Il mio Egeo e quello dei migranti

Massimiliano Tancioni non scrive di economia ma racconta i suoi incontri con i migranti siriani e afgani nelle isole dell’Egeo, in cui naviga durante le vacanze. Tancioni racconta, soprattutto, di come sia cambiato l’atteggiamento degli abitanti di quelle piccole isole negli ultimi due anni, di fronte all’intensificarsi dei flussi migratori e all’aggravarsi delle condizioni di vita dei greci. Il suo sguardo dall’interno è pieno di attenzione per dettagli e personaggi che rivelano aspetti inediti e spesso paradossali della tragica realtà a cui siamo di fronte.

Venti miglia separano Patmos da Agathonisi, rotta ENE. Siamo in Dodecaneso, dove il vento estivo dell’Egeo piega a NO e perde 1-2 Beaufort rispetto al regime cicladico. Rotta perfetta per godersi un bel traverso con un Meltemi teso e non aggressivo. Ma è così in teoria: il canale tra Ikaria e Samos, poco più a Nord, genera un forte effetto Venturi. Alla fine il traverso lo si fa per poco, si parte in bolina e si arriva al lasco, quasi sempre molto bagnati.

Andò cosi anche alla fine di agosto di due anni fa. Avevamo salutato Alessandro sulla banchina di Patmos, ferie finite, traghetto per il Pireo. Con me restarono, oltre a Emanuela, anche Matteo e Michela, alla ricerca di un’isola “autentica”. Pensai che Agathonisi, piccolo paradiso poco a sud di Pythagorio, Samos e non lontano dalla costa turca, avrebbe fatto al caso loro. Gli abitanti (un centinaio secondo le carte, molti di meno secondo loro), come in altre isole “minori” dell’Egeo, sono persone semplici e dignitose, che in estate “arrotondano” con il turismo. La ricettività non supera di molto i 50 posti letto. Due taverne e due bar, uno alla “stasi” del traghetto, l’altro alla radice del golfo, completano l’offerta turistica dell’isola.

La nave per Pythagorio e le altre isole del Dodecaneso settentrionale passa, in estate, quasi ogni giorno. Chi naviga da quelle parti impara presto a conoscerne orari e manovre, e attende che molli gli ormeggi per accostare in banchina.

Quella sera decidemmo di non stare all’ancora, il vento era forte e io volevo dormire profondo. Lo feci così bene che non mi accorsi che alle 4 di notte un mezzo della guardia costiera greca, chiedeva spazio per accostare in banchina. O meglio, me ne accorsi solo quando fui svegliato dalla manovra della barca più avanti, che lasciava l’ormeggio al pattugliatore.

Fu allora che vedemmo sbarcare, in un silenzio assoluto, un carico di migranti; ne contammo una quarantina. Mi stupì la tranquillità dell’equipaggio e dei naufraghi. Capii che erano naufraghi perché erano bagnati e molti indossavano camere d’aria come salvagente. Fu quello il mio primo incontro ravvicinato con un migrante. Ne fui molto colpito, e non riuscii più a dormire.

Provai vergogna pensando al drammatico contrasto tra i nostri modi di utilizzare il mare. Al termine dello sbarco parlai con il comandante del pattugliatore. Fui coinvolto dal suo entusiasmo; si diceva orgoglioso del suo equipaggio e di avere impedito che il mare ingoiasse, assieme al barcone in procinto di affondare, tante vite umane. Per lui esisteva solo la legge del mare, altro che Frontex!

Si lamentò della carenza di uomini e mezzi e disse che tra i danni dell’austerità andavano conteggiati non solo la disoccupazione di sua figlia e la riduzione del suo stipendio, ma anche i morti dell’Egeo. Si congedò dopo mezz’ora. Kalòtaxidi, captain, mi disse.

I migranti dopo poco furono portati via dal porto. C’è una piccola base militare su un’altura dell’isola, come in tutte quelle limitrofe alla Turchia. Maria, la proprietaria del bar della stasi, spiega che lì c’è un piccolo centro di accoglienza, per le urgenze. In genere i migranti restano ad Agathonisi solo il tempo necessario per organizzare una nave per Samos. Qui non c’è acqua né risorse alimentari, con l’eccezione delle 3000 capre di Georgios.

Gli abitanti dell’isola sembravano tranquilli; parlavano senza apprensione dello sbarco, forse il quinto dell’estate 2014. Dicevano di esserci abituati, i primi furono quelli di iracheni e afgani, dopo le campagne militari alleate in quelle aree. Erano pronti a fornire cibo e qualche vestito. Un migrante è un viaggiatore in difficoltà.

