Il welfare greco fra miti infondati e tagli reali

Michele Raitano esamina il welfare greco comunemente considerato troppo generoso. Dopo aver chiarito le principali caratteristiche del sistema pensionistico greco e delle riforme introdotte di recente, Raitano esamina, comparativamente, livelli e tendenze della spesa sociale greca. La sua conclusione è che il sistema previdenziale greco non appare anomalo e che i dati sull'età effettiva di pensionamento e sull'andamento della spesa sociale sono tali da smentire la tesi che in Grecia dopo la crisi non siano state introdotte importanti riforme del welfare.

Nel dibattito sulla crisi greca ricorre l’affermazione che l’indebitamento del paese derivi in larga misura dall’elevata spesa pubblica erogata da un sistema di welfare – in particolare quello previdenziale – troppo generoso e perciò bisognoso, di robusti interventi di riforma. Sulla nostra stampa, generalmente sulla base di aneddoti, la Grecia è spesso dipinta come un paese in cui il livello della spesa sociale è anomalo, il sistema pensionistico paga prestazioni iper-generose, gran parte dei lavoratori e delle lavoratrici smette di lavorare a 55 anni e, soprattutto, nessuna riforma previdenziale significativa è stata adottata dall’esplodere della crisi in poi, da cui il mantra: “il paese meriterà gli aiuti solo quando inizierà a introdurre riforme strutturali”.

In questa nota si valuterà la rispondenza ai fatti di queste affermazioni iniziando con l’esame delle caratteristiche del sistema pensionistico greco e delle riforme introdotte negli anni più recenti e, proseguendo con l’analisi, in un’ottica comparata, dei livelli e delle tendenze della spesa sociale, sulla base dei dati più recenti di fonte Eurostat.

Il sistema previdenziale greco è quasi esclusivamente a gestione pubblica (il ruolo dei fondi pensione privati è del tutto marginale), è finanziato a ripartizione con aliquote a carico sia del datore che dei lavoratori (attualmente pari a circa il 26% della retribuzione lorda, di cui 6 punti per finanziare la cosiddetta pensione pubblica supplementare) e le prestazioni sono formate da una quota legata alle retribuzioni ricevute durante l’attività lavorativa (come in Italia nel sistema retributivo) e da una quota in somma fissa di importo limitato (pari a circa 360 Euro al mese). Tuttavia, mentre queste macro-caratteristiche sono rimaste invariate nel corso degli ultimi anni, dal 2010 in poi ben 6 riforme hanno modificato in misura sostanziale sia le regole di calcolo e gli importi delle prestazioni erogate, sia i requisiti per accedere al pensionamento anticipato o per vecchiaia.

Come accadeva in Italia prima della riforma Amato del 1992, in Grecia fino al 2010 le prestazioni venivano calcolate prendendo a riferimento le ultime 5 annualità retributive. Le riforme hanno introdotto parametri di calcolo molto meno favorevoli: dal 2011 la retribuzione di riferimento si basa sull’intera storia lavorativa (e, poiché i rendimenti sono crescenti con l’anzianità, è avvantaggiato chi lavora più a lungo) e, inoltre, dal 2015 la parte di pensione pubblica “supplementare” viene calcolata con il metodo contributivo.

La modifica delle regole di calcolo si applica gradualmente alle sole pensioni in maturazione. Tuttavia, alcune norme hanno ridotto in modo consistente anche le pensioni in essere: dal 2011 sono state infatti abolite la tredicesima e la quattordicesima mensilità (determinando una perdita di circa il 14% all’anno) e, fra il 2011 e il 2014, sono stati progressivamente ridotti gli importi erogati; con l’ultimo taglio le pensioni comprese tra i 1000 e i 1500 euro vengono ridotte del 5%, la parte di pensione fra 1500 e 2000 euro viene ridotta del 10%, nello scaglione fra 2000 e 3000 euro si applica una trattenuta del 15% e sulla parte eccedente i 3000 euro la riduzione è del 30%.

