Il voto a Roma: dualismo centro- periferia o fine del voto interclassista? (seconda parte)

Eugenio Levi e Fabrizio Patriarca nella seconda parte della loro analisi del voto a Roma, utilizzando anche dati socio-economici e territoriali distinti per Municipio, individuano le aree della città e i gruppi sociali decisivi per i risultati dei diversi schieramenti. Esaminano, poi, i dati aggregati sulle preferenze e concludono che il bipolarismo “politico” tramonta mentre si consolida una polarizzazione “sociale” che non corrisponde all’asse destra-sinistra e che, esprimendosi direttamente nel voto, è tutt’altro che “apolitica”.

Nella prima parte della nostra analisi abbiamo messo in evidenza la diversa influenza, rispetto al passato, della  direttrice centro-periferia sulla struttura del voto. In particolare, il centrosinistra arretra maggiormente nelle periferie storiche popolari, perdendo il proprio radicamento nelle “fasce intermedie” della città, quelle della Roma impiegatizia dei film di Fantozzi, dove era più forte anche ai tempi delle amministrazioni del “modello Roma”.

Il dato puramente geografico dà indicazioni sulle dinamiche del voto, ma non individua le sue determinanti. Le nostre osservazioni sono in numero limitato  perché consideriamo solo il livello del  municipio ma  possiamo sfruttare la variabilità fra municipi per determinare – con stime OLS – cosa spieghi la struttura interna del voto di ciascuno candidato e le differenze rispetto ai candidati dello stesso schieramento nelle elezioni precedenti. Oltre ai  flussi elettorali utilizziamo alcune variabili socio-economiche a livello di municipio:  la percentuale di over 55 e di under 30, il reddito, il livello d’istruzione (percentuale di laureati e di non diplomati), e variabili territoriali, quali la densità abitativa (escluse le zone verdi), il numero e la variazione di immigrati, il numero di bambini in rapporto ai  posti disponibili negli asili nido. Inoltre, analizziamo la dinamica delle preferenze per i  candidati e gli esiti delle elezioni in termini di ricambio degli eletti.

La tabella 2 riassume i risultati delle circa 200 stime OLS effettuate (12 per ogni colonna considerando diversi sottogruppi di variabili insieme e separatamente, più altre stime con variabili non riportate). La nostra analisi, a differenza di quelle descrittive,permette di isolare il contributo di specifiche variabili da quello di altre con determinanti analoghe; ad esempio, il contributo della variabile “reddito”in modo distinto da quello del “titolo di studio” che, invece, si sovrappongono, almeno parzialmente, in un’analisi descrittiva.

Una prima considerazione riguarda l’immigrazione: nella spiegazione del voto, la variazione del numero di immigrati (dati 2003/2013)  sembra avere una rilevanza maggiore del numero di immigrati (dati 2014). La prima interpretazione è che l’impatto dei  flussi migratori dipende più dalle  pressioni a cui i territori sono stati sottoposti (a sua volta dipendente dalle politiche con le quali è stato affrontato il fenomeno migratorio negli ultimi 10 anni) che non da genetica  intolleranza nei confronti degli immigrati. Un’altra possibile interpretazione è che la presa della  narrazione politica ostile ai fenomeni migratori sia maggiore dove l’immigrazione è un fenomeno nuovo.

A livello generale emerge anche che i fattori socio-economici sono più importanti di quelli legati al territorio: anche se la correlazione fra di essi è forte,quando  si considerano entrambi, quelli legati al territorio perdono più spesso di significatività. Le variabili più rilevanti sono, da un lato, l’istruzione e il reddito–cioè: le disuguaglianze contano – e, dall’altro, l’età – cioè: le generazioni contano, anche se non secondo la contrapposizione giovani-anziani; infatti, la spaccatura generazionale si colloca sulla soglia dei 55 anni. Inoltre,  programmi sembrano essere stati meno importanti della dimensione politica del voto, legata probabilmente, da una parte, a Mafia Capitale e  dall’altra  alle politiche del governo Renzi , come suggerisce il confronto con i comuni della Provincia e con gli altri capoluoghi in Italia,. Come vedremo, elementi specifici dei problemi cittadini sembrano avere influenzato, e in misura limitata, soltanto il voto per la Raggi e la Meloni.

L’analisi delle dinamiche dei singoli schieramenti conferma alcuni risultati enunciati nella  prima parte della nostra analisi. Il voto per Giachetti non ha la stessa struttura di quello per Marino o Rutelli nella variabilità fra municipi, mentre quello per la Raggi riflette quello per De Vito (e della candidata del 2008 Serenella Monti) del quale è un multiplo, di circa 4 volte. La Meloni raccoglie parzialmente il voto per Alemanno del 2013 e Marchini quello per se stesso nelle  elezioni precedenti. La struttura del voto di Fassina riflette appieno quella di Marino.

