Imposte, benefici e contributi: caratteristiche ed effetti di una sistematica proposta di riforma fiscale

Fernando Di Nicola si occupa di un’ampia e innovativa proposta di riforma delle imposte, dei contributi e dei benefici elaborata di recente da Vincenzo Visco. Dopo aver illustrato le caratteristiche della proposta di riforma, Di Nicola ne valuta gli impatti e giunge alla conclusione che essa avrebbe numerosi effetti positivi: in termini distributivi, di neutralità rispetto alle diverse categorie di reddito, di contrasto all’evasione nonchè di riduzione del cuneo fiscale e del costo del lavoro.

Il sistema italiano di imposte, benefici e contributi è sostanzialmente lo stesso da decenni, con i suoi pregi e difetti e con le moderate modifiche che lo hanno interessato.

In estrema sintesi, il “sottosistema” dei contributi è basato esclusivamente sui redditi da lavoro, a copertura delle prestazioni pensionistiche e di altri trasferimenti monetari di welfare (quali ammortizzatori sociali, assegni familiari e altri assegni minori). Al suo interno, emerge una giungla di aliquote che si differenziano per categoria (dipendenti, collaboratori, artigiani, commercianti, professionisti senza e con cassa, questi ultimi differenziati per ciascun ordine) e per quota di contributi a carico del datore o del lavoratore.

Le imposte dirette personali, centrate sull’Irpef, e comprendenti non solo le addizionali regionali e comunali, ma anche numerose imposte sostitutive sui più svariati imponibili, sono affette da due principali mali. Da una parte, una disparità di trattamento rilevante tra le varie fonti di reddito; alla tassazione dei redditi ordinariamente computati in Irpef vanno aggiunte almeno la tassazione degli immobili (polverizzata tra valori di riferimento lontani dal mercato, patrimoniali locali e tassazioni degli affitti soggette a imposte sostitutive) e quella dei redditi e patrimoni finanziari (con aliquote sui redditi e bolli sulle giacenze), dei premi di produttività e sui contribuenti autonomi con volumi di affari minimi e intermedi. Dall’altra parte, vanno evidenziati alcuni chiari paradossi connessi alla struttura delle aliquote marginali effettive (date dalla somma di aliquote nominali o legali e di aliquote “implicite” generate da decrescenze, esenzioni, soglie ed altre regole dell’imposta): per alcuni scaglioni di reddito le aliquote effettive sono superiori al 100%, e danno luogo a trappole della povertà in quanto un aumento del reddito lordo determina una riduzione di quello disponibile; la struttura sostanziale delle aliquote Irpef si aggrega attorno a tre soli valori, corrispondenti: all’esenzione, al 30% o al 44%. Va altresì notato che l’aliquota marginale effettiva del 44% si applica a partire da soli 28mila euro di imponibile, il che rende uguale oltre quella soglia l’aliquota marginale gravante su un impiegato esecutivo e su un top manager remunerato con milioni di euro.

Per quanto riguarda i benefici, composti da numerosi “bonus” – alcuni dei quali con giustificazioni difficili da individuare – il maggior rilievo è costituito dal sostegno ai nuclei familiari, anch’esso caratterizzato da molteplicità di strumenti (detrazioni familiari Irpef e assegni familiari di vario tipo), paradossi e iniquità distributive che, insieme all’Irpef ed alle sue componenti, sono state richiamate anche sul Menabò. Basti pensare a tale proposito che il 20% più povero dei nuclei familiari perde circa la metà delle detrazioni familiari spettanti a causa della cosiddetta incapienza, cioè per un reddito talmente esiguo da non consentire la piena compensazione dell’imposta dovuta con le citate detrazioni che, per un paradosso lessicale, sono denominate “spettanti”.

L’insieme delle componenti di questo sistema ha anche rilevanti effetti negativi. I contributi di finanziamento del welfare gravanti sul lavoro – assieme all’Irpef – determinano cuneo fiscale e costo del lavoro elevati, contribuendo a deprimere ulteriormente una modesta competitività del sistema produttivo, già gravato da modeste produttività e innovazione. Il sottosistema delle imposte dirette personali svolge un’azione redistributiva significativa, benché fortemente distorta dall’ingente evasione, dalla molteplicità di aliquote effettive gravanti sui vari imponibili, da aliquote marginali molto variabili a seguito di sovrapposizione di molte iniziative di riforma non coordinate tra loro, cosicché anche l’offerta di lavoro ed il tasso di occupazione, specie femminile, ne risultano depressi. Infine, il sostegno ai carichi familiari sembra funzionare al contrario, beneficiando di fatto meno i nuclei poveri rispetto a quelli contigui a più alto reddito.

