Il telelavoro per le donne ai tempi del Covid: più flessibilità o più equilibrismo?*

Sara Flisi, Silvia Granato e Giulia Santangelo riflettono sulla condizione delle donne durante la pandemia, partendo dai risultati, relativi alla sfera lavorativa e familiare, che emergono da alcuni studi recenti sulla diffusione del telelavoro e da indagini condotte in alcuni paesi europei. Le autrici sottolineano, in particolare, la possibilità che il telelavoro abbia effetti positivi sull’equità di genere favorendo una diversa allocazione delle attività all’interno della coppia.

“Shecession”: come tutti i fenomeni di larga scala, questa pandemia ha portato con sé diversi neologismi e “shecession” è stato coniato fin da subito da C. Nicole Mason, presidentessa e amministratrice delegata dell’Institute for Women’s Policy Research, per sottolineare “il volto femminile” della recessione attuale, in contrasto alla “man recession” del 2008.

I tratti femminili di questa recessione riguardano la sfera economica e quella familiare. Dal punto di vista sanitario è ormai noto che a livello mondiale il contagio colpisce in ugual misura uomini e donne, con un tasso di mortalità più alto per gli uomini. Ma per ciò che riguarda lavoro ed esigenze di conciliazione vita-lavoro, le conseguenze di questa pandemia risultano particolarmente sfavorevoli per le donne, come illustrato sul Menabò da Romano  e Maglia.

Mentre la “mancession” del 2008 aveva colpito in modo prevalente settori tipicamente a prevalenza maschile, come le costruzioni e il manifatturiero, le misure di contenimento e distanziamento messe in atto all’inizio di questa pandemia hanno chiaramente danneggiato attività basate su libertà di movimento e interazione fisica con i clienti, come viaggi aerei, turismo, attività di vendita al dettaglio, servizi di alloggio e ristorazione. Secondo le stime dell’OCSE, questi sono settori ad alta intensità femminile, con percentuali di lavoratrici che vanno dal 47% per i viaggi aerei, al 62%, per la vendita al dettaglio.

Ma oltre che dalla storica segregazione di genere di tipo settoriale e occupazionale, le disparità di genere legate alla crisi corrente rischiano di essere esacerbate da un altro aspetto cruciale di questa pandemia, quale la chiusura di scuole e strutture per l’infanzia. Quest’ultima ha infatti comportato un aumento improvviso delle responsabilità genitoriali per l’assistenza all’infanzia, con un conseguente shock nell’allocazione del tempo tra lavoro familiare e retribuito.

Pertanto, per analizzare in maniera esauriente la condizione delle donne e le loro esigenze di conciliazione vita-lavoro durante la pandemia, occorre guardare quanto queste ultime siano state interessate dalle nuove modalità di organizzazione del lavoro, come il telelavoro.

Il telelavoro, diffusosi massicciamente a causa della pandemia, che sia agile o addirittura smart, è diventato una delle principali modalità di lavoro in Europa. Sebbene si sia parlato molto spesso di smart-working, la modalità di lavoro a cui si è prevalentemente fatto ricorso in questo periodo è quella del telelavoro. Lo smart-working si caratterizza infatti per l’assenza di vincoli orari o spaziali, e un’organizzazione per fasi, cicli e obiettivi, in cui il lavoratore si trova inserito in una dimensione di tempo e spazio nuova e flessibile. Il telelavoro (o lavoro da remoto), d’altro canto, viene definito semplicemente come una prestazione lavorativa fuori dal contesto aziendale, dove la concezione logistica risulta quindi preponderante.

Come riportato da una recente indagine di Eurofound, circa metà dei dipendenti europei ha lavorato da casa almeno in parte durante la pandemia e oltre un terzo ha lavorato esclusivamente da casa. Di questi telelavoratori, il 46% non aveva mai lavorato da casa prima.

Uno studio della Commissione Europea e di Eurofound mostra che in Europa il ricorso al telelavoro è stato maggiore per le donne rispetto agli uomini (41% vs 37% ad Aprile 2020 e 50% vs 46% a Giugno/Luglio 2020, invece del 18% vs 21% nel periodo pre-pandemia), evidenza confermata anche per gli Stati Uniti sulla base di dati raccolti ad Aprile e Maggio.

