Keynes e la politica economica al servizio della libertà

Paolo Paesani, prendendo spunto dalla nuova traduzione della Teoria Generale, curata da Giorgio La Malfa, riflette sull’attualità del pensiero di Keynes in materia di politica economica. Paesani si sofferma in particolare sull’idea keynesiana di ridurre la disoccupazione attraverso gli investimenti pubblici invece che attraverso la compressione dei salari, la quale anche oggi suscita molte preoccupazioni per i suoi effetti potenzialmente dirompenti sull’economia e sulla società.

Secondo gli ultimi dati dell’Istat, il tasso di disoccupazione in Italia è attualmente pari al 9,7%, in calo rispetto ai mesi precedenti ma comunque tra i valori più elevati all’interno dell’Unione Europea. L’elevato tasso di disoccupazione si accompagna sovente a salari bassi e stagnanti e a livelli crescenti di disuguaglianza. Disoccupazione, bassi salari, disuguaglianza non sono, purtroppo, una novità, né per l’Italia né per molti paesi avanzati nel mondo.

Già 83 anni fa, nell’ultimo capitolo della sua Teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta, l’economista inglese J. M. Keynes identificava la disoccupazione e la disuguaglianza come i mali principali del capitalismo, insieme alla deflazione e ai conflitti economici a livello internazionale. Nel 2019, dodici anni dopo lo scoppio della grande crisi globale, quei problemi sono di nuovo fra noi.

Anche per questo è utile rileggere la Teoria generale, frutto di una delle menti più acute del XX secolo. Una mente brillante, quella di Keynes, impegnata a riflettere sui problemi economici del suo tempo e a cercare di risolverli in maniera pragmatica e innovativa. Che si trattasse delle riparazioni di guerra imposte alla Germania nel 1919, del difficile aggiustamento dell’economia inglese a seguito della decisione di Churchill di tornare al gold standard, della disoccupazione di massa degli anni Trenta o della riforma del sistema monetario internazionale nel secondo dopoguerra, Keynes era sempre lì con le sue soluzioni innovative, coraggiose, realistiche.

Oggi, i lettori italiani hanno una possibilità in più di conoscere quelle soluzioni e l’uomo che le ha proposte, grazie alla nuova traduzione della Teoria Generale ad opera Giorgio la Malfa. Il volume, pubblicato nella collana I Meridiani, è corredato da un’ampia introduzione, da un profilo biografico e bibliografico di Keynes e da un vasto apparato di note che aiutano a comprendere il senso delle sue affermazioni.

Come chiarisce La Malfa, nell’introduzione, con la Teoria Generale, Keynes intendeva mettere una nuova saggezza al servizio di una nuova epoca; una nuova saggezza capace di spiegare, diversamente dalla teoria dominante, i problemi del momento e di indicare soluzioni nuove capaci di risolverli.

Certo, oggi la situazione è diversa da quella degli anni Trenta. In Occidente, lo Stato sociale e le politiche di stabilizzazione hanno attenuato l’impatto della crisi del 2007-2010 senza peraltro impedirne la propagazione. In Europa, scontiamo ancora gli effetti della crisi successiva, quella che ha colpito i debiti sovrani e i sistemi bancari di molte nazioni europee, tra le quali la nostra. In Oriente, si sperimentano strade nuove nel campo della politica economica e dell’integrazione commerciale e finanziaria con il resto del mondo. Al netto di queste differenze, però, la disoccupazione, la disuguaglianza e l’incertezza economica sono di nuovo tra noi con il loro corredo di tensioni politiche e sociali.

La Malfa ripercorre l’arco temporale che va dagli anni Venti al 2008 soffermandosi sulla genesi e i contenuti della Teoria Generale, sui legami tra quel libro e le idee elaborate da Keynes tra gli anni Venti e Trenta, sulle prime reazioni a quel libro in Gran Bretagna, in Italia e negli USA, e sulla parabola dell’economia keynesiana, dal successo degli anni Cinquanta e Sessanta al successivo discredito e al più recente oblio.

La Malfa sostiene in maniera convincente che il tempo dell’oblio deve finire e che è arrivato il momento di “riscoprire” Keynes e la sua “eredità giacente” per usare le parole di Giorgio Lunghini, un importante economista italiano recentemente scomparso.

Questa eredità non sta tanto nei modelli e negli schemi meccanici con i quali si è cercato di rendere le idee keynesiane compatibili con la teoria dominante, né tantomeno nella tesi che tutto il contributo di Keynes si risolva nell’ipotizzare salari rigidi in presenza di disoccupazione e nella raccomandazione di aumentare la spesa pubblica per far “ripartire” l’economia. L’eredità da recuperare è ben altra.

Primo, l’idea dell’economia come “scienza morale”, una tecnica di pensiero che si applica a una realtà complessa e mutevole in cui gli uomini e le donne non sono quantità costanti, atomi mossi da leggi fisiche immutabili, ma individui pensanti che agiscono sulla base di aspettative spesso vaghe, formulate in condizioni di incertezza radicale, individui che apprendono dai mutamenti sperimentati e modificano i loro comportamenti di conseguenza, alterando la realtà stessa nella quale operano.