Un progetto di ampia riforma del sistema

A partire da queste ed altre considerazioni Vincenzo Visco ha di recente pubblicato (“Promemoria per una riforma fiscale”, Politica Economica, n. 1, 2019) un’analisi delle tendenze del sistema di tax & benefit italiano corredata da criteri per un’ampia ed articolata riforma. Dal lato degli elementi di analisi dell’esistente, oltre ai fattori cui si è fatto cenno, si cita per la sua rilevanza la distorsione del mix dei fattori produttivi impiegati, lavoro vs capitale, a favore di quest’ultimo che, oltre ad accaparrarsi quote crescenti del reddito prodotto, vede costante (anziché crescente) la corrispondente quota del prelievo, tendendo inoltre a sostituire lavoro con tecnologie labour saving.

Il progetto di riforma del sistema, oltre a riprendere criteri di evoluzione dell’imposizione diretta e del sostegno ai nuclei familiari, in coerenza con quanto già individuato da diversi studiosi, aggiunge una riforma e revisione di quasi tutti gli elementi del sistema fiscale e delle strategie di contrasto dell’evasione (fondate sull’uso efficiente dei molti dati in possesso dell’Amministrazione) assieme ad una riforma dell’IVA fondata su una o due aliquote, per affinità delle caratteristiche beni e servizi, capaci di generare consistenti recuperi di imponibile e, dunque, gettito.

L’Irpef diventerebbe un’imposta progressiva sui soli redditi da lavoro, con una struttura di aliquote crescenti senza salti e detrazioni fisse per tipo di reddito. Parallelamente, sui patrimoni esentati da Irpef e sostitutive sarebbe creata una imposta patrimoniale personale e progressiva, allo scopo di coniugare un disegno coerente ed esaustivo di progressività con lo strumento più efficiente per tassare le componenti patrimoniali (il valore patrimoniale anziché i redditi).

Le detrazioni familiari (insieme al vigente assegno per il nucleo familiare riservato ai dipendenti) sarebbero abrogate e sostituite da un assegno unico ed universalistico per carichi familiari, parametrato al numero dei componenti del nucleo e decrescente in base al reddito equivalente. Le addizionali regionali e comunali sarebbero sostituite da sovrimposte, la cui aliquota sull’Irpef dovuta sarebbe deliberata dagli stessi Enti territoriali, nel rispetto della loro responsabilità di finanziamento ma anche in coerenza con i criteri redistributivi dell’Irpef.

Ma l’elemento centrale e più innovativo del progetto è una profonda riforma del sistema di finanziamento del welfare in senso lato, comprendente dunque pensioni, sanità ed assegni sociali. L’insieme di contributi sociali e previdenziali – con la sola eccezione degli “oneri sociali” costituiti dagli accantonamenti per il TFR – assieme a ciò che è rimasto dell’Irap sarebbero sostituiti da un unico “contributo per il welfare” gravante su un’imponibile esteso costituito dal valore aggiunto lordo ottenuto come somma di costo del lavoro, utili e redditi non negativi, interessi passivi netti ed ammortamenti (con un richiamo implicito alla “imposta sui robot” evocata tempo fa da Bill Gates). Grazie a questa notevole estensione della base imponibile per il finanziamento del welfare, il complesso di aliquote oggi gravanti su retribuzioni e redditi lordi sarebbe ricondotto ad una aliquota uniforme, a sostanziale parità di risorse disponibili e quindi con netta riduzione dell’aliquota gravante sulle retribuzioni. Allo scopo di non rivoluzionare e ridurre i trattamenti pensionistici, questi sarebbero collegati all’aliquota di computo attualmente vigente per i lavoratori dipendenti (33%), così come resterebbero intatte le regole di attribuzione di assegni e ammortizzatori esistenti.

Dall’insieme delle componenti di questa riforma emergerebbero una migliore azione redistributiva (anche in virtù della riduzione dell’evasione) e una maggiore neutralità per categorie di reddito, assieme ad una netta riduzione del cuneo fiscale e del costo del lavoro. In aggiunta, il mix dei costi fiscali relativi ai fattori produttivi – divenuto neutrale – favorirebbe, rispetto ad oggi, l’uso del lavoro, non incentivando la sostituzione di lavoro con tecnologie labour saving.