Una potenziale spiegazione deriva dalla segregazione occupazionale di genere: le donne sono maggiormente rappresentate in lavori con caratteristiche che li rendono più adatti al telelavoro. Lo studio costruisce un indice di “teleworkability” sulla base dell’interazione sociale e fisica presente nelle descrizioni dei task nelle varie professioni. Ne emerge che gli uomini sono sovra-rappresentati in settori con un potenziale di telelavoro limitato, come l’agricoltura, l’estrazione mineraria, la manifattura, la fornitura di energia elettrica, gas e acqua, e l’edilizia. Anche in questi settori, la quota di occupazione femminile in professioni adatte al telelavoro tende ad essere più elevata. Ad esempio, nell’edilizia sono “teleworkable” il 69% dei posti di lavoro occupati da donne, e solo il 6% di quelli occupati dagli uomini; differenziali simili si osservano nella fornitura di energia elettrica, gas e acqua, nell’industria mineraria, nei trasporti e nel magazzinaggio. Per l’Italia, analisi simili sulla quota di occupazioni “teleworkable” sono state condotte da Cetrulo et al. (2020) ed illustrate sul Menabò.

Complessivamente, le donne mostrano il 50% in più di probabilità rispetto agli uomini di essere impiegate in occupazioni adatte al telelavoro (45% vs 30%). La natura d’ufficio, di segreteria o amministrazione dei lavori tipicamente svolti dalle donne, insieme ad una percentuale inferiore di compiti di movimentazione fisica, li rende infatti più adatti al lavoro da casa.

Il telelavoro è stato analizzato in letteratura sotto diversi aspetti.

Per ciò che riguarda le conseguenze sul reddito da lavoro, gli studi condotti nell’ultimo ventennio non delineano una visione univoca sui possibili effetti del telelavoro sul divario salariale di genere.

Ma i risultati potrebbero essere diversi per il ricorso forzato al telelavoro indotto dalla pandemia. Ad esempio, Bonacini et al. analizzano le conseguenze economiche per l’Italia di un possibile incremento permanente del telelavoro a seguito del lock-down. I loro risultati mostrano che l’incremento di reddito di lavoro indotto dal telelavoro favorirebbe soltanto gli uomini – in particolare i meno giovani con livelli di istruzione e di salario più alti – comportando un conseguente incremento del divario salariale di genere.

Le indagini condotte in alcuni paesi consentono di esplorare altri aspetti del telelavoro legati alle condizioni di lavoro e alle possibilità di conciliazione vita-lavoro. Per l’Europa, ad esempio, sia Baert et al. (2020) che Raisiene et al. (2020) mettono a fuoco le differenze di genere, mostrando un apprezzamento maggiore del telelavoro da parte delle donne. Per le lavoratici fiamminghe, infatti, il telelavoro sembra consentire un maggiore incremento delle prestazioni lavorative rispetto agli uomini, probabilmente per la possibilità di conciliare più facilmente le responsabilità lavorative e familiari nel periodo di chiusura di scuole e asili. D’altro canto, le lavoratrici lituane sembrano apprezzare lo stile di vita più sano associato al lavoro da casa, senza riscontrarne gli aspetti negativi lamentati dalla controparte maschile, relativi al conflitto di ruoli, ai cambiamenti nelle dinamiche del rapporto di lavoro, ai vincoli sulle opportunità di carriera, ed alle difficoltà di auto-organizzazione.

Ma l’aumento del telelavoro non è connesso soltanto ad aspetti positivi, come la maggiore flessibilità e il maggiore equilibrio tra lavoro e vita privata. Sebbene questi fossero gli aspetti emergenti nel periodo pre-pandemia, in un periodo di distacco sociale e di isolamento il telelavoro appare particolarmente gravoso per molte madri lavoratrici che devono destreggiarsi tra lavoro, scuola e assistenza, il tutto nella stessa “unità di spazio e tempo”.

Secondo l’indagine di Eurofound già menzionata, a Luglio di quest’anno molti lavoratori con figli piccoli hanno riportato grandi difficoltà nel trovare un equilibrio tra lavoro e responsabilità di cura. Tra chi ha figli sotto i 12 anni, i conflitti tra vita lavorativa e professionale preoccupano le donne più degli uomini. Ad esempio, quasi un terzo delle donne riscontra difficoltà a concentrarsi sul proprio lavoro, contro un decimo degli uomini. Sempre in questo gruppo, le responsabilità familiari impediscono più alle donne (26%) che agli uomini (7%) di dedicare tempo al lavoro. D’altra parte, il lavoro incide anche sulla vita familiare, impedendo di dedicare tempo alla famiglia, in misura leggermente maggiore per le donne (35%) che per gli uomini (32%).