Anche i pochi turisti sembravano tranquilli, forse perché chi va in quei luoghi è in cerca di esperienze particolari e di un po’ di avventura. E poi uno sbarco di migranti è un buon argomento di conversazione con gli amici dell’aperitivo in città. Mi chiesi se quell’atteggiamento di abitanti e turisti, in perfetto stile egeo, sarebbe venuto meno di fronte a flussi più frequenti e intensi.

Abbozzai una prima risposta a questa domanda la scorsa estate, un anno dopo la mia prima esperienza con i migranti. Imbarcandomi a fine luglio per Leros, dove “la muflona” passa l’inverno alla faccia e a spese mie, nel porto di Kos notai un mezzo veloce della Guardia di Finanza italiana, testimonianza degli scambi di mezzi tra paesi, e alcune famiglie di migranti accampate lungo la banchina turistica del porto vecchio. Appresi che si trattava di siriani e afgani. Francesco, che mi accompagnava, rimase molto colpito. Quei bambini gli ricordavano i suoi figli.

A Leros ci imbattemmo in un bel numero di migranti. Riconoscerli fu facile: moltissimi vestivano marchi sportivi occidentali, a cui le donne aggiungevano un velo. Bevevano tanta Coca cola, fumavano Marlboro rosse e esibivano un telefonino. Ma c’era anche chi vestiva abiti più tradizionali, e non faceva sfoggio di gadget occidentali. Da Yannis, militare della marina greca in servizio a Leros, apprendemmo che questi ultimi erano afgani, gli altri, invece, siriani.

Con Yannis ci mettemmo in fila al giro-pita di Ag. Marina, aveva appena ordinato più di 100 kebab per servirli ai migranti una volta usciti, dopo l’identificazione, dal centro di polizia. Leros ha molte strutture, per lo più lascito del periodo italiano, ma a luglio non erano ancora attrezzate per i pasti. La soluzione era acquistare il cibo dagli esercizi locali. Questo, mi venne di riflettere, era lo strumento di policy a maggiore potenziale espansivo.

Sedersi a mangiare tra tanti migranti serviti a tavola da marinai e poliziotti greci ci fece molto effetto. Un paese messo in ginocchio da se stesso e dalle istituzioni europee, e che aveva appena riaperto le sue banche, serviva a tavola i migranti!

Provai a stabilire un contatto con un gruppo di giovani uomini e donne siriane, che mi avevano appena chiesto di accendere e mi guardavano incuriositi, forse perché mi confezionavo le sigarette col tabacco sfuso, un gesto che non si aspettavano da un presunto civilizzato occidentale. Non parlavano una parola di inglese. Capii solo che la loro meta era la Germania. Provammo con altri. Stessa difficoltà e stessa meta. Facemmo un pensiero: sarà una vendetta divina per come la Germania e la sua coalizione ha trattato la Grecia; e una constatazione: non hanno un’aria disperata. Ce ne stupimmo.

Dopo un giro alle Cicladi, alla fine di agosto tornai a Leros, dove sarei rimasto per un giorno, in attesa dell’arrivo di Manuela dall’Italia. La situazione appariva molto più complicata rispetto a un mese prima. Il numero di migranti sull’isola era molto aumentato: gli arrivi erano cresciuti e l’esodo turistico in uscita riduceva le capacità di deflusso, anche perché con il taglio delle sovvenzioni statali, i collegamenti settimanali con il Pireo erano ridotti a 3 o 4.

Rena, che da anni mi affitta il motorino con una flessibilità contrattuale da far impallidire il liberista più convinto, mi dice che la situazione sta diventando insostenibile. Sono troppi, accampati in ogni parte di Lakki (Portolago, per i nostalgici). I turisti se ne vanno, la stagione, iniziata male, rischia di finire peggio. Conosco Rena da tempo, è una donna socievole, di sinistra. Votava Pasok, ora Syriza, il marito KKE. A luglio diceva che questa gente va aiutata, ora dice che è troppo. Si chiede se sia giusto che un paese nelle condizioni della Grecia debba sopportare anche questo. Ce l’ha con chi fomenta la guerra in Siria, con l’Isis, ma anche con i droni e con i ribelli foraggiati dagli americani. Non nasconde la sua disperazione e si augura che vadano tutti in Germania.

