Il Mezzogiorno tra turismo e manifatturiero. Il caso della Puglia

Luigi Scorca e Massimo Armenise, partendo dall’assunto che il Covid-19 avrà anche sulle economie delle regioni meridionali un impatto di non breve periodo, esaminano il caso della Puglia, la regione più dinamica del Mezzogiorno. La tesi sostenuta dagli autori è che questa crisi dovrebbe rappresentare un’occasione per pensare ad una nuova politica per lo sviluppo che eviti quello che considerano un errore commesso nel passato, e cioè puntare sullo sviluppo del settore turistico a scapito di quello manifatturiero.

Una delle conseguenze dell’emergenza causata dal Covid-19 sarà una grave crisi dell’economia mondiale, che a sua volta determinerà un ampliamento del differenziale di crescita tra i territori più avanzati e quelli economicamente più deboli. In un contesto nazionale caratterizzato, già di per sé, da una scarsa crescita del PIL, diviene ancor più determinante ripensare all’economia del Mezzogiorno, immaginando una nuova politica per lo sviluppo.

Questo articolo intende focalizzarsi sull’economia della Puglia, che pur risultando più dinamica rispetto alla media delle regioni meridionali, fornisce per molti versi un esempio paradigmatico degli squilibri attuali del modello di crescita del Mezzogiorno e, in parte, del Paese. Nell’ultimo ventennio, infatti, la Puglia ha puntato fortemente sullo sviluppo del settore turistico, più del resto del Paese: i dati del valore aggiunto a prezzi correnti per branca di attività mostrano che il peso del turismo in Puglia, nel periodo che va dal 1995 al 2017, è raddoppiato fino a raggiungere il 4,2%; nel resto del Paese, invece, la crescita di questo settore è stata di due terzi più bassa. Nel periodo osservato, in Puglia la quota di valore aggiunto dell’industria manifatturiera, seguendo una tendenza nazionale, è scesa di due punti percentuali fino a raggiungere il 10,2%: dal 2008 in poi, il valore aggiunto è diminuito, tra i settori manifatturieri, nel tessile, nell’abbigliamento, nella metallurgia (con la crisi dell’ILVA), nella fabbricazione delle materie plastiche e dei mobili, mentre ha retto nel settore alimentare ed è cresciuto nella fabbricazione di mezzi di trasporto.

La Puglia ha dunque aumentato la propria specializzazione produttiva nel turismo, mentre il manifatturiero nel tempo ha perso forza. La pandemia ha però un inevitabile impatto sul settore del turismo: questa crisi è dunque una opportunità per chiedersi se, una regione come la Puglia, non avrebbe prospettive di sviluppo migliori ri-orientando risorse pubbliche dal turismo ad altri settori produttivi come l’industria manifatturiera (di per sé un insieme variegato di sotto-settori, che include sia il made in Italy tradizionale che quello tecnologicamente avanzato). La mancanza di una politica mirata allo sviluppo industriale del Mezzogiorno ha radici lontane: se è vero che la crisi della manifattura nelle regioni del Meridione d’Italia è dovuta anche alle specializzazioni produttive presenti sul territorio nonché alla concorrenza dei paesi asiatici, è necessario discutere di politiche che aiutino il tessuto produttivo, attraverso investimenti in ricerca ed innovazione, ad evolvere verso settori con un maggiore contenuto tecnologico e caratterizzati da una produttività del lavoro elevata e dall’impiego di lavoro qualificato.

L’andamento del PIL misurato dall’Istat evidenzia come, negli ultimi anni, la crescita economica della Puglia sia stata superiore rispetto a quella delle altre regioni meridionali, ma comunque peggiore rispetto al dato italiano: come mostra la Figura 1, a partire dal 2006, il differenziale tra il PIL pugliese e quello italiano (ponendo il rispettivo livello del PIL pari a 100 nell’anno 2005) è andato allargandosi, fino a superare i 3 punti percentuali nel 2018 (ultimo dato disponibile). Preoccupante, anche alla luce della nuova profonda fase recessiva, è il fatto che la Puglia, pur avendo subito le due precedenti crisi economiche esattamente come il resto d’Italia, non abbia mai mostrato una comparabile capacità reattiva post crisi.

