Immigrazione: un peso oppure una benedizione per i paesi europei?

Majlinda Joxhe e Skerdilajda Zanaj sintetizzano i risultati di un loro più ampio studio diretto a determinare, per i vari paesi europei, il saldo tra contributi versati e benefici (monetari) del welfare goduti dagli immigrati. Joxhe e Zanaj dimostrano che il contributo fiscale netto degli immigrati è negativo nella media Europea ma vi è una grande variabilità tra paesi. Inoltre, risulta che nei Paesi dove gli immigrati sono contribuenti fiscali, la percezione è che il loro impatto fiscale sia negativo e viceversa.

Mentre l’economia europea, così come quella mondiale, si sta riprendendo dalla grave crisi iniziata nel 2008, i flussi migratori continuano a crescere facendo prevedere un ulteriore aumento dell’incidenza degli immigrati sulla popolazione residente. Secondo l’ISTAT tale incidenza, all’inizio di quest’anno, era pari all’8,3%. In termini assoluti si tratta di 5 milioni e 29mila immigrati. Se consideriamo invece l’Unione Europea a 28 nel suo complesso, secondo Eurostat, i nati al di fuori dell’Unione e privi di cittadinanza in un paese UE erano, al 1 gennaio 2016, circa 35 milioni, su una popolazione di poco superiore ai 500 milioni.

Questi immigrati lavorano in quasi tutti i settori, dalle aule universitarie – come è il caso delle due autrici di questo articolo – ai cantieri e all’agricoltura mescolando atteggiamenti che appartengono alla cultura sia del paese d‘origine sia della loro nuova “casa”.

I migranti sono per definizione figure sospese tra due mondi, il paese di origine e quello di emigrazione. Ricerche recenti hanno messo in evidenza come molti dei loro comportamenti, sia nella sfera economica (ad esempio nel mercato del lavoro o rispetto al risparmio), sia nella sfera pubblica (per esempio le opinioni sull’ambiente) siano proprio il risultato dell’interazione tra questi due mondi e tra le loro diverse culture.

Il dibattito pubblico in Europa si è però concentrato prevalentemente sull’impatto che i migranti possono avere sull’economia e sui conti pubblici. E’ infatti, soprattutto su questo tema che insiste la retorica dei molti partiti populisti attivi oggi nei paesi europei. Certamente non è nuova l’idea secondo cui gli immigrati rubano il lavoro ai nativi, con la conseguenza di aumentare il loro tasso di disoccupazione e, anche, di comprimere i loro i salari; e non è nuova neanche l’idea che essi beneficino abbondantemente dei sistemi di welfare senza avervi precedentemente contribuito. Queste idee non sono nuove, ma oggi sono tornate più che mai in auge.

Anche la ricerca accademica ha prestato molta attenzione a queste tematiche; infatti, molti interessanti studi hanno analizzato l’impatto dei migranti su specifici settori produttivi, sui salari dei cittadini europei e hanno verificato se essi hanno sostituito i lavoratori nativi nelle mansioni meno qualificate.

Per quanto riguarda invece gli effetti dei migranti sul welfare state, le ricerche accademiche sono meno numerose e giungono spesso a risultati contradditori. Questo minor interesse del mondo della ricerca è abbastanza sorprendente, perché l’idea che gli immigrati abusino dei sistemi di welfare, pagando meno tasse e contributi dei nativi o, anche, ricevendo benefici maggiori, ha svolto un ruolo centrale nel dibattito pubblico e ha avuto anche rilevanti conseguenze politiche: è stata un cavallo di battaglia del Fronte Nazionale in Francia, ha certamente influenzato il referendum sulla Brexit ed è ricorrente nel dibattito anti-immigrazione in Austria, nei Paesi Bassi e anche in Italia.

In uno studio recente (Joxhe&Zanaj, “Measuring Fiscal Effects of Immigration in Europe” 2017 in corso di pubblicazione), abbiamo cercato di analizzare l’impatto fiscale degli immigrati in 27 paesi europei con riferimento al periodo compreso tra il 2007 e il 2014, quindi subito dopo l’ingresso nell’Unione di Romania e Bulgaria.

Per analizzare empiricamente l’impatto dell’immigrazione sul welfare state e sui sistemi fiscali degli Stati Europei, abbiamo utilizzato i dati dell’indagine (EU-SILC) condotta da Eurostat sulla base di un questionario standardizzato per i diversi paesi europei. Questa indagine contiene informazioni individuali molto dettagliate relative sia alle prestazioni monetarie di welfare a cui gli intervistati hanno avuto accesso sia alle imposte e ai contributi sociali da essi versati. Non essendo stati resi disponibili i dati sul paese di nascita, è stato possibile stabilire soltanto se gli intervistati sono nati in un paese membro o dell’Unione Europea o extra-UE. Su questa base si è potuto costruire un campione di immigrati.