Una specifica attuazione ed i suoi impatti

A partire da questi criteri generali di riforma, si è provato a progettarne una specifica attuazione, stimandone gli impatti in termini di risorse finanziarie e azione redistributiva. Facendo uso di un modello di microsimulazione, scelta obbligata per evidenziare gli impatti redistributivi, si è reso necessario risalire a ritroso dai redditi di ciascuno ai contributi e alle imposte a carico anche delle imprese, dovendo in qualche caso effettuare alcune rilevanti approssimazioni, come ad esempio nel calcolo della quota Irap vigente sugli interessi passivi o del nuovo contributo per la quota sugli ammortamenti. Per il grosso delle componenti vigenti o con riforma (Irpef, contributi a carico del lavoratore o del datore, addizionali o sovrimposte, assegni e detrazioni familiari vigenti e nuovo assegno unico, tassazione vigente e nuova imposta sul patrimonio immobiliare e finanziario), invece, il modello è stato in grado di individuare imposte e benefici con buona aderenza a livello individuale o familiare.

Venendo al concreto dettaglio della riforma ipotizzata, l’aliquota del nuovo contributo per il welfare sarebbe pari al 23% del valore aggiunto lordo, con il vigente 9,2% della retribuzione lorda a carico del dipendente o assimilato ed il complemento (13,8%) a carico del datore.

La struttura dell’Irpef, di gran lunga la prima e più progressiva imposta italiana, renderebbe esenti i primi 1200 euro, per poi mantenere la seguente struttura di aliquote marginali: 15% fino a 10mila, 22% fino a 18mila, 28% fino a 28mila, 34% fino a 38mila, 41% fino a 75mila, 45% fino a 240mila e 48% oltre, assorbendo anche l’attuale “bonus 80 euro”. Le detrazioni per tipo di reddito sarebbero fisse e pari a 1000 euro per i dipendenti, 900 per le pensioni, 750 per le Partite Iva, in modo da eliminare l’attuale specifica aliquota marginale implicita. Le aliquote delle nuove sovrimposte, demandate a decisioni di Regioni e Comuni, sono state ipotizzate mediamente pari all’8,5% e al 3,5%, rispettivamente per Regioni e Comuni.

La nuova imposta patrimoniale individuale – abrogativa dei vigenti bolli sulle attività finanziarie, sostitutive sui redditi finanziari, affitti in Irpef, cedolari sugli affitti – prevederebbe una franchigia individuale di 200mila euro, sopra la quale si applicherebbe ai valori di mercato (approssimati anche forfetariamente in base alle vigenti, obsolete e sottostimanti rendite catastali) un’aliquota dello 0,6% fino a 1,5 milioni, dell’1% oltre (si noti che queste due aliquote, computate su un reddito ottenuto con un rendimento pari al 2,5% del valore del patrimonio, equivarrebbero, rispettivamente, ad aliquote sui redditi del 24% e 40%).

Infine, il nuovo assegno universalistico di sostegno ai nuclei sostituirebbe assegni familiari di vario genere e detrazioni familiari Irpef, con un assegno massimo di 2800 per ciascun figlio minore o studente e 1800 per gli altri a carico, decrescente da un reddito equivalente di 8mila (importo pieno) a 28mila (annullamento). Il reddito familiare sarebbe comprensivo di ogni componente, compresi i redditi figurativi di mercato e quelli esenti, con esclusione dei soli redditi non soggetti alla prova dei mezzi (ad es. indennità di accompagno), mentre la scala di equivalenza applicata sarebbe quella ISEE.

Gli impatti di questa riforma

Con questo impianto si possono osservare alcuni degli impatti di questa riforma.

Dagli aggregati si evince che una riforma di queste dimensioni non altererebbe radicalmente l’equilibrio di ciascun sottosistema (Contributi, Irpef, Patrimoniale, Sostegno famiglie), determinando inoltre un beneficio netto per le famiglie pari a circa 5 miliardi, da finanziare con altre voci (maggiori entrate, minori spese, deficit).

La variazione più significativa, uno dei principali obiettivi di questa riforma, si osserva per il costo del lavoro, un indicatore che certo contribuisce alla competitività di beni e servizi italiani. Allo stesso tempo, appare rilevante il ruolo che questa componente gioca nel modificare il mix produttivo ottimale tra lavoro e capitale/tecnologia.

Il grafico che compara l’incidenza sul reddito del sistema imposte e benefici senza e con riforma mostra chiaramente le due distinte aree di guadagno (primi tre decimi) e perdita (10% a reddito più elevato).

A corredo di quanto visto, la tabella 2 mostra riduzioni del costo del lavoro e del cuneo più pronunciate per i livelli bassi di reddito, quelli più colpiti dal macro fenomeno della globalizzazione.

Appare dunque possibile riformare l’obsoleto e inefficiente sistema italiano perseguendo equità distributiva, neutralità, competitività del lavoro, semplificazione e riduzione dell’evasione. A patto di abbandonare la ormai lunga tradizione di misure estemporanee che si accumulano anno per anno senza un disegno, rendendo alla fine difficile perfino ricordare le ragioni delle varie norme, prima ancora di valutarne l’efficienza ed efficacia.

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