoscenza superiore agli altri e hanno quindi la capacità di sfruttare le politiche esistenti a loro vantaggio, di estrarre rendite di posizione dai programmi pubblici o sono addirittura in grado di piegare l’azione regolamentare dello Stato ai propri fini. Ciò accade a causa di aspetti e dettagli difficili da cogliere nella loro interezza e implicazioni, una situazione, questa, che fa quasi urlare all’Autore, “one can only hope that those who are making these decisions fully understand what they are doing”.

Il tema della complessità nel libro di Tanzi ha un ruolo prominente nei capitoli relativi alla qualità del settore pubblico, del legal framework e delle istituzioni pubbliche. In queste pagine si trovano analisi pienamente condivisibili, ad esempio sul tema della qualità della legislazione; e analisi di altrettanto interesse, ma forse bisognose di una maggiore riflessione, come ad esempio quelle sul ruolo delle Costituzioni.

Qui di seguito, proverò ad argomentare brevemente queste due affermazioni anche alla luce della esperienza italiana.

La qualità della legislazione. Molti problemi dell’Italia odierna sono riconducibili, tra le altre cose, a una cattiva legislazione, frammentata e poco organica, la cui causa principale è certamente la complessità dei temi affrontati, ma anche un processo decisionale inadeguato a questa complessità. Un percorso condizionato spesso da esigenze di comunicazione mediatica e contraddistinto da strumenti legislativi frettolosi – i decreti-legge e il voto di fiducia – e anche caratterizzato da una tecnica redazionale estremamente frammentata (commi che modificano commi…), tale da far perdere di vista l’organicità delle politiche di settore. Frammentazione che si perpetua quando gli elementi di attuazione amministrativa non sono sufficientemente ponderati nella fase di approvazione della legge e richiedono, per il completamento, ulteriori modifiche legislative. Frammentazione che deriva anche da un parlamento che ha la presunzione di scrivere e approvare, nella notte di una qualche sessione di bilancio, modifiche o nuove disposizioni che fronteggiano fattispecie complesse e, a seconda di una virgola o di un aggettivo, portano a esiti completamente diversi. I processi decisionali sono a volte così frenetici e poco ponderati che non consentono di conoscere pienamente le implicazioni (e talvolta i contenuti stessi) di ciò che si sta per votare.

Per sciogliere queste criticità, l’esperienza degli altri paesi suggerisce un rallentamento delle attività legislative, con istruttorie migliori per identificare winner e looser di ciascuna opzione e con accurata verifica delle esigenze amministrative e finanziarie per realizzare gli obiettivi prescelti. Gli strumenti con questo fine già previsti nell’ordinamento interno (come ad esempio le relazioni tecniche o l’AIR) non sembrano purtroppo aver catalizzato né un interesse sufficiente nel decisore, né un processo di formazione di competenze nelle amministrazioni.

Il ruolo delle Costituzioni. Tanzi presenta un’ampia analisi sul ruolo delle Costituzioni, con numerosi esempi sia dell’esperienza italiana sia di quella degli Stati Uniti.

Di questa parte non condivido pienamente la posizione che vede nella rigidità della procedura di modifica della Costituzione italiana un elemento critico, alla luce delle esigenze di una società in profondo mutamento. La rigidità della Costituzione è un elemento pensato per contraddistinguere i principi in essa contenuti rispetto a quelli di un ordinario intervento legislativo. E comunque non ha impedito di modificare la Costituzione italiana molte volte, nella prima (quella dei diritti fondamentali) quanto nella seconda parte. Condivido poi solo in parte la critica che la Costituzione italiana reca formulazioni troppo generali; questa caratteristica consentirebbe, secondo l’autore, di adottare scelte di policy fondate su elementi interpretativi arbitrari del quadro costituzionale. Nella mia visione, le Costituzioni sono scritte per durare e quindi per sopravvivere a lungo all’evoluzione della sensibilità di una collettività; le formulazioni generali e le interpretazioni sono spesso lo strumento per prolungare la vita delle Costituzioni.

Il tema è forse più complesso di quanto presentato nel libro. Il punto da approfondire (del resto affrontato dall’autore) è quale sia il rapporto tra principio costituzionale e sensibilità collettiva. Ovvero se un determinato principio costituzionale riflette, anche attraverso l’interpretazione di formulazioni generali, la visione prevalente di una determinata maggioranza dei cittadini, in un certo momento storico. Ponendo la questione da un punto di vista diverso, si può discutere se determinate formulazioni costituzionali, che non riflettono la sensibilità della maggioranza dei cittadini, possano indurre cambiamenti nei comportamenti collettivi o delle istituzioni.

