Il Metodo Luciano Barca

Nella seconda metà degli anni ’90, l’Associazione Etica e Economia, costituita da Luciano Barca nel 1990, aveva sede a Campo de’ fiori e presero a frequentarla alcuni giovani tra i quali Giuliano Garavini e Michele Ruta. In un dialogo virtuale tra loro, Garavini e Ruta interrogano i loro ricordi e esprimono le loro valutazioni su tre questioni relative a quella esperienza: il metodo di Etica ed Economia, il rapporto di Luciano con i giovani e, infine, la sua visione dell’Europa. Ne scaturisce un ritratto che mette in luce la capacità di Luciano di intuire le questioni irrisolte del processo di integrazione europea, la sua generosità intellettuale e il suo ruolo di "maestro".

Volevamo bene a Luciano e i cento anni dalla sua nascita sono un’occasione per rivivere ricordi e insegnamenti che ci ha impartito. Piuttosto che scrivere un articolo a quattro mani, abbiamo pensato di porci delle domande in una conversazione virtuale su Luciano, rispondendo in maniera autonoma e senza consultarci. Mentre i ricordi e le lezioni che abbiamo tratto sono ovviamente personali, il ritratto di Luciano e del suo metodo che ne viene fuori ha molti elementi comuni.

  1. Il metodo di Etica ed Economia

Giuliano: L’associazione Etica ed Economia aveva inizialmente sede nei pressi di Campo de’ Fiori. Ho cominciato a frequentarla dopo aver conosciuto Luciano che avevo intervistato per la mia tesi di laurea. Il locale, piuttosto buio, come molti altri nel centro di Roma, disponeva di una piccola sala riunioni dove Luciano organizzava incontri su vari temi. Mi incuriosiva la libertà intellettuale, nonché l’assoluta mancanza di gerarchie e formalismi, che caratterizzava gli quegli eventi. Quel che invece mi respingeva un poco era proprio il nome dell’associazione: “Etica ed Economia”. Il nome traeva spunto dal libro dell’allora celebre (nel 1998 avrebbe ricevuto il premio Nobel per l’Economia) filosofo ed economista Amartya Sen, critico dell’allora imperante neoliberismo delle “scelte razionali”. Sen metteva in luce la complessità delle scelte individuali, guidate non solo dal criterio dell’utilità ma anche da “preferenze sociali” legate a differenti profili identitari e culturali. A me sembravano allora, e continuano a sembrare oggi, più importanti questioni strutturali come gli assetti di potere nei luoghi di lavoro, la proprietà pubblica o privata di imprese e servizi, gli squilibri tra le potenze mondiali. Eppure il nome “Etica ed Economia”, riconosco oggi, era coraggioso perché, in un periodo di esaltazione acritica delle virtù del mercato come allocatore perfetto delle risorse, lo stesso riferimento al legame tra economia e il terreno della moralità e della religione, oggi incarnato da Papa Francesco, costituiva una critica di fondo alla logica di mercato, nonché alle tendenze livellatrici della globalizzazione.

Michele: Il metodo era l’inclusione e l’ascolto. Era ovvio fin dal nome che l’associazione che Luciano aveva fondato negli anni 90 avesse nel legame tra l’economia e l’etica –cioè tra mercato e diritti– i valori di riferimento. Ma il tentativo non era (o non era solo) quello di ribadire questi valori in una fase storica in cui l’economia appariva come l’elemento forte del binomio, ma di tenerli vivi coinvolgendo persone diverse con il loro bagaglio di esperienze ed idee che potessero contribuire a pensare percorsi nuovi. Il metodo era l’inclusione.

Nella mia pagina web ho tenuto i miei contributi al Menabò –la rivista dell’associazione– a partire dal 2001. Scorrendo i titoli ed andando un po’ indietro con la memoria mi ritorna in mente come le scelte dei temi da trattare venivano fuori. Ogni tanto Luciano mi regalava un libro con la richiesta di pensarci su e scrivere un commento. Altre volte l’idea per un articolo nasceva da una chiacchierata in una delle mie frequenti visite nella casa di via Lariana o al ristorante vicino alla sede di Etica ed Economia di Campo dei Fiori. In ogni occasione, Luciano era interessato ad ascoltare il mio punto di vista almeno quanto volesse trasmettermi il suo. Il metodo era l’ascolto.

