Il punto sui professionisti: cosa è stato fatto, cosa c’è da fare

Andrea Dili, in occasione della discussione del disegno di legge sul lavoro autonomo alla Camera, analizza i provvedimenti che hanno interessato di recente le professioni nonché i bisogni e le opportunità di crescita della componente più eterogenea e dinamica del nostro mercato del lavoro. Dili osserva che gli interventi varati dal Governo Renzi si muovono su due livelli paralleli: strumenti per favorire la competitività e ampliamento delle tutele, e costituiscono un cambio di rotta rispetto al recente passato ma non ancora sufficiente per rendere l’Italia un Paese per professionisti.

Proprio in questi giorni la Commissione Lavoro della Camera dei Deputati si appresta ad approvare il disegno di legge sul lavoro autonomo, provvedimento che nelle intenzioni del Governo dovrebbe dare una prima risposta alle istanze di un mondo che troppo spesso è stato dimenticato dalla politica.

La prima difficoltà che si incontra ad analizzare le dinamiche del comparto professionale è definirne con precisione il perimetro: ai lettori più attenti, infatti, non sfuggirà che i dati forniti dai principali istituti di rilevazione statistica, puntualmente ripresi dai media, presentano un elevato tasso di disomogeneità. Tale incongruenza è dovuta essenzialmente a un equivoco lessicale: alcune rilevazioni, infatti, contemplano l’intero “popolo delle partite iva”, cui fanno riferimento anche le PMI, compresi gli artigiani e i commercianti, altre includono tutti gli iscritti agli ordini professionali indipendentemente dall’esercizio effettivo della professione, altre, infine, si focalizzano sul concetto fiscale di percezione di redditi da lavoro autonomo.

A mio avviso quest’ultimo costituisce il riferimento più valido per individuare il numero dei lavoratori autonomi italiani se per lavoro autonomo si intende l’esercizio di una professione o comunque lo svolgimento di una prestazione in cui la componente intellettuale è predominante – definizione peraltro essenzialmente coincidente con il campo di applicazione del sopra citato disegno di legge. Pertanto di seguito mi concentrerò sulla porzione dell’ampio universo del lavoro autonomo afferente al mondo delle professioni.

Tant’è che a fronte di oltre 8 milioni di partite iva presenti nel nostro Paese, di cui circa 6,2 milioni attive, i percettori di redditi di lavoro autonomo secondo gli ultimi dati disponibili presso il Dipartimento delle Finanze del MEF (dichiarazioni dei redditi 2015 relative all’anno d’imposta 2014) sono circa 1,4 milioni (includendo sia i percettori di redditi da lavoro autonomo sia i soggetti che usufruiscono del regime fiscale di vantaggio esercitando attività di natura professionale).

Tale dato peraltro è compatibile con le rilevazioni effettuate dall’INPS sulla gestione separata e dall’Adepp sulle casse autonome dei professionisti iscritti a ordini o collegi professionali, riferite entrambe all’anno 2015.

I professionisti iscritti alla gestione separata INPS, infatti, sono 313.592, di cui 229.836 esclusivi; mentre i professionisti iscritti alle casse professionali che fanno capo all’Adepp sono 1.250.147. In totale, quindi, si tratta di circa 1,6 milioni di lavoratori.

Tanto premesso è parimenti utile osservare come si tratta di un comparto molto frammentato: per modalità di esercizio della professione (ordinistica/associativa), per area professionale (sanitaria, tecnica, economico-sociale, giuridica, ecc.) e per disparità di reddito percepito dovuta all’età, al sesso e alla localizzazione territoriale.

Tuttavia negli ultimi anni questo universo così complesso ed eterogeneo ha iniziato a mostrarsi alla politica e al Paese – anche attraverso forme di “coalizione” inedite – con un proprio punto di vista unitario, di cui il D.L. sul lavoro autonomo appare uno dei primi effetti. Proviamo, quindi, a delinearne i punti maggiormente qualificanti attraverso una breve analisi critica che abbraccia un arco temporale che va dall’approvazione della legge di stabilità 2015, ai provvedimenti “correttivi” varati nel marzo 2015, fino alle più recenti disposizioni contenute nell’ultima legge di stabilità e, ovviamente, nel dl in oggetto.

In estrema sintesi dopo un esordio non particolarmente brillante culminato nella famosa frase di Matteo Renzi “sulle partite iva abbiamo fatto un autogol”, il complesso degli interventi successivamente ideati dal Governo sul lavoro autonomo ne hanno ribaltato visione e percezione politica.

Tale concezione è stata declinata rispetto a due figure distinte ma complementari:

  • professionista soggetto economico che investe e crea ricchezza, economica e culturale;
  • professionista lavoratore che, in quanto tale, necessita di diritti e tutele.

In altre parole si tratta di riconoscere che, se da un lato l’esercizio di una attività professionale richiede una organizzazione sempre più complessa e, quindi, l’utilizzo di strumenti tradizionalmente propri dell’impresa, dall’altro – anche in considerazione di fattori quali l’incremento della concorrenza, il calo dei redditi medi e la generale incertezza legata ai rapidi mutamenti del contesto economico-sociale – si rende sempre più impellente il ricorso a strumenti di protezione sociale analoghi a quelli tipici del lavoro dipendente.

Nei provvedimenti varati dal Governo negli ultimi due anni si trovano risposte a entrambe le esigenze. Allo stesso tempo, tuttavia, rimangono ancora aperte questioni di grande rilevanza.

