Il tempo disuguale

Annalisa Cicerchia si occupa di uso del tempo commentando i dati appena diffusi dall’Istat sui tempi della vita quotidiana in Italia. Cicerchia sostiene che tali dati consentono una conoscenza più accurata della vita delle persone e illustrano le disuguaglianze che possono emergere nell’uso di una risorsa, il tempo, distribuita in modo perfettamente egualitario. In particolare Cicerchia si sofferma sul lavoro non retribuito, e sul suo presumibile valore economico, rispetto al quale ancora emergono rilevanti disuguaglianze di genere.

“Il tempo è un concetto complesso, che investe vari aspetti della vita delle persone. Da una parte se ne percepisce la scarsità: la velocità con cui la società, la tecnologia e il lavoro evolvono crea un continuo senso di affanno per gli individui, stretti tra i molteplici vincoli di una vita quotidiana sempre più densa di impegni. D’altra parte il tempo è anche tra tutte le risorse la più democratica: a differenza di altre, infatti, esso è ripartito equamente tra tutti, avendo ognuno di noi a disposizione le stesse 24 ore al giorno. (T.Cappadozzi, I tempi della vita quotidiana, Istat 2019)”.

I dati appena diffusi dall’Istat sui tempi della vita quotidiana in Italia consentono di osservare la vita delle persone sotto una luce nuova e di conoscerla in modo più accurato. In particolare, partendo dalle 24 ore disponibili ogni giorno a tutti, senza distinzione, l’indagine restituisce profili nuovi di diversità e disuguaglianza.

A partire dagli anni Settanta, si legge nel volume curato da Cappadozzi, la statistica ufficiale ha riconosciuto il valore delle informazioni sui tempi di vita delle persone per indagare aspetti diversi, rilevanti per la ricerca sociale, e come base informativa per la formulazione delle politiche pubbliche. E’ interessante notare che, nel nostro Paese, l’indagine “Uso del tempo” è regolata dalla legge n.53 dell’8 marzo 2000 sulla maternità, quindi è principalmente orientata a soddisfare l’esigenza di acquisire, con cadenza quinquennale, informazioni sulle differenze di genere nei tempi di vita. Ma le implicazioni di queste informazioni sono più vaste. Non a caso, la maggior parte degli studi orientati al superamento del Pil come unico indicatore di sviluppo e progresso riconoscono nei tempi di vita una delle dimensioni più importanti del benessere soggettivo.

Le principali aree nelle quali le indagini “Uso del tempo” rendono accessibili informazioni migliori o altrimenti non disponibili sono le tre seguenti: 1) il lavoro non retribuito e la valorizzazione della produzione familiare; 2) la parità di genere nei tempi di lavoro; 3) l’influenza dei tempi di vita sul benessere della popolazione.

Il lavoro, prima di tutto: l’analisi dell’Istat ricostruisce la dimensione economica del lavoro non retribuito e l’impatto che le diverse tipologie di lavoro hanno sui tempi di vita di uomini e donne.

In un giorno medio (calcolato su base annua come media dei giorni feriale, prefestivo e festivo) del 2014, i residenti in Italia di almeno 15 anni hanno dedicato 3 ore e 46 minuti al lavoro non retribuito, producendo servizi di cui beneficiano le famiglie: attività di cura della propria casa e delle persone che ci vivono, attività di volontariato organizzato, aiuti informali tra famiglie e spostamenti legati allo svolgimento di tali attività. L’entità dell’impegno varia in modo considerevole tra uomini e donne (2h16’ contro 5h09’).

Nel confronto europeo (che riguarda però la popolazione tra 20 e 74 anni), le donne italiane, insieme alle rumene, detengono il primato per tempo speso nel lavoro non retribuito (5h02’), mentre gli uomini italiani, insieme ai greci – gli unici a svolgere meno di due ore di lavoro non retribuito – sono il fanalino di coda. Ed il gap di genere resta enorme (3h08’).

In Italia, la maggior parte delle ore di lavoro non retribuito, si legge nel volume, è generata dal lavoro domestico (il 74,5 per cento, equivalente a 2h48’ al giorno) e il 10,8 per cento dal lavoro di cura di bambini e/o adulti conviventi. Una quota di tempo quasi equivalente è dedicata agli spostamenti compiuti per svolgere attività di lavoro non retribuito (9,6 per cento); il volontariato assorbe il restante 4,9 per cento.

Nel 2014, alle attività domestiche routinarie è stata dedicata in media al giorno 1h56’, che rappresenta ben il 51,3 per cento del complesso delle ore di lavoro non retribuito e il 69,0 per cento del lavoro domestico totale. Ancora una volta, l’indicatore segnala forti differenze di genere: le donne svolgono in misura maggiore attività ripetitive: 3h03’ (pari al 75,6 per cento del loro lavoro domestico), contro i 43’ degli uomini (che equivalgono al 48,3 per cento del tempo che dedicano ai lavori domestici). Dopo Romania (2h01’) e Serbia (2h00’), l’Italia è il terzo paese europeo per tempo dedicato al lavoro domestico routinario.