  1. Il rapporto di Luciano con i giovani

Giuliano: Attorno a Luciano ho conosciuto prevalentemente persone provenienti dal mondo accademico, dato che forse rifletteva un certo isolamento rispetto alla politica degli anni ’90. Ho subito percepito una gran curiosità per i giovani.

La prima caratteristica di questo rapporto con le generazioni più giovani consisteva nel porsi su un piano di assoluta parità: non impartire lezioni, non voler incasellare il pensiero altrui, offrirsi senza noia alle domande insistenti sulla sua esperienza di vita (spesso e volentieri sull’esperienza come ufficiale in un sottomarino). Il tempo è una risorsa preziosa che Luciano dispensava con liberalità, a pranzo alla Pollarola nei pressi di Campo de’ Fiori, oppure sul divano di casa sua. Non ho mai visto Luciano annoiato e mai mi sono annoiato, anche perché il luccichio nei suoi occhi testimoniava costante vivacità e attenzione.

Due insegnamenti mi sono stati impartiti. Il primo derivava dall’approccio di Luciano al passato. Era ordinato e attribuiva la giusta importanza e formalità alle cose che faceva. Disponeva di un archivio personale, nel tempo consultato da varie generazioni di studiosi, e aveva una concezione ironica ma lucida dell’evoluzione della sua vita, che sapeva raccontare ed aveva anche fotografato in diversi libri. Io avevo sempre considerato, forse influenzato da mio padre, il mio passato sostanzialmente insignificante rispetto al futuro. Strano, per uno che avrebbe scelto di fare lo storico di professione.

La seconda lezione, la più importante, è stata il suo monito, non ricordo se riferito a critiche che erano state formulate ad un mio articolo per Etica ed Economia: “tu non devi moderare le tue idee, devi affinarle”. Nessuno me lo aveva detto in modo così lucido. La sfida di chi vuole impegnarsi in un percorso intellettuale o politico non è tanto la moderazione, o il compromesso, quanto quella di essere permeabili e curiosi, per poi distillare il proprio pensiero nel modo più accessibile a tutti. Almeno io ho interpretato così una lezione che mi accompagna fino ad oggi.

Michele: Ho conosciuto Luciano nella seconda metà degli anni 90 quando io avevo 20 anni e lui 75. Nonostante la differenza d’età, ho sempre pensato a Luciano come ad un amico. La sostanza del suo rapporto con i giovani stava probabilmente lì, nella ricerca dell’amicizia. Luciano sceglieva di mettersi sullo stesso piano, senza far pesare le ovvie differenze tra chi ha fatto molto e chi ancora niente. Perché ciò che gli interessava era il dialogo. Sembra una cosa facile e non lo è per niente: lo può fare con naturalezza solo chi sta “bien dans sa peau”.

Quel dialogo Luciano ed io l’abbiamo mantenuto per tutti gli anni della mia collaborazione con Etica ed Economia. L’unica eccezione è stata nel 1999. Ero partito per un dottorato in America e Luciano nel salutarmi mi aveva dato l’indirizzo di posta elettronica che si era appena creato. Non gli scrissi perché  in fondo non pensavo che alla sua età  cominciasse davvero a usare l’email. Sbagliavo! Quando ci rivedemmo, me lo fece notare con franchezza e da allora abbiamo continuato la nostra corrispondenza nonostante i miei frequenti spostamenti. Il dialogo e l’amicizia erano l’essenza del rapporto di Luciano con i giovani.

Per me, quell’amicizia e quel dialogo sono stati importanti. Mentre mi sono spostato presto su temi di ricerca e lavoro diversi dal “core business” di Etica ed Economia, la visione dell’economia di Luciano –un misto di approccio interdisciplinare, pragmatico, e rigoroso—mi ha continuato ad influenzare. Ma al di là dei temi, delle idee o dei metodi, è stata l’amicizia in sé  ad avermi arricchito. L’attenzione e la pazienza nell’ascoltarmi e soprattutto la fiducia che Luciano mi ha trasmesso nel periodo universitario e nel principio del mio percorso professionale sono stati un elemento di forza e di sicurezza indispensabili.