Il processo di riforma è inoltre intervenuto in modo significativo anche sull’età pensionabile, che è stata incrementata da 60 e 65 anni (rispettivamente, per donne e uomini) a 67 anni. Chi ha 40 anni di contribuzione (35 anni se ha iniziato a lavorare prima del 1993) può però ritirarsi a partire dai 62 anni di età, con una pensione di importo pieno. Il pensionamento a partire dai 62 anni è consentito anche a chi ha meno di 40 anni di contribuzione, ma, in questo caso, l’importo della prestazione si riduce di 1/200 per ogni mese in anticipo rispetto all’età di vecchiaia (prima del 2010, a determinate condizioni, ci si poteva pensionare a partire dai 53 anni e la riduzione della pensione era pari a 1/267 per ogni mese di anticipo). Come in Italia, si è inoltre stabilito che a partire dal 2021 tutti i requisiti anagrafici per il pensionamento verranno aggiornati automaticamente in base all’andamento dell’aspettativa di vita.

Gli attuali requisiti per il pensionamento, di vecchiaia o anticipato, appaiono, dunque, assolutamente in linea con quanto previsto nella gran parte dei paesi dell’Unione Europea, come si può verificare dalle tavole comparative del MISSOC. In cosa consisterebbe, dunque, l’anomalia greca della persistenza delle baby pensioni, enfatizzata dalla stampa e dalla stessa Troika? L’anomalia consiste nella possibilità di anticipare il ritiro di ulteriori 5 anni (fino dunque a 57 anni, o 55 anni se si accetta una prestazione di importo ridotto) laddove si sia lavorato almeno 35 anni di cui 25 o più in professioni considerate usuranti o insalubri. Le riforme introdotte dal 2010 hanno sì incrementato a 62 anni la possibilità di ritirarsi con pensione piena per chi ha svolto attività usuranti o insalubri, ma l’incremento non si applica a chi aveva già trascorso almeno 10 anni in tali attività al momento della riforma. La lista di attività ritenute usuranti o insalubri è effettivamente abbastanza ampia, includendo 580 professioni che riguardano, in base ad alcune stime, più di 1/3 della forza lavoro maschile e circa il 15% di quella femminile. Invero, l’inclusione di molte attività nella lista sembra dovuta non al loro carattere effettivamente usurante ma a poco trasparenti politiche assistenziali o di pre-pensionamento selettivo.

Ma quanto incidono le possibilità di ritiro anticipato sulle effettive scelte di pensionamento dei greci? Per comparare le età pensionabili non basta confrontare le età legali di pensionamento, dato che in ogni paese sono previste forme di uscita anticipata dal lavoro. Tuttavia, i dati sull’età effettiva di ritiro dei lavoratori calcolata dall’OCSE smentiscono la presunta anomalia greca (Figura 1, quadro a sinistra): lungi dal luogo comune che vorrebbe torme di baby pensionati, in Grecia nel 2012 (quando non si erano ancora pienamente realizzati gli effetti delle riforme) l’età effettiva di pensionamento era pari a 61,9 anni fra gli uomini e 60,3 anni fra le donne; pertanto, era superiore a quella che della Spagna e dell’Italia e non troppo distante da quella tedesca. Addirittura, secondo le stime relative al 2015 contenute nell’ultimo rapporto dell’Ageing Working Group (AWG) della Commissione Europea la Grecia è uno dei paesi dell’Euro zona con la più alta età effettiva di pensionamento (Figura 1, quadro a destra).
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Le caratteristiche del sistema previdenziale greco non appaiono, dunque, per nulla anomale. Tuttavia, in rapporto al Pil la spesa per pensioni greca risulta in forte crescita, essendo passata dal 13,5% del 2009 al 17,2% nel 2012 (l’ultimo anno disponibile in base ai dati Eurostat), mentre nello stesso periodo la spesa per pensioni dell’Euro zona a 12 paesi (quelli originari) è aumentata di soli 0,2 punti percentuali.