Si conferma che il M5S è stato  protagonista di una cavalcata espansiva nella città che dura dal 2008: i voti aumentano in termini relativi e assoluti pur appartenendo allo stesso target specifico. Giachettinon è, invece, in continuità con il duo  Marino/Rutelli che, peraltro,  già mostrava smagliature nelle periferie. L’aspetto geografico rimane significativo ma resta da accertare l’importanza della composizione socio-economica e dei problemi della città.

L’elettorato di Giachettiè composto più da over 55 che non da  giovani e adulti e si caratterizza per  gli alti redditi e l’elevata istruzione, che sembrano avere un uguale peso.  Il suo elettorato si differenzia, dunque, in modo rilevante in  base al reddito e questa è una diversità importante rispetto a Marino. Gli elettori di Giachetti  sono localizzati nei quartieri del centro e nelle zone più benestanti, inoltre appartengono soprattutto alle generazioni nate prima degli anni ‘60. In breve, si tratta del ceto medio intellettuale. Il PD, ha perso invece le zone popolari, corrispondenti alle vecchie borgate tradizionalmente di sinistra, che con Marino ancora rappresentava.

Tabella 2 OLS sulla struttura municipale del voto

levi_patriarcaRaggi, al contrario, raccoglie voti  soprattutto tra coloro che hanno un grado intermedio di istruzione, tra coloro che, a parità d’istruzione, hanno un reddito minore e tra gli under 55. A livello territoriale la sua forza è maggiore dove la densità abitativa è minore, dove  gli immigrati sono aumentati di più ed è più scarsa  l’offerta di  servizi. Questi indicatori, però, si capovolgono se consideriamo anche le variabili socio-economiche e ciò vuol dire che la Raggi ha ottenuto il voto di chi vive in periferie densamente popolate anche se non è  particolarmente  sensibile al tema degli immigrati ma forse lo è al tema della qualità della vita, su cui la Raggi ha molto insistito  in campagna elettorale.

Meloni va meglio nelle zone in cui i livelli d’istruzione sono bassi o bassissimi e in quelle dove si sono concentrati i più recenti flussi migratori che spesso coincidono con le prime. La Lepenizzazione della Meloni sembra aver avuto successo, ma in realtà si è limitata a conservare questo segmento del voto di Alemanno. A Marchini, invece, sono andati i voti dell’elettorato di Alemanno  con il reddito più alto, indipendentemente dal livello d’istruzione (possiamo pensare ai commercianti, ad esempio).

Diversamente che per  Giachetti, il voto per Fassina ha la stessa struttura di quello per Marino (over 55 sovrarappresentati e  reddito e l’istruzione che contano poco). Fassina raccoglie anche il voto  che nel 2013 andò a Medici (non riportato nella tabella), il candidato di Rifondazione Comunista e dei centri sociali, che aveva un forte radicamento nelle zone più popolari.

Veniamo ora al ballottaggio. Nel 2013 i voti per  Marino e Alemanno erano poco differenziati in base alle  dimensioni socio-economiche e alle caratteristiche dei municipi, mentre non è stato così alle recenti elezioni. Per Giachetti, anche al ballottaggio, hanno votato soprattutto gli over 55 e coloro che percepiscono redditi elevati, L’opposto è, naturalmente, accaduto alla Raggi. Siamo, quindi, di fronte a  un’inedita polarizzazione nella città.  Con la  fine del bipolarismo cittadino si è acuita la dimensione sociale del voto e ciò è avvenuto malgrado la crisi economica avesse dispiegato i suoi effetti già nel 2013. Possiamo aggiungere  che la Raggi ha guadagnato consensi al ballottaggio soprattutto dove era forte la Meloni (in primis i municipi a sudest), mentre Giachetti ha guadagnato di più, ma sempre  molto meno della Raggi, dove Fassina e Marchini, nell’ordine, erano più forti.

Questi dati, se combinati con quelli sull’affluenza, danno indicazioni molto chiare. Nel 2013 l’astensione era stata più alta ma non aveva una connotazione sociale ed economica. L’unica variabile rilevante era quella legata ai servizi (bambini in rapporto ai posti nido): al netto degli altri effetti geografici e socio-economici, laddove i disagi erano maggiori la partecipazione al voto tendeva ad aumentare. Nelle scorse elezioni, invece, come si è messo in rilievo nella prima parte, l’affluenza è aumentata  soprattutto nei quartieri periferici, favorendo la Raggi, ed è  diminuita nel centro, penalizzando Giachetti. L’analisi mostra che a determinare questo fenomeno è stata la  diminuzione relativa dell’astensionismo tra gli under 55 e tra i più poveri.