Imbarcai Manuela e ci dirigemmo a Patmos, dove reimbarcammo Michela e Matteo.. Recuperammo anche Sara a Lipsi, e dopo un breve bagno facemmo rotta su Agathonisi. Arrivammo verso le 7 di sera e notammo un grande assembramento sulla banchina del porto. Era una lite tra migranti; il solo poliziotto dell’isola, assieme a due abitanti, cercava di sedare gli animi, con dei bastoni. L’aria era triste e pesante, ma decidemmo di restare. Il porto era vuoto, abbandonato da tutti i diportisti, tranne un tedesco, che mangiava cibo in scatola ben lontano dalla banchina. Ci salutò, e ci sentimmo riconosciuti come “europei”. Quando completammo l’ormeggio, la situazione sulla banchina sembrò normalizzata.

Scendemmo per l’ouzo (da copione) e per prenotare la cena da Georgios. Al bar alla radice del golfo c’era disordine e disperazione. La proprietaria, una donna gentile di età indefinibile, disse che non poteva servirci nulla. Se ne dispiacque, ma doveva prima ripulire la sporcizia lasciata da un gruppo di migranti che aveva preso possesso dei tavoli del bar, per bere Coca cola, fumare e ricaricare i telefonini. Era disperata, tutti i turisti avevano lasciato l’isola, la stagione era finita. La notte precedente erano sbarcati 800 migranti. E’ come se a Roma in una notte venissero paracadutate 30 milioni di persone.

Arrivò Dimitri, l’unico militare rimasto in servizio sull’isola dopo la crisi, anche lui con un’aria disperata. Non tornava a casa da oltre due mesi, dalla moglie e dal figlio appena nato. Non dormiva più di tre ore a notte. Ci spiegò che la rissa tra migranti era scoppiata perché i siriani avevano fatto incetta d’acqua nell’unico spaccio dell’isola. In effetti ce n’è un altro, ma non vende più ai migranti, per non lasciar privi gli abitanti. Per risolvere il problema fu organizzata una squadra di uomini dell’isola dai modi decisi, che sequestrò l’acqua per redistribuirla. Intanto, una barca a vela italiana aveva mollato per fare un carico di 700 litri in Turchia.

Una donna afgana incinta, che si accompagnava a un uomo molto premuroso, venne percossa dai siriani. Fu portata nel bar alla radice del golfo, dove la proprietaria le diede da bere, accarezzandola, mentre l’uomo ringraziava.

Nel frattempo arrivò un traghetto da Samos, organizzato dal sindaco per il trasporto dei migranti. Scoppiò una nuova rissa: il prezzo biglietto era più alto di quello standard. La compagnia invocò il fatto che per il viaggio di andata non aveva incassato nulla. Salirono solo i siriani, gli unici con qualche disponibilità economica.

Seguendo la tradizione e mettendo da parte la vergogna, andammo a cena da Georgios. Un commensale sulla sessantina ci informa che da giovane era molto bello e ottimo danzatore. E ha fatto la vita quando sull’isola c’erano gli hippy. Penso: gli hippy di Agathonisi dovevano essere davvero esclusivi, mica quelli di Ios, o i fichetti che da un pò popolano Anafi. Gli rimase nelle reti una donna tedesca, dalla quale ha avuto un figlio dalle fattezze decisamente barbare. La zuppa di pesce è davvero speciale. A fine cena Georgios usa sedersi con gli ospiti per bere uno tsipouro. Per lui il problema è Tsipras. Con Nea Dimokratia questi sbarchi non c’erano.

Finita la cena, ci spostammo di cento metri per bere qualcosa al bar alla radice del golfo, riassestato. Arriva Antonio, detto “console italiano di Agathonisi”. E’ un milanese, storico della resistenza. Da oltre 40 anni passa in Dodecaneso tre mesi di vacanze, di cui uno sull’isola. Parla greco, inglese e francese. Ci spiega la situazione e decidiamo di aspettare con lui le 3 di notte perché, a suo dire, a quell’ora i migranti sbarcati sulla costa est arrivano al porto, camminando sui sentieri delle alture. E’ proprio così. Ad un ritmo di dieci al minuto, in un’ora arrivano al porto altre centinaia di migranti. Hanno fame e sete.

In questi casi cerchi di salvarti la coscienza: vai in cambusa e dai loro tutto quello che hai, cioè meno dello 0,1% del valore del tuo viaggio. Pensai: sono forse meno ipocriti i “velisti” tedeschi, con barca tedesca, che si tengono lontani mangiando cibo in scatola di fabbricazione altrettanto tedesca, o gli inglesi che non ci sono più?

