Il mercato del lavoro in Italia: un bilancio dell’ultimo decennio

Federica Pintaldi e Fabio Rapiti presentano i principali temi trattati nel Rapporto sul mercato del lavoro 2018 diffuso da Istat, Mlps, Inps, Inail e Anpal. In particolare, analizzano i cambiamenti nell’ultimo decennio e il recente rallentamento congiunturale, sottolineano che il recupero dell’occupazione è frutto di una riallocazione della forza lavoro verso settori e professioni a basse qualifiche e retribuzioni e mostrano che inoccupazione e sottoccupazione restano fenomeni diffusi nonché intrecciati con i sempre più gravi squilibri territoriali.

A oltre dieci anni di distanza dall’inizio della crisi del 2008 nel nostro paese il recupero del livello di occupazione è frutto di una riallocazione della forza lavoro verso settori e professioni a bassa qualifica (e bassa retribuzione) che insieme a una riduzione delle ore lavorate spiega gran parte del mancato recupero del reddito pro capite (il Pil per abitante è ancora del 5,2% al di sotto del livello pre-crisi).

Questo è il quadro che emerge dal Rapporto annuale “Il mercato del lavoro 2018: verso una lettura integrata“, frutto della collaborazione sviluppata nell’ambito dell’Accordo quadro firmato a fine 2005 e prorogato di recente fino al 2021 tra Ministero del lavoro e delle politiche sociali, Istat, Inps, Inail e Anpal, finalizzato a produrre informazioni armonizzate, complementari e coerenti sulla struttura e sulla dinamica del mercato del lavoro in Italia. Il Rapporto fornisce una base empirica analitica utile allo sviluppo del dibattito pubblico fornendo interessanti chiavi di lettura e mostrando come l’integrazione delle informazioni, statistiche e amministrative, da diverse fonti, possa rappresentare un importante strumento per gli utilizzatori e i policy makers. Gli approfondimenti presentati nel Rapporto affrontano numerose tematiche intrecciando gli aspetti congiunturali e ciclici con l’evoluzione del quadro strutturale, segnato dall’uscita da una recessione profonda e persistente che ha modificato significativamente la struttura produttiva italiana, le caratteristiche dell’occupazione e i comportamenti individuali.

La pubblicazione si compone di sette capitoli e di un’appendice metodologica. Il capitolo introduttivo descrive l’andamento recente del mercato del lavoro e fa un sintetico bilancio degli ultimi dieci anni. Gli altri capitoli, di carattere monografico, presentano approfondimenti su aspetti tematici: il sottoutilizzo del lavoro in Italia; la domanda di lavoro delle imprese e il disallineamento formativo; l’utilizzo delle agevolazioni contributive a sostegno dell’occupazione da parte delle imprese; lo studio dei percorsi e sviluppi professionali dei lavoratori negli ultimi anni; l’analisi delle modalità, traiettorie ed esiti dei primi ingressi nel mercato del lavoro; l’andamento degli infortuni e delle malattie professionali.

Le diverse analisi descrivono un quadro del mercato del lavoro italiano nel quale coesistono luci ed ombre. Da un lato emergono evidenze di un miglioramento in cui diversi fattori hanno contribuito a una prolungata ripresa; dall’altro permane un’ampia area di inoccupazione e sottoccupazione, di disallineamenti formativi e di basso livello delle qualifiche, che si intrecciano con l’acuirsi degli squilibri territoriali.

In questo contributo presentiamo le principali evidenze sullo stato del mercato del lavoro e sulla sua evoluzione nello scorso decennio, mentre in un articolo che pubblicheremo sul prossimo Menabò proporremo un confronto con altri paesi dell’Unione europea e esamineremo più in dettaglio la struttura dell’occupazione anche per effetto dei recenti interventi normativi.

Il mercato del lavoro nel 2018. Nella media del 2018 si raggiunge il massimo storico di 23,2 milioni di occupati e lo si sfiora nel tasso di occupazione al 58,5% (un decimo di punto al di sotto del picco del 2008). Il tasso di disoccupazione si attesta al 10,6% (-0,6 punti in un anno e +3,9 punti rispetto al 2008). Inoltre, al calo della disoccupazione si associa la diminuzione del numero di inattivi.

Nel corso dell’anno il quadro occupazionale ha mostrato un lieve peggioramento: nell’area dell’euro, coerentemente con il rallentamento della crescita del Pil, prosegue a ritmi meno sostenuti l’aumento congiunturale dell’occupazione e la diminuzione del tasso di disoccupazione; mentre In Italia la flessione del Pil negli ultimi due trimestri dell’anno (-0,1%), dopo quattordici trimestri di espansione, si associa al calo congiunturale dell’occupazione (-0,2% nel terzo e quarto trimestre 2018) in un contesto di aumento della disoccupazione.