Una parte importante del lavoro non retribuito è rappresentata dal lavoro di cura rivolta ai bambini, agli anziani e ai disabili conviventi. Per la cura dei bambini, la distanza nel tempo dedicato da uomini e donne si è progressivamente ridotta, stabilizzandosi, rispettivamente, su 1h24’ e 2h01’.

Nel volume viene proposta anche una stima del valore del lavoro non retribuito in Italia. Nel 2014, l’input pro capite di lavoro non retribuito, confluito nella “produzione familiare”, è stato pari a 3h46’, sostanzialmente invariato rispetto al 2008. Nel complesso, si tratta di 71 miliardi e 364 milioni di ore di lavoro, che permettono di stimare pari a circa 557 miliardi di euro correnti (14,6 per cento in più rispetto al 2008) il valore annuale della produzione familiare.

Alle donne è riconducibile ben il 71 per cento della produzione familiare (circa 50,7 miliardi di ore) contro il 29,0 per cento degli uomini. Come sostiene Montella, una delle autrici del volume, per avere una prima percezione dell’importanza economica di questo dato si può prendere a riferimento l’ammontare complessivo delle ore di lavoro retribuito svolte in Italia nello stesso anno. Secondo le stime elaborate all’interno dei Conti economici nazionali, si tratta di 41 miliardi e 794 milioni di ore; pertanto le ore di lavoro non retribuito sarebbero pari a 1,7 volte quelle di lavoro retribuito.

I dati rivelano che sono soprattutto le persone anziane a contribuire alla produzione familiare: il 29,2 per cento della produzione familiare del 2014 è stata generata da persone di 65 anni e più, che rappresentano il 24,6 per cento della popolazione considerata.

Si può anche determinare il valore della produzione familiare come percentuale del Pil: sulla base delle ipotesi adottate, conformi alle raccomandazioni della Task Force Unece, nel 2014 in Italia il peso della produzione familiare risulterebbe pari al 34 per cento del Pil prodotto.

L’indagine consente anche di chiedersi quanto vale prendersi cura degli altri in un Paese come l’Italia, con un sistema di welfare in cui la cura dei soggetti più fragili (bambini, anziani, malati ed emarginati) è quasi completamente demandata a famiglie e volontari. Nel corso del 2014, le ore destinate dalle famiglie alla cura di bambini sarebbero state 5,7 miliardi (di cui il 70,8 per cento da parte delle donne), per un valore di 44,1 miliardi di euro. All’assistenza ad adulti e/o disabili conviventi risultano destinate 815 milioni di ore, con un valore stimato di 6,4 miliardi di euro. In questa tipologia di attività, le differenze di genere sono meno marcate; infatti gli uomini vi contribuiscono per il 42,6 per cento.

Infine, le ore erogate dal complesso dei volontari (organizzati e individuali) nel corso del 2014 sono stimate pari a 1 miliardo e 579 milioni, equivalenti a 12,3 miliardi di euro; di queste, il 53,0 per cento è prestato nell’ambito del volontariato organizzato (837 milioni di ore), e il restante 47 per cento in reti informali di aiuto diverse dalla rete familiare (743 milioni di ore). Considerando anche le ore di aiuto informale destinate ai familiari non conviventi (1 miliardo e 947 milioni di ore), si raggiungono i 3,5 miliardi di ore. In sintesi, osserva Montella, nel corso del 2014 famiglie e volontari hanno destinato quasi 10 miliardi di ore alla cura dei soggetti più fragili, e per il 64,4 per cento si tratta di tempo delle donne, che continuano a essere un vero e proprio pilastro per il welfare familistico italiano, a discapito di una loro maggiore partecipazione al mercato del lavoro retribuito.

Ma c’è di più: a partire dai dati sull’uso del tempo, il volume dell’Istat, che merita di essere letto nella sua interezza, esamina aspetti profondi e spesso trascurati del benessere, a cominciare dalla conciliazione tra i tempi di vita e la loro sovrapposizione, e propone una lettura inedita del tempo libero e della socialità. E’ auspicabile che da questa analisi si possano desumere ulteriori, significativi indicatori del benessere soggettivo, come ad esempio quelli riguardanti il tempo dedicato al sonno, agli spostamenti e alle attività sedentarie.

Una considerazione conclusiva. La dimensione della disuguaglianza alla quale il volume fa riferimento in modo quasi esclusivo è quella di genere. Vi è qualche accenno anche a altre dimensioni (età, reddito, professione, territorio) che, in futuro meriterebbero di essere utilmente approfondite, anche in rapporto alla disponibilità di servizi pubblici e alla loro qualità.

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