Il primo passo consiste nel calcolare, per ogni famiglia (nativa o immigrata) la “posizione fiscale netta”, cioè la differenza, in ogni anno, tra quanto si è complessivamente pagato come imposta o contributi e quanto si è invece ricevuto come benefici sociali (si noti che vengono considerate solo le voci in termini monetari e non i trasferimenti in natura)

Un primo risultato aggregato per tutta l’Europa evidenzia che in media il saldo tra trasferimenti monetari del welfare e imposte o contributi è più favorevole per gli immigrati rispetto ai nativi (tabella 1, prima colonna, dove i valori dei coefficienti indicano la differenza del saldo relativo fra imposte e contributi versati e trasferimenti percepiti fra nativi e migranti; un segno negativo indica, dunque, che rispetto alle imposte e ai contributi versati i migranti ricevono relativamente più trasferimenti rispetto ai nativi).

Dalla tabella 1 si evidenzia che, rispetto ai nativi, vi è una differenza significativa nella posizione fiscale sia dei migranti provenienti da altri paesi dell’UE (la differenza nella posizione fiscale netta rispetto ai nativi ammonta a quasi 82 euro) sia di quelli originari di paesi extracomunitari (quasi 104 euro). I risultati sono ottenuti controllando per una serie di caratteristiche esogene individuali e familiari. Si può inoltre predire anche la probabilità di essere un “contribuente netto”, ovvero un nucleo familiare che nell’anno paga più imposte e contributi dei trasferimenti monetari ricevuti. Come mostra la seconda colonna della tabella 1, l la probabilità di essere un contribuente netto è minore per ambedue le tipologie di migranti rispetto ai nativi, ma il risultato non è statisticamente significativo.

Tabella 1: Contribuzione Fiscale Netta: Immigrati UE e non-UE

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E’ possibile poi scomporre il totale dei trasferimenti in base al tipo di trasferimento monetario, distinguendo tra assegni per la casa, trasferimenti monetari generici, trasferimenti per i figli e assegni familiari e sussidi di disoccupazione. Come viene evidenziato dalla tabella 2, gli immigrati provenienti da altri paesi europei sono quelli che ricevono più benefici sociali in moneta, in particolare per quanto riguarda i sussidi di disoccupazione. Lo studio sottolinea che nonostante un effetto medio negativo in termini contributivi dei migranti, il risultato varia in modo considerevole da paese a paese. Gli immigrati (UE e Non-UE) risultano essere contributori netti In Spagna ed Inghilterra e riceventi netti in Norvegia e Danimarca.

 

Tabella 2: Trasferimenti Sociali: Migranti UE e non-UE

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I dati che misurano la percezione sull’immigrazione da parte delle popolazioni europee, provengono dalla indagine “European Social Survey (ESS)” del 2014. Agli intervistati è stato chiesto “quanto positiva oppure negativa in generale è la presenza dei migranti nei loro paesi” e le risposte vanno da 0 a 10 in senso crescente.Un ulteriore risultato è la correlazione negativa tra la percezione degli effetti fiscali dei migranti da parte degli europei e “il vero impatto fiscale” dei migranti come calcolato dallo studio.

Considerando l’Europa nel complesso le risposte medie a questa domanda generale sono concentrate intorno a 5 (cioè la percezione non è né cattiva né buona) anche se guardando alla distribuzione troviamo che il 35% delle risposte ha un valore inferiore a 5 mentre il 41% delle risposte ha un valore superiore.

Un’altra domanda del modulo chiede agli europei se credono che gli immigrati stanno ricevendo più in termini servizio di quello che contribuiscono con le imposte. La media è di nuovo approssimativamente pari a 5, anche se questa volta quando si considera la distribuzione il 39% delle risposte si trovano al di sotto del 5 e soltanto il 30% sopra il 5. Chiaramente, la gran parte degli intervistati crede che gli immigrati ricevano benefici sociali superiori alle imposte o ai contributi che pagano. Per un migliore confronto, integrando le due domande si ottiene che in paesi come la Francia e il Regno Unito la preoccupazione per la questione fiscale è molto più elevata della preoccupazione legata all’immigrazione in generale.

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Qual è la relazione tra il contributo “reale” degli migranti e la percezione che hanno i cittadini europei di questo contributo?

La risposta emerge dai due grafici sottostanti: a sinistra si mostra la percezione degli europei sui migranti e a destra l’impatto fiscale che risulta dal nostro studio. Con la sola eccezione della Germania, le due variabili risultano in contrasto tra loro. Nei paesi dove la percezione è negativa i migranti sono una «benedizione», nel senso che pagano più di quanto ricevano (è questo, ad esempio, il caso di Spagna e Inghilterra). Al contrario, nei paesi in cui i migranti sono un «peso», la percezione è positiva (ed è questo il caso di Norvegia e la Danimarca).

Rimangono da capire le cause di questo profondo contrasto tra la “posizione fiscale” dei migranti e la percezione da parte della popolazione nativa e se tra esse vi è anche il ruolo svolto dalla classe politica.

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