Il rapporto tra dettato Costituzionale, istituzioni e sensibilità collettiva acquisisce un rilievo particolare per i temi complessi, come il ruolo del debito nell’ambito dell’intervento pubblico. Nel presentare l’evoluzione storica dell’interpretazione dell’articolo 81 della Costituzione, l’autore sottolinea come la lettura che si impose negli anni Sessanta e Settanta fosse in contrasto con lo spirito del dettato costituzionale, in quanto distante dalla visione einaudiana del bilancio pubblico. L’autore riconduce alla Corte Costituzionale la responsabilità principale di aver avallato una interpretazione ampia, che consentiva il ricorso all’indebitamento per la copertura di nuove iniziative. Nel guardare a quel periodo, la domanda da porsi oggi è forse diversa, ovvero se in Italia in quegli anni, la visione dominante del ruolo dell’intervento pubblico (in particolare i criteri per il ricorso al debito) fosse allineata con la concezione einaudiana, o se il mainstream economico, alla base dell’operare dei governi e avallato dai parlamenti, riflettesse una diversa sensibilità. La sentenza della Corte Costituzionale, in quella fase, aveva dato supporto a un’interpretazione condivisa dai più, oggi invece considerata troppo permissiva. Ma la stessa Corte, in momenti successivi ha contribuito a una delimitazione, in senso restrittivo, dell’ambito applicativo del medesimo articolo 81 (sia nell’interpretazione della copertura non limitata a un solo anno, sia per la dinamica degli oneri al di là del triennio). Insomma il medesimo articolo costituzionale e la stessa Corte hanno prodotto contesti quasi opposti per la decisione di bilancio.

Può contribuire a questa riflessione il caso della recente modifica dell’articolo 81 per l’introduzione del principio del pareggio di bilancio. Come è noto, la proposta di modifica della Costituzione italiana maturò in un quadro internazionale criticamente complesso (si ritrova la complessità, il leitmotif del libro di Tanzi): la progressione della crisi dei debiti sovrani; la mancanza di strumenti istituzionali adeguati per affrontare il grave contesto macroeconomico dell’area euro; una profonda mancanza di fiducia reciproca tra i paesi della zona euro. Con il patto Europlus (marzo 2011, poi sancito nel Fiscal Compact nel dicembre 2011) gli Stati membri si accordarono per l’incorporazione delle regole di bilancio europee negli ordinamenti nazionali, “preferibilmente” a livello costituzionale. Se la modifica delle costituzioni segnala un cambiamento nella sensibilità di una collettività, forse quelle iniziative miravano a rendere manifesta, tra gli attori, la condivisione tra stati membri dei valori di disciplina fiscale?

Se quella era l’intenzione, sembra, a una prima analisi, che si sia caduti in un eccesso di ingenuità. Nel caso italiano, la modifica costituzionale del 2012 è stata accompagnata sin dall’inizio (e ancora più successivamente) da uno scetticismo complessivo; nella retorica mediatica è stata spesso presentata come prova formale, un cambiamento valoriale non condiviso, ma imposto. Non si svolse né allora né dopo un confronto “vero” sul vincolo di bilancio, cioè su quale insieme di principi dovrebbe guidare la formazione del bilancio pubblico. Non si trattava di discutere l’articolazione specifica delle regole da adottare, quanto di condividere i principi generali, le potenzialità e la complessità dell’intervento pubblico, nell’articolazione tra stabilizzazione e sostenibilità. Allora come oggi, alcune posizioni sembrano tuttora contestare l’esistenza stessa di un vincolo di bilancio, cioè di un quadro di limitatezza di risorse che impone una (faticosa) ordinazione delle priorità per realizzare gli obiettivi della collettività. E come riflesso di ciò, ancora oggi nel dibattito politico sono proposte iniziative di spesa o di riduzione di entrata precise, lasciando a vaghi momenti successivi l’identificazione delle coperture.

Non aver discusso questi temi nel momento della redazione del nuovo testo costituzionale è stato il frutto di una emergenza economica e istituzionale. Ma è anche la testimonianza di come la complessità del contesto in cui si muove l’azione pubblica abbia impedito la maturazione di una sensibilità collettiva condivisa su quali vincoli della finanza pubblica possano e debbano trovare, in un’ottica europea, adeguata tutela nei principi costituzionali.

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