Entrando nello specifico si osserva come l’obiettivo di favorire la crescita e la competitività del comparto professionale sia stato perseguito proprio attraverso l’attribuzione ai professionisti di alcuni strumenti tradizionalmente riservati alle imprese, essenzialmente attraverso il supporto agli investimenti in beni strumentali e professionalizzazione. In particolare:

  • la legge di stabilità 2016 ha finalmente garantito ai professionisti – in applicazione di un regolamento europeo fino ad allora ignorato dalle amministrazioni locali – l’accesso ai fondi strutturali europei FSE e FESR. Si tratta di un provvedimento epocale che per la programmazione 2014-2020 allinea l’Italia alle migliori esperienze europee. L’approvazione del D.L. lavoro autonomo estenderebbe tale opportunità anche alle risorse relative alle programmazioni successive;
  • lo stesso D.L. introduce per i professionisti la possibilità di accedere direttamente agli appalti della pubblica amministrazione;
  • le leggi di stabilità 2016 e 2017 ammettono i professionisti tra i soggetti beneficiari del cosiddetto super-ammortamento, che defiscalizza gli investimenti in beni materiali e software;
  • il D.L. lavoro autonomo, infine, prevede la deducibilità totale delle spese sostenute per la formazione professionale.

A ben vedere si tratta di misure molto rilevanti ma ancora non risolutive: se si vuole favorire la formazione di un tessuto professionale fortemente qualificato, integrato e competitivo occorre dotarsi di strumenti già utilizzati nelle più avanzate legislazioni europee e non. Posto che la dimensione media dello studio professionale italiano è in termini di addetti circa sette volte inferiore a quella di una analoga struttura francese e che specializzazione e interdisciplinarietà saranno le parole chiave del prossimo futuro, occorre introdurre nel nostro ordinamento giuridico forme di aggregazione professionale realmente efficaci, convenienti e competitive. In tal senso va superato l’attuale modello di società tra professionisti (STP), che si è rivelato fallimentare stante i vincoli di natura fiscale e previdenziale che ne rendono eccessivamente complessa l’adozione; analogamente va consentito a tutti i professionisti di partecipare alle cosiddette reti d’impresa.

Allo stesso tempo l’esigenza di garantire strumenti di protezione sociale anche ai professionisti ha dovuto faticosamente superare l’antica visione che riservava al solo lavoro subordinato le tradizionali tutele di natura assicurativa e assistenziale, la cui motivazione spesso è che “tanto il professionista può pensarci da solo”. Contestualmente, rispondendo a una richiesta che giungeva sia dai professionisti iscritti alla gestione separata INPS che dalla componente più giovane degli iscritti agli ordini professionali, si è perseguito l’obiettivo di sostenere i livelli reddituali della parte più debole del lavoro professionale attraverso l’abbattimento del cuneo fiscale e previdenziale. In particolare:

  • il D.L. lavoro autonomo garantisce l’accesso effettivo all’indennità di maternità per le iscritte alla gestione separata INPS attraverso l’eliminazione del vincolo dell’obbligatorietà dell’astensione dal lavoro. Allo stesso tempo viene ampliata la possibilità di usufruire dei congedi parentali;
  • lo stesso D.L. relativamente alla malattia grave dispone l’incremento della relativa indennità nonché la sospensione dei versamenti contributivi;
  • la legge di stabilità 2016, varando un logico e opportuno riordino dei regimi fiscali agevolati per attività “minime”, ha disciplinato il cosiddetto regime forfettario, che rende più conveniente, semplice ed esigibile il previgente regime dei minimi per i professionisti con compensi annuali fino a 30mila euro;
  • la legge di stabilità 2017, infine, ha definitivamente fissato al 25% l’aliquota contributiva previdenziale per i professionisti iscritti alla gestione separata INPS, altro provvedimento epocale dopo anni di incrementi culminati nella progressiva equiparazione all’aliquota prevista per i lavoratori dipendenti (33%). Di fatto viene abbattuto il cuneo fiscale e contributivo di 8 punti. Per i professionisti con redditi bassi tale misura – congiuntamente a quella indicata al punto precedente – comporta un significativo incremento dei redditi disponibili.

Anche in questo caso si tratta di misure di rilievo ma non ancora sufficienti a rispondere integralmente alle esigenze della parte più debole del mercato del lavoro. A mio avviso occorre agire ulteriormente sia sulla gestione separata, incrementandone le prestazioni di welfare, sia sulle casse autonome dei liberi professionisti, attraverso la destinazione delle maggiori risorse derivanti dal superamento del grottesco meccanismo della doppia tassazione dei rendimenti (cosiddetto sistema ETT, che prevede la tassazione dei rendimenti delle somme investite dagli enti di previdenza sia al momento in cui vengono realizzati sia al momento della loro erogazione in forma di pensione) all’offerta di nuovi e più efficaci strumenti di welfare. Non sfugge, inoltre, che deve essere avviato un serio e approfondito dibattito sulla questione dell’equo compenso, sulla certezza dei tempi di incasso e, infine, sulla possibilità di introdurre appositi ammortizzatori sociali.

Si può, quindi, ragionevolmente affermare che dopo decenni di oblio la questione delle professioni è finalmente entrata nell’agenda politica del nostro Paese: gli interventi ideati dal precedente Governo pongono le basi per l’effettivo miglioramento nei prossimi anni delle condizioni di lavoro di circa 1,6 milioni di professionisti italiani. A patto naturalmente che il D.L. sul lavoro autonomo venga approvato senza stravolgimenti.

Come già detto tutto ciò non è ancora sufficiente, ma rappresenta il primo passo per rendere anche l’Italia un Paese per professionisti.

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