Nell’analisi delle  preferenze occorre distinguere i voti assoluti da quelli alla  lista. Entrambi dipendono dal radicamento del partito: , perché i primi  dipendono dalla rete strutturata del partito e i  secondi dalla relazione tra questa struttura e il consenso per il  partito in quanto tale. Gli aspetti interessanti sono due.  Il primo è che PD e Forza Italia perdono molte preferenze in termini sia assoluti che relativi (il PD le dimezza rispetto al 2013). Se si considera il rapporto tra voti di preferenza e voti totali di lista, siamo di fronte a un vero e proprio crollo. Il secondo è che il M5S cresce nella stessa misura sia nelle  preferenze che nei voti, lasciando il  rapporto preferenze/voti invariato a 1 a 10. In valore assoluto le preferenze sono cresciute in 3 anni in modo impressionante: da 13000 a 41000! Il M5S raccoglie ancora largamente un voto d’opinione, ma ormai ha nella città una sua struttura e una classe dirigente riconosciuta dall’elettorato, indipendentemente dalle polemiche  sulla sua adeguatezza e competenza. . L’ultimo aspetto riguarda Fratelli d’Italia,che raddoppia i voti – trainato dal proprio candidato sindaco – e, al pari del M5S, cresce proporzionalmente in voti di lista e di preferenza… Per il resto, i partitiche perdono consenso portano in Consiglio quasi esclusivamente Consiglieri uscenti, quelli che hanno avuto un risultato positivo (M5S e FdI)vi aggiungono una pattuglia  di volti nuovi.

Tabella 3 Voti e Preferenze dei maggiori partiti

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La nostra analisi richiederebbe certamente un maggior livello di dettaglio territoriale. Tuttavia, la significatività dei risultati ci permette di trarre alcune conclusioni e di formulare ulteriori domande. Mafia Capitale ha avuto sicuramente un ruolo rilevante (a partire dalle condizioni che hanno determinato il voto in se  con la cacciata di Marino). Tuttavia, sul voto sembrano aver influito soprattutto questioni di carattere  politico generale, come testimonia la maggior significatività delle variabili socio-economiche rispetto a quelle territoriali.

Il PD, in discontinuità con le elezioni precedenti, perde le borgate storiche e si caratterizza come un partito della borghesia colta (ed anziana), che però comincia ad allontanarsi dalle urne o a pesare meno sull’elettorato attivo. Il progetto del Partito della Nazione, inteso come un blocco riformista trasversale interclassista e post-democristiano, se mai è esistito, appare abbastanza fuori dalla realtà. Il suo elettorato sarebbe piuttosto assimilabile a quello dei partiti dell’Italia liberale, tramontati con il suffragio universale. Non diversamente dall’altro contraente del patto del Nazareno, il Centrosinistra conferma la propria classe dirigente (in termini di ri-eletti in consiglio) e ciò avviene mentre il consenso organizzato crolla più di quello d’opinione . Il livello di dettaglio dell’analisi non permette di stabilire  se questo calo derivi dall’allontanamento di elettori storici (iscritti, corpi intermedi, ecc.) o piuttosto dalle “pratiche clientelari” portate alla luce da Mafia Capitale. A tale proposito, è utile ricordare che il canale del “mondo di mezzo”permetteva di finanziare e sostenere, in forme illecite ma talvolta anche lecite, i singoli candidati, non la lista.

Intanto, M5S moltiplica i propri voti in un elettorato specifico composto di soggetti non anziani, con disagio e bassi redditi. Queste caratteristiche differiscono da quelle dell’astensione, area dalla quale i grillini attingono in misura  non diversa che dagli elettori già attivi.   La loro classe dirigente locale non si compone più di “cittadini qualunque”, sconosciuti e improvvisati: ne è testimonianza la crescita delle preferenze che procede di pari passo con quella (esponenziale) del voto di lista. A questo si aggiunge una destra che quando si divide accentua da una parte i tratti Lepenisti xenofobi e dall’altra un forte elitarismo reddituale, ma non intellettuale.

Tutto ciò spiega le novità emerse al secondo turno ed in particolare la polarizzazione tra anziani-ricchi e non anziani-poveri che  non ha precedenti. Nei ballottaggi passati i due poli, seppur con radicamenti sociali diversi, hanno sempre presentato un profilo interclassista. La rottura del vecchio bipolarismo destra-sinistra, all’italiana magari, ma pur sempre sullo stesso asse che caratterizzava le democrazie occidentali, non è un fenomeno passeggero. Mentre finisce il bipolarismo “politico” sta emergendo con forza un bipolarismo “sociale”.Esso si esprime direttamente nel voto, e di conseguenza, è tutt’altro che “apolitico”, per quanto l’asse non si più destra-sinistra.Negli interstizi delle tante crisi del nostro tempo, si stanno probabilmente formando nuovi crinali di frattura, socio-economici e generazionali, che minacciano la nostra democrazia e  perciò  meritano una particolare attenzione.

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