Il contatto con i migranti è sempre difficile. Nessuno di loro parlava inglese. L’unica cosa che siamo riusciti a capire è che sono siriani e che scappano dalla guerra. Lo ripetono come fosse una parola d’ordine.

Coloro che vogliono acquistare qualcosa al bar hanno il problema del cambio: i siriani hanno solo biglietti da 500 euro in un luogo dove non ci sono banche, appartenente ad un paese che per controllare la liquidità fa circolare solo biglietti da 20 euro. Pensai: ma non possono creare gruppi di acquisto? Domanda stupida. Questi sono compagni di viaggio per necessità, non per scelta. Ognuno ha i suoi biglietti da 500 euro, e non ha nessuna intenzione di fare credito agli altri.

La mattina seguente facemmo colazione dall’affittacamere dove hanno soggiornato, l’anno prima, Matteo e Michela. Anche lui è vuoto e disperato. Ha una figlia che studia biologia in Germania e teme di non poterla più sostenere. Con noi si siede “il console”.

Notammo che la spiaggetta del golfo era popolata di migranti. Il mare è ormai fonte, la spiaggia cesso. Non c’è altro modo per ripristinare un abbozzo di dignità umana.

Salendo dalla spiaggia-dimora, conoscemmo Amir, un giovane ingegnere di Damasco, che parla inglese. Il suo problema immediato è ricaricare il telefonino. In barca ho un inverter, glielo propongo. Lui ringrazia e dice di aspettare. Sull’isola i pochi esercizi hanno messo delle ciabatte elettriche per la ricarica dei telefonini, h24.

Amir ha voglia di parlare. E’ arrivato ad Istanbul da Damasco su un aereo di linea, pagato dai genitori. Da li si sposterà autonomamente, o attraverso organizzazioni, verso la costa turca dell’Egeo. Dice che molti fanno come lui. Non ci sono più trafficanti che si espongono nella navigazione. Le organizzazioni costruiscono gommoni da venti persone in una notte, con un motore marino da pochi cavalli, nuovo. Il costo per la tratta è di circa 4000 dollari a persona. Leggiamo sul giornale online che una di queste organizzazioni era alle dipendenze del console francese a Bodrum, in tal caso un console vero. Un basista, che secondo Antonio è dell’isola, accende un fuoco. I migranti così non hanno bisogno di comandanti. Si segue il fuoco. Si tratta di poco più di dieci miglia, due ore di traversata, se non entra Meltemi. Se entra speri nei pattugliatori della marina, o muori.

Quando sbarcano devono distruggere i gommoni, in modo che se ne costruiscano altri. I pescatori delle isole, che recuperano i motori marini, hanno messo su un business, proponendo Tohatsu e Yamaha a 50 euro.

Anche Amir vuole andare in Germania. La rotta, che ci mostra nel dettaglio sul telefonino di ultima generazione è la solita: isola greca dell’Egeo, Pireo, FYROM, Serbia, Ungheria, quindi l’area del marco. Mi torna in mente la vendetta divina.

Due giorni in quell’ambiente sono troppi anche per gente come noi, in fondo satura di vacanze. Decidemmo di accompagnare Matteo e Michela a Samos, dove prenderanno un lowcost per Roma. Volevamo evitare loro lo strazio dell’assalto al traghetto per Pythagorio, ma ci attende un altro strazio: navigare in un mare punteggiato di salvagente alla deriva. Anche per un diportista vale la legge del mare, quindi li controlli uno ad uno, pregando ogni volta che non ci sia un corpo attaccato.

La sera, a cena, conoscemmo Vassilis. E’ un uomo giovane e molto affascinante, al punto che riesce a spuntare il numero di telefono di Sara. La notte gestisce un negozio di anticaglie a Manolates, sui monti, di giorno fa il volontario in un centro di accoglienza. Tutto, qui in Egeo, gira intorno a questa situazione.

Ottobre. In Egeo con Maurizio ed Emanuele per un ultimo bagno e il wintering della muflona. Alla fine della nostra sortita Lele, che l’indomani ha un appuntamento di lavoro importante, deve prendere la nave per il Pireo della domenica notte. Non c’è posto, il successivo è mercoledì. In fila alla biglietteria centinaia di migranti, molto profumati, ognuno con centinaia di euro in mano. Forse in quella fila c’è anche Foued, uno dei terroristi del Bataclan, identificato proprio a Portolago, Leros.

La Grecia, meglio: l’Egeo, è ancora Europa.

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