Il vecchio e il nuovo della povertà assoluta in Italia

Elisabetta Segre esamina i dati recentemente pubblicati dall’Istat sulla povertà assoluta secondo cui nel 2015 il 7,6% degli individui e il 6,1% delle famiglie si trovava in questa condizione. Segre esamina in dettaglio questi dati e la loro evoluzione negli anni recenti, sottolineando come la povertà sia cresciuta tra gli occupati e tra le famiglie di stranieri, in particolare quelle residenti al Nord. Segre si interroga anche sulla situazione della povertà in altri paesi e mostra che tendenze simili sembrano essere in atto nel Regno Unito.

Il 14 luglio,a 20 anni dalla pubblicazione dei primi dati sulla povertà assoluta in Italia da parte della Commissione di indagine sulla povertà e sull’emarginazione della Presidenza del Consiglio dei Ministri e a 18 anni dalla prima stima ufficiale realizzata dall’Istat, è stata pubblicata, sempre dall’Istat, la statistica report con le stime della povertà assoluta e relativa nel nostro Paese, realizzate a partire dall’indagine sulle spese per consumi delle famiglie.

La stima della povertà assoluta è ottenuta attraverso la valutazione di una soglia che esprime il valore monetario di un paniere di beni e servizi “considerati essenziali per evitare gravi forme di esclusione sociale”. Le componenti del paniere vengono definite ogni 10 anni da un’apposita commissione: il primo paniere è stato definito nel 1995, attualmente è in vigore quello del 2005 e sono in corso i lavori per la definizione di quello 2015. Nel paniere 2005 si possono identificare tre componenti principali: una riferita al soddisfacimento di fabbisogni alimentari essenziali; una riferita alla disponibilità di una abitazione consona; e una, di natura residuale, riferita alla necessità di vestirsi, comunicare, istruirsi, vivere in salute, informarsi e muoversi. I fabbisogni sono considerati omogenei su tutto il territorio mentre i costi che le famiglie sostengono per soddisfarli sono differenziati per tipologia famigliare (numero ed età dei componenti per un totale di 38 tipi), per ripartizione geografica (Nord, Centro e Mezzogiorno) e tipo di comune di residenza (centro dell’area metropolitana e periferia dell’area metropolitana e comune con oltre 50 mila abitanti, altri comuni). Il valore monetario dei beni che rientrano nel paniere viene aggiornato annualmente utilizzando la variazione degli indici dei prezzi al consumo. Questo impianto porta a definire tante soglie di povertà assoluta quanti sono i possibili incroci tra queste dimensioni: la più bassa di quelle riportate nel comunicato è 490 euro per una famiglia con un unico componente di oltre 75 anni residente un piccolo comune del Mezzogiorno mentre la più alta è 1983 euro per una famiglia con 2 componenti minorenni e tre componenti nella fascia 18-59 residenti al Nord in un centro area metropolitana.

Le stime per il 2015 ci dicono che in Italia ci sono 1 milione 582 mila famiglie povere (il 6,1% delle famiglie) per un totale di 4 milioni 598 mila persone (il 7,6% della popolazione). Di queste ultime il 45% circa vive nel Mezzogiorno dove è povera una persona su 10 mentre poco più del 40% vive al Nord dove è povero il 6,7% dei residenti. I numeri diffusi dall’Istat permettono di andare un po’ più a fondo sulle dinamiche e i profili della povertà assoluta in Italia degli ultimi 10 anni.Una prima informazione interessante è che rimane stabile il numero di famiglie assolutamente povere mentre aumenta il numero di individui poveri.Un indizio forte del cambiamento in atto nella composizione delle famiglie povere: entrano in povertà i nuclei più numerosi ed escono dalla condizione di povertà quelli più piccoli. Questi ultimi sono in aumento costante e per più della metà sono costituiti da anziani soli. E questa è la seconda storia, diciamo a lieto fine, che la statistica report ci lascia intuire e che il Rapporto annuale dell’Istat uscito a maggio ci raccontava.Sono gli anziani quelli che hanno subito di meno gli effetti della crisi, il tasso di povertà assoluta per gli ultrasessantacinquenni nel decennio 2005-2015 è rimasto sostanzialmente stabile e la classe di età over 65 che, rispetto alle altre, era la  più svantaggiata ora è quella che “sta meglio” (Fig. 1).

Fig. 1 Incidenza della povertà assoluta per classi di età – Anni 2005-2014 (valori percentuali)

Segre_Fig1Fonte: Istat

Questa dinamica è direttamente riconducibile a coorti di anziani che accedono a redditi pensionistici non di mercato, quindi per natura sicuri,e di importo mediamente crescente grazie a percorsi lavorativi più stabili e meglio retribuiti rispetto alla coorti precedenti. Se si aggiunge che per queste coorti ancora non si vedono gli effetti del passaggio al sistema contributivo, diventa facile spiegare la dinamica osservata. Ma se, come abbiamo visto, il tasso di povertà di questa classe di età è rimasto stabile mentre la sua posizione relativa è migliorata, inevitabilmente è peggiorata la condizione delle altre classi di età.In particolare l’incidenza della povertà è passata da 3,9% nel 2005 a 10,9% nel 2015 per la classe dei minori di 18 anni e, nello stesso periodo, da 2,7 a 7,2% nella classe di età dei potenziali genitori (i 35-64 enni). Questo scenario richiama direttamente il progressivo deteriorarsi delle condizioni del mercato del lavoro, con ovvie ricadute negative sulle fasce attive della popolazione che sono anche quelle che generalmente attraversano la fase riproduttiva del ciclo di vita.Le peggiorate condizioni del mercato del lavoro si riflettono, naturalmente, sull’incidenza della povertà nei nuclei familiari in cui la persone di riferimento è occupata. Tra il 2005 e il 2015 tale incidenza è triplicata, passando dal 2,2% al 6,1%. Particolarmente colpite le famiglie con persona di riferimento (p.r.) dipendente (da 2,3% a 6,7%) o, ancora di più, operaio (da 3,9% a 11,7%).