Secondo, l’idea che per “fare buona economia” si devono conoscere la storia, la filosofia, la politica, le istituzioni e non solo la matematica e la statistica, pur utilissime come strumento di verifica della correttezza logica dei ragionamenti e fonte di dati e proiezioni. Solo questa conoscenza d’insieme permette di riconoscere i precedenti che la Storia fornisce, di afferrare appieno la complessità dei nessi tra economia, politica e società, di costruire modelli realmente utili per la politica economica.

Terzo, l’idea che il tutto (la macroeconomia) è diverso dalla somma delle parti (la microeconomia). Ciò che è razionale sul piano individuale non sempre lo è sul piano aggregato e questo principalmente, ma non solo, a causa dei problemi che pone la fallacia della composizione e dal fatto che gli uomini e le donne sono condizionati dalla società nella quale vivono e agiscono e scelgono sulla base delle sollecitazioni che dalla società provengono.

Quarto e ultimo, l’idea della politica economica come tecnica (arte) al servizio della società liberale e dell’uomo, con l’obiettivo di tutelare i diritti, le libertà, la varietà delle scelte, senza fare del mercato e della concorrenza idoli da adorare. La politica economica keynesiana è discrezionalità, arte del possibile, coraggio d’intervenire per correggere gli errori del mercato, senza cadere nell’idolatria opposta che vede lo Stato come la soluzione di ogni problema.

Sul tema specifico di come contrastare la disoccupazione, la Teoria Generale richiama l’attenzione sui rischi che nascono affidandosi alla concorrenza e alla riduzione dei salari per combattere la disoccupazione. Il calo dei redditi e dei consumi e l’aumento della disuguaglianza, che questa soluzione produce, lungi dall’avvicinare l’economia verso il pieno impiego rischiano di produrre l’effetto contrario, aumentando l’incertezza delle famiglie e innescando conflitti sociali e politici dai risvolti imprevedibili.

Molto più logico affidarsi alla politica economica, alla promozione degli investimenti pubblici, che danno lavoro e migliorano la qualità della vita delle persone. Investimenti nel campo dell’edilizia popolare, dei trasporti, delle infrastrutture, della cultura dai teatri ai musei, investimenti pubblici capace di riattivare l’economia, i consumi, la voglia d’investire del settore privato. Investimenti pubblici finanziati dallo stato, drenando la liquidità stagnante all’interno del sistema bancario, rifugio dei risparmiatori preda dell’incertezza e dalla paura.

Negli anni Trenta, queste proposte si scontravano contro lo scetticismo del Tesoro britannico, secondo il quale il ricorso a investimenti pubblici, finanziati in deficit, avrebbe provocato il rialzo dei tassi d’interesse, lo spiazzamento degli investimenti privati e l’indebolimento della solidità finanziaria del governo di Sua Maestà. Oggi, l’ombra di quei timori sembra riaffacciarsi e anche con essa si spiega la timidezza del governo tedesco nell’intraprendere un ampio piano d’investimenti pubblici utili ad ammodernare le infrastrutture tedesche, spesso assai malandate, e a ridare energia alla principale economia del continente europeo.

Certo, Keynes rivolgeva le sue proposte al governo di una nazione egemone, sede di un centro finanziario di prima grandezza, dotata di sovranità monetaria, merito di credito elevato, posizione finanziaria sull’estero relativamente solida, e un apparato amministrativo di prim’ordine. Molte di queste condizioni oggi ricorrono proprio nella timida Germania. Purtroppo, esse mancano nel nostro paese dove il ricorso agli investimenti pubblici come scintilla per far ripartire l’economia e migliorare la qualità della vita dei cittadini italiani è una specie di miraggio, inseguito da tutti, raggiunto davvero da nessuno.

Le difficoltà che si incontrano nell’impiego del fondi strutturali europei, il disaccordo tra le forze politiche su quali misure siano importanti davvero, gli esiti incerti della riforma del codice degli appalti, le difficoltà e soprattutto i vincoli di finanza pubblica costituiscono altrettanti ostacoli sulla strada della realizzazione in Italia della politica proposta da Keynes per combattere la disoccupazione. Eppure, ciò non significa che non si debba insistere su quella strada e lavorare con intelligenza per rimuovere quegli ostacoli. Alcune delle misure previste dalla legge di bilancio in gestazione sembrano andare in questa direzione.

Lo spirito che anima la Teoria Generale non è diverso da quello che permea Le Conseguenze Economiche della Pace, il libro che rese Keynes celebre a livello mondiale nel 1919. In tutti e due i casi, l’obiettivo di Keynes è chiaro: emendare il capitalismo dai suoi difetti peggiori attraverso un’opera di riforma intelligente e pragmatica, mirante a salvaguardare la società liberale e a renderla capace di sconfiggere gli spettri del militarismo, del nazionalismo, della dittatura e della guerra.

Il senso di frustrazione e di fallimento che prova chi vive perennemente in condizioni di precarietà economica, chi cerca un lavoro senza mai trovarlo, chi vede evaporare in un momento i risparmi di una vita, chi combatte ogni giorno per la sopravvivenza contro altri che combattono la stessa battaglia, tutto questo è il cibo che alimenta quei terribili spettri oggi come negli anni Trenta del secolo scorso. Per questo, anche per questo, è importante continuare a parlare di Keynes, della sua visione e di come mettere la politica economica al servizio della libertà e della sicurezza. Per questo occorre rileggere Keynes e dobbiamo essere grati a La Malfa che ci ha dato l’opportunità di farlo curando una pregevole edizione dei suoi scritti.

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