Di fronte alla forte interferenza tra casa e lavoro indotta dal telelavoro, e ai conseguenti effetti negativi sul benessere e sui livelli di stress dei telelavoratori, molte famiglie stanno sperimentando nuove dinamiche nella gestione dell’equilibrio tra lavoro e vita privata. E diversi autori hanno identificato possibili ragioni di ottimismo nei cambiamenti che questa pandemia potrebbe indurre sulle norme sociali.

Come illustrato da Alon et al. (2020) e Blaskó et al. (2020), alcune famiglie potrebbero sperimentare una situazione temporanea con ruoli di genere invertiti, in cui gli uomini si ritrovano praticamente costretti a subentrare in gran parte delle mansioni domestiche e di custodia. Soprattutto nelle famiglie in cui la madre è occupata in settori essenziali (lavora, ad esempio, come medico, infermiera o commessa di generi alimentari) e il padre può invece lavorare da casa, gli uomini potrebbero diventare i fornitori principali di assistenza all’infanzia, rafforzando la loro esperienza e fiducia in queste mansioni. Sulla base di sondaggi in tempo reale condotti rispettivamente in Italia e nel Regno Unito, Del Boca et al. (2020) e Sevilla and Smith (2020), mostrano una maggiore condivisione nella attività di assistenza all’infanzia, anche se tale divisione dipende fortemente dagli assetti lavorativi di entrambi i genitori e dalla condizione occupazionale dei padri durante la pandemia.

Questa riallocazione delle attività domestica può indurre tensioni familiari (Biroli et al. 2020), ma anche accrescere il benessere emotivo dei bambini che trascorrono più tempo con i loro padri (Mangiavacchi et al. 2020). Meno incoraggianti sono i risultati mostrati da Hupkau and Petrongolo (2020) e Farré et al. (2020) secondo cui nel Regno Unito in media le donne si occupano della maggior parte delle ore di assistenza all’infanzia e in Spagna la pandemia sembra aver aumentato nel breve termine le disuguaglianze di genere nel lavoro non retribuito.

Se in futuro ci sarà o meno spazio per un’allocazione più equa delle attività all’interno della coppia, questo probabilmente dipenderà anche dalla composizione familiare e dal tipo di occupazione dei genitori. Con il fenomeno crescente dell’omogamia, sono sempre più frequenti le coppie in cui marito e moglie appartengono allo stesso ambito professionale, hanno lo stesso livello di istruzione e lavorano nello stesso settore. Questo potrebbe non lasciare molto spazio alla complementarietà dei genitori nello svolgimento delle attività domestiche e di cura dei bambini, limitando le possibilità di riallocazione e chiudendo la strada agli auspicati cambiamenti nei ruoli di genere.

Anche di fronte ad uno shock di così larga scala, che ha riguardato indistintamente tutte le famiglie, affinché questo cambiamento nelle divisione delle responsabilità genitoriali diventi permanente, è necessario che ci siano politiche atte a promuovere una distribuzione più equa delle attività domestiche e di assistenza all’infanzia.

Come sottolineato dall’ILO, l’effetto finale del telelavoro sull’equilibrio tra lavoro e vita privata sia delle donne che degli uomini dipende da molti fattori, tra cui il quadro giuridico e normativo, la cultura organizzativa, le politiche e le pratiche del datore di lavoro. Per sostenere le donne, i datori nelle valutazioni delle prestazioni non dovrebbero dare la priorità solo a chi è stato in grado di continuare a lavorare a pieno regime durante la pandemia, e non dovrebbero penalizzare chi non ha potuto farlo a causa di sfide personali, come ad esempio l’istruzione domiciliare dei propri figli durante la chiusura delle scuole.

Con misure a favore delle donne, che possano offrire sostegno alle telelavoratrici, come quelle sollecitate dalle Nazioni Unite, le donne potrebbero non dover affrontare scelte gravose per la loro carriera, quali ridurre il loro orario di lavoro o lasciarlo del tutto. In questo modo le donne, anche senza più la rigida ripartizione spazio-temporale vita-lavoro, potrebbero riuscire a tenere insieme il puzzle delle attività quotidiane, e a dedicarsi al proprio lavoro, senza dover tornare ad essere ancelle.

 

*Il punto di vista espresso dalle autrici autori in questo articolo è del tutto personale, e non coinvolge le istituzioni a cui sono attualmente affiliate.

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