  1. La questione europea

Giuliano: Quando ho conosciuto Luciano ero reduce da un Erasmus a Maastricht; stavo scrivendo una tesi di laurea sull’adesione dell’Italia al Sistema monetario europeo; avrei fatto un Master al Collegio d’Europa di Bruges e presto avrei cominciato a lavorare su una tesi di dottorato in storia sul rapporto tra la creazione della Comunità europea e la fine degli imperi coloniali. Il mio incontro con Luciano è dunque avvenuto nel segno dell’integrazione europea.

Non credo di esagerare nel descrivere Luciano come un fervente europeista, con simpatie non nascoste per i federalisti europei. L’ingresso di Altiero Spinelli nel gruppo comunista da “indipendente” nel 1976 coincise con un momento nel quale Luciano ricopriva ruoli apicali nella formulazione della politica economica del Pci. Anche se il Pci si era espresso contro l’adesione dell’Italia al Sistema monetario europeo, Luciano era legato ad una serie di figure, da Spaventa fin forse ad Andreatta, che avrebbero sostenuto con entusiasmo la partecipazione italiana alla moneta unica. Il problema dell’Unione europea secondo Luciano non derivava tanto dal suo profilo istituzionale, quanto dall’assenza di legittimazione dal basso. Nel commentare il mio libro Luciano scriveva sconfortato nel 2009:

“Il richiamo ufficiale all’Europa […]non è mai legato alla conquista di un orizzonte più ampio e certo nel quale affermare i nostri diritti e ricercare in sintonia con milioni e milioni di altri europei nuovi spazi per la nostra cultura, il nostro lavoro, le nostre intraprese e la nostra felicità. Persino il digitale terrestre, nel campo delle trasmissioni televisive, è stato organizzato in modo da darci come unico orizzonte Arcore allontanandoci da Parigi, Londra o Berlino.”

Paradossalmente, pur essendo in qualche modo un prodotto della “generazione Erasmus”, io avevo invece maturato opinioni molto critiche sull’Unione europea, tanto che la tesi di fondo del mio articolo sul volume edito da Luciano e Maurizio Franzini “Legittimare l’Europa” (2006), era che la nascita dell’Unione europea ha coinciso con un peggioramento nelle condizioni di vita di molti dei cittadini europei, al contrario di quanto era avvenuto nella sua precedente incarnazione che portava il nome di Comunità europea. Luciano non hai mai cercato di convincermi delle sue tesi più federaliste (“devi affinare le tue idee, non moderarle”). In questo senso Luciano era, dal mio punto di vista, molto più moderno della più giovane generazione della sinistra italiana, quella che “ha portato l’Italia in Europa”. Mentre per loro l’europeismo escludeva qualsiasi critica radicale, per Luciano la famiglia dell’europeismo era molto più larga. Gli avessero dato ascolto, forse l’Italia avrebbe potuto giocare un ruolo differente nella creazione della moneta unica. Forse la sinistra italiana non avrebbe lasciato praterie a M5S e alla destra populista nella critica a Bruxelles.

Michele: Con Luciano parlavo spesso di Europa e globalizzazione, che erano i temi che mi incuriosivano allora e che conitnuano ad essere i “miei” temi. La mia prospettiva era –ed in parte rimane anche oggi— che la priorità fosse di dover rafforzare le istituzioni sovranazionali seguendo il principio del federalismo europeo, e dell’articolo 11 della Costituzione, delle limitazioni di sovranità nazionale per il perseguimento del bene comune.

Luciano non dissentiva, ma riteneva indispensabile risolvere il problema della legittimità dell’Europa e della globalizzazione. Questo problema –lo sappiamo molto meglio ora, a due decenni di distanza— aveva due lati. Da una parte la predominanza dell’economia sull’etica ha fatto espandere il mercato talvolta a scapito dei diritti. Dall’altra la mancanza di forme associative sovranazionali in un contesto di trasferimento di potere al di fuori degli stati nazionali ha contribuito alla crisi dei partiti tradizionali e quindi della rappresentanza.

Il messaggio di Luciano era che come castori ci si dovesse impegnare a pensare e costruire ponti per riconnettere etica ed economia, partecipazione e sovranità condivisa. Non solo per questo, ripenso spesso a Luciano con molto affetto e ne sento la mancanza.

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