La dinamica della crescita è pertanto migliorabile, e può essere d’ausilio avviare una riflessione sulla necessità di sviluppare una politica pubblica che vada oltre la promozione dell’industria turistica. Da un confronto della produttività tra settori economici (Figura 2), espressa come valore aggiunto per unità di lavoro, emerge che in Puglia mentre la produttività della manifattura cresce nel tempo, quella del settore turistico è pressoché stagnante.

Questa dinamica si riflette anche sul salario medio per dipendente nei settori turismo e manifatturiero (Figura 3): come nel resto del Paese, anche in Puglia i dipendenti del settore turismo guadagnano mediamente meno rispetto ad un dipendente dell’industria manifatturiera; con ciò, il divario tra i due valori aumenta nel corso degli anni. Inoltre, è necessario considerare che, per quanto riguarda il turismo, parte del valore è drenato dall’intermediazione di piattaforme di diritto estero (vedi Booking, Airbnb, etc.), le quali offrono un servizio di prenotazioni senza che il territorio regionale se ne giovi direttamente sotto il profilo fiscale ed occupazionale.

Il raffronto tra i due settori mostra infine che, anche per quanto riguarda la quantità di forza lavoro impiegata, il settore manifatturiero tra i due è quello più importante. Secondo un report commissionato dall’Agenzia regionale Puglia Promozione all’Università Ca’ Foscari, in Puglia “Tre numeri riassumono l’entità del settore (del turismo, ndr): 6.479 miliardi sui consumi finali (12,3% sui consumi finali delle famiglie, residenti e non, totali del 2017), 8.915 miliardi in termini di valore aggiunto (13,6% del totale valore aggiunto); l’indotto occupazionale coinvolge circa 135.000 addetti (15,4% del totale regionale)”. I dati ISTAT, relativi all’anno 2017, mostrano come gli addetti del settore turismo sono poco meno del 10% della forza lavoro pugliese, mentre quelli del settore manifatturiero sono una quota ben più importante, pari al 17,6% del totale.

In definitiva, puntare sullo sviluppo del settore turistico mentre l’industria manifatturiera è in affanno non sembra sia stato un buon affare. La definizione di una politica regionale per la crescita dovrebbe considerare altri fattori ambientali, oltre alla presenza di risorse naturali o paesaggistiche: la Puglia, per esempio, possiede non soltanto Università e centri di ricerca ma anche, e soprattutto, un tessuto produttivo di PMI del settore manifatturiero relativamente sviluppato che andrebbe fortemente sostenuto. Data la cronica mancanza di grandi imprese, sarebbe utile implementare strumenti pubblici che creino e trasferiscano tecnologia alle filiere produttive già presenti sul territorio. La limitata capacità del turismo di generare innovazione e di far crescere la produttività ha ricadute in termini di reddito sulla popolazione, come dimostra la crescita più sostenuta in Puglia rispetto alla media europea di lavori poco qualificati e pagati meno (vedi Gallo et al., pag. 327).

Una nuova sensibilità verso l’industria manifatturiera sembra emergere anche nel resto d’Europa, ad esempio in Francia. Strumenti come il recente piano “Next Generation EU”, con circa 70 miliardi di euro di fondi europei destinati al Mezzogiorno d’Italia (da sommarsi ai Fondi strutturali del bilancio della UE), sono una opportunità unica per innovare e rendere sostenibile, anche dal punto di vista ambientale, l’economia e l’industria. Da sole queste risorse però non bastano: è necessario avviare una discussione per definire una nuova politica pubblica per lo sviluppo del Mezzogiorno, che individui le priorità, i settori strategici su cui investire e gli strumenti da utilizzare. La crisi economica derivante dalla pandemia di Covid-19 è dunque un’ottima occasione per capire che, forse, la Puglia ed il Mezzogiorno d’Italia possono ambire ad essere più che una meta turistica: alla politica il compito di analizzare e decidere nuovi percorsi per uno sviluppo migliore e sostenibile.

 

*Le idee e le opinioni espresse in questo articolo sono esclusivamente degli autori e non sono attribuibili alle istituzioni di appartenenza.

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