Il documento dell’Istat riporta anche il dato sulla significatività statistica della variazione su base annua (ricordiamo che le incidenze della povertà assoluta sono stime derivate da un’indagine campionaria e quindi naturalmente associate a delle soglie di confidenza). Tale dato mostra che, mentre la composizione per classe di età della povertà assoluta non si è modificata tra il 2014 e il 2015,l’incidenza della povertà è cresciuta tra le famiglie con p.r. occupato (dal 5,2 a 6,1%), con p.r. dipendente (dal 5,6 al 6,7%) e operaio (da 9,7 a 11,7) nonché tra le famiglie con p.r. tra i 45 e 54 anni confermando così le difficoltà del mercato del lavoro.

Non sono molte a dire il vero le variazioni statisticamente significative avvenute tra il 2014 e il 2015. Oltre a quelle già citate, le più rilevanti hanno interessato le famiglie di soli stranieri e di queste in particolare quelle residenti nel Nord Italia. Per quest’ultima categoria l’incidenza della povertà assoluta è passata nell’arco di un solo anno dal 24 al 32,1%,mentre in tutto il Paese le famiglie di soli stranieri assolutamente povere sono passate dal 23,4 al 28,3%. Per le famiglie di soli italiani i dati sono estremamente diversi (oltre che stabili nell’ultimo anno). Complessivamente in Italia l’incidenza della povertà in questa tipologia di famiglie è del 4,4% e scende al 2,4% al Nord. In questa ripartizione il divario con le famiglie di stranieri è di quasi 30 punti percentuali. Un’ultima variazione che sembrerebbe oramai caratterizzare sempre di più i profili della povertà assoluta in Italia è l’aumento della sua incidenza (dal 5,3% al 7,2 nell’ultimo anno) nelle aree metropolitane.

Se volgiamo brevemente lo sguardo all’estero, notiamo che il metodo del valore monetario di un paniere di beni e servizi essenziali, anche detto budget standard, per stimare la povertà è adottato in diversi paesi europei – non necessariamente dagli uffici centrali di statistica come nel caso italiano. Tuttavia i risultati non sono direttamente comparabili tra paesi  a causa di sostanziali differenze nella modalità di raccolta dei dati e nelle metodologie di calcolo del budget.

L’Unione Europea sta valutando la possibilità di adottare un Budget standard europeo (European Commission, 2011, The Measurement of Extreme Poverty in Europe). Nel frattempo vale la pena ricordare tra le altre esperienze quella del Regno Unito dove un centro di ricerca universitario (Centre for Research in Social Policy) propone il Minimum Income Standard (MIS) per alcune tipologie familiari. Questa soglia è stata usata in un recente paper (Padley M., Valadez L. e D. Hirsch, Households Below a Minimum Income Standard, JRF Programme Paper, January 2015) per calcolare la quota di popolazione che l’ha raggiunta nel 2008/2009 e nel 2010/2013. Nel periodo 2012/2013 43,2 milioni di persone vivevano in famiglie riconducibili a tipologie per le quali era disponibile il valore del MIS. Di queste, 11,8 milioni erano in condizione di povertà assoluta e la corrispondente incidenza è  del 27%,  in aumento rispetto al 21% del 2008/2009.

Poiché non è rilevato sull’intera popolazione, questo dato non è comparabile con quello italiano (6,1%). Esso non lo è anche a causa del diverso metodo di costruzione del paniere e per l’utilizzo dei dati di reddito piuttosto che di consumo. Alcune dinamiche sono tuttavia simili a quelle registrate in Italia:ad esempio, la sostanziale stabilità dei tassi di povertà assoluta tra i pensionati (7,3% nel 2008/2009 e 7,5% nel 2012/2013) e l’influenza del peggioramento delle condizioni del mercato del lavoro sulla crescita dei tassi tra la popolazione in età lavorativa (l’incidenza tra le persone in età lavorativa che vivono da sole è passata dal 29 al 37%, e tra quelle che vivono in coppia dal 10 al 17%). Un altro aumento consistente ha riguardato le famiglie con figli: il 71% delle persone che nel 2012/2013 vivevano in famiglie mono genitori mancavano di un reddito adeguato (erano il 65% nel 2008/2009); la percentuale scende al 34 per le persone che vivevano in famiglie con due adulti e hanno tra 1 e 4 bambini. Quest’ultima categoria ha registrato un aumento di 10 punti percentuali nell’arco di tempo considerato.

Un esercizio che può garantire un minimo di comparabilità tra paesi consiste nell’applicare il paniere minimo di un paese a tutti gli altri, corretto ovviamente per la parità di potere d’acquisto. Questo è stato fatto nel 2011 dalla Commissione Europea nel lavoro citato sopra, usando i dati Eu-Silc 2008. La figura 2 mostra chiaramente che applicando il MIS al nostro paese l’incidenza della povertà nel 2008 sarebbe stata del 40%, superando quella del Regno Unito di 14 punti percentuali e posizionando l’Italia al 13 posto dell’Ue28. Incidenze molto più basse ma un ordinamento tutto sommato simile si ottengono applicando il NIBUD Olandese.

Fig. 2 Tassi di povertà prodotti dall’applicazione del budget standard del Regno Unito e dei Paesi Bassi ai paesi Ue – Anno 2008 (valori percentuali)

Segre_Fig2

Fonte: European Commission, 2011, The Measurement of Extreme Poverty in Europe

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