Prima di dedurne che il sistema pensionistico greco sia insostenibile, bisogna però sottolineare due aspetti. In primo luogo, in periodi di forte recessione non ha senso valutare i trend di spesa sulla base di indicatori espressi in rapporto al Pil, dato che la forte caduta del denominatore distorce per sua natura il dato; è, invece, più informativa la dinamica della spesa pro capite. In secondo luogo, anziché soffermarsi su una sola componente di spesa, come quella per pensioni, è preferibile osservare, soprattutto in comparazione internazionale, il complesso della spesa sociale. I confronti internazionali risentono infatti del tipo di strumento scelto da ciascun paese per fronteggiare varie tipologie di rischio (ad esempio, povertà o disoccupazione dei lavoratori anziani). Storicamente, la Grecia (così come l’Italia) ha utilizzato il sistema pensionistico per far fronte ad esigenze assistenziali ed occupazionali, mentre nei paesi del Nord Europa, in caso di uscita anticipata dall’attività, si erogano generalmente sussidi di invalidità o disoccupazione, non contabilizzati nella spesa previdenziale. A conferma del ruolo marginale delle prestazioni di welfare non pensionistiche, in Grecia prima della crisi (da dati EU-SILC) il 24,1% del reddito disponibile delle famiglie proveniva da pensioni, mentre solo il 3,2% derivava da trasferimenti monetari non previdenziali.

Di seguito, si utilizzano i dati Eurostat sulla spesa sociale, basati sulla classificazione della spesa per tipologia di rischio (malattia, vecchiaia, invalidità, superstiti, disoccupazione, famiglia, esclusione sociale, abitazione). Misurando la generosità del sistema di welfare tramite la spesa sociale pro capite a parità di potere d’acquisto (PPP, in modo da tenere conto del diverso costo nella vita nei paesi europei), la Grecia risultava nel 2012, dopo la Spagna, il paese con la minor spesa, ben lontana dal valore dell’Euro zona (Figura 2) e poco meno del 60% di tale spesa era destinata a pensioni (il 2012, come detto, non incorpora però integralmente gli effetti delle riforme).
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Oltre che il valore della spesa sociale nell’ultimo anno disponibile, è interessante osservare l’andamento della spesa pro capite nel periodo 2003-2012 (valutata in Euro a prezzi costanti; Figura 3). Dal grafico emerge evidente un fenomeno di catching up da parte della Grecia prima della crisi (in anni caratterizzati da una sostenuta crescita del Pil), probabilmente anche a causa degli effetti cumulati delle precedenti regole previdenziali generose. Tuttavia, è evidente una chiara inversione di tendenza a partire dal 2009, comune del resto a tutti i paesi dell’Europa meridionale: nel periodo 2009-2012 (senza quindi incorporare gli effetti dei tagli introdotti dalle varie misure di spending review negli anni successivi) la spesa sociale procapite a prezzi costanti risulta diminuita in Grecia addirittura del 14,9% (Figura 4).
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Guardando alle singole componenti di spesa (accorpando le spese per disoccupazione a quelle per pensioni, data la stretta sostituibilità fra queste e la limitata importanza delle prime in Grecia) risulta impressionante il crollo della spesa sanitaria pro capite (-34,9% nel quadriennio) e di quella (già molto limitata) destinata a sostegno assistenziale a individui e famiglie (-32,6%), mentre la spesa per pensioni e disoccupazioni è rimasta sostanzialmente immutata (Figura 5).
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Sintetizzando, la descrizione delle riforme introdotte in Grecia dall’esplosione della crisi e l’evidenza empirica disponibile sull’età effettiva di pensionamento e sull’andamento della spesa sociale porta a smentire con forza l’idea che in questi anni non siano state introdotte importanti riforme dei sistemi di welfare. Al contrario, l’ampiezza dei tagli già effettuati e di quelli in divenire (come nel caso delle pensioni) porta a interrogarsi con timore sugli effetti depressivi scatenati da queste misure che hanno inciso in modo significativo sul benessere economico della popolazione greca.

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