Rispetto all’anno precedente l’aumento occupazionale del 2018 continua a interessare i lavoratori dipendenti (+1,2%) che raggiungono il massimo storico sfiorando i 18 milioni nel secondo trimestre 2018 mentre gli indipendenti toccano il minimo nella serie storica nel quarto 2018 con 5,3 milioni di occupati. Dopo dieci trimestri di considerevole aumento, nel quarto trimestre 2018 si inverte l’andamento del tempo determinato (-0,3%) che nel trimestre precedente aveva toccato il valore massimo di quasi 3,1 milioni di occupati. Nei dati mensili più recenti (gennaio 2019), al netto della stagionalità, il tasso di occupazione rimane invariato e il numero di occupati mostra una lieve crescita rispetto a dicembre 2018, sintesi del calo degli indipendenti e dei dipendenti a termine più che compensato dall’aumento dei dipendenti a tempo indeterminato.

Complessivamente non si modifica la tendenza a una crescita occupazionale “a bassa intensità lavorativa”: con riferimento all’input di lavoro calcolato nel contesto dei conti nazionali, tenendo conto anche delle ore lavorate, la quantità di lavoro utilizzato è ancora inferiore rispetto al 2008. Nonostante la ripresa, nel 2018 il Pil è del 3,3% al di sotto del livello pre-crisi e le ore del 4,7%; per colmare il gap mancano ancora poco meno di 2,2 miliardi di ore e 870 mila Unità di lavoro a tempo pieno (Ula).

Come è cambiata l’occupazione negli ultimi dieci anni. Il superamento del livello occupazionale del periodo pre-crisi (+125 mila rispetto al 2008) si associa a una profonda trasformazione del mercato del lavoro italiano: la fase ciclica caratterizzata da una doppia e intensa recessione e dalla successiva ripresa ha contribuito a realizzare una articolata ricomposizione dell’occupazione all’interno di mutamenti di lungo periodo già in atto, in termini di struttura e di qualità del lavoro. Innanzitutto, vi è l’impetuoso aumento del lavoro dipendente e il crollo degli indipendenti, anche a ragione di cambiamenti strutturali del tessuto produttivo (Figura 1).

 

Figura 1 – Occupati per posizione, regime orario, settore, professione, sesso e ripartizione geografica. Anni 2008-2018 (variazioni assolute con base 2008)

 

In particolare, i dipendenti a tempo indeterminato presentano un saldo ancora lievemente negativo mentre si contano 760 mila dipendenti a termine in più (+33,3% rispetto al 2008), il cui aumento ha subito una forte impennata nell’ultimo biennio e si concentra nei rapporti di durata fino a 6 mesi.

Nei dieci anni gli occupati che lavorano a tempo parziale perché non hanno trovato un impiego a tempo pieno sono aumentati di circa un milione e mezzo, a fronte del calo di 876 mila occupati full time. Ciò è dovuto, da un lato, all’indebolimento della domanda di lavoro e, dall’altro, alla ricomposizione dell’occupazione per settore di attività economica, che ha aumentato il peso di comparti con una maggiore incidenza di lavoro a tempo parziale (alberghi e ristorazione, servizi alle imprese, sanità e servizi alle famiglie) e diminuito quello di settori con più occupati a tempo pieno. In dettaglio, nelle costruzioni il calo costante nel periodo di congiuntura negativa non si è arrestato neppure negli ultimi anni di ripresa, producendo nei dieci anni un saldo negativo di oltre mezzo milione di occupati; nell’industria in senso stretto l’aumento di occupazione nel periodo 2014-2018 ha compensato solo in parte le perdite subite fino al 2013 (-275 mila unità rispetto al 2008). Specularmente è aumentato il peso del terziario: i servizi collettivi e personali arrivano a 432 mila occupati in più nel 2018, concentrati soprattutto nei servizi alle famiglie (+346 mila unità); i servizi di mercato, più coinvolti dal calo di occupazione, già nel 2016 sono tornati a superare i livelli pre-crisi grazie soprattutto agli andamenti positivi dei settori alberghi e ristorazione, servizi alle imprese e informazione e comunicazione.

La dinamica nei settori economici rispecchia quella delle professioni, con il forte calo in dieci anni di artigiani e operai, in particolare di quelli specializzati, e un’elevata crescita degli addetti al commercio e servizi (724 mila; +19,4%) e delle professioni non qualificate (+483 mila; 23,6%). Gli occupati in professioni qualificate negli anni più acuti della crisi sono arrivati a calare di quasi 800 mila unità, per poi tornare lentamente ad aumentare a partire dal 2014, pur rimanendo ancora al di sotto dei livelli del 2008 (-196 mila; -2,3%).

Nel 2018, quasi un 1 milione di occupati hanno lavorato meno ore di quelle che avrebbero voluto svolgere nella settimana di riferimento dell’indagine (3,9% del totale occupati). Dal confronto tra le ore lavorate e quelle che avrebbero voluto svolgere, in media un sottoccupato sarebbe stato disponibile a lavorare circa 19 ore in più alla settimana. Tale input di lavoro equivarrebbe a un numero di occupati, espresso in termini di unità standard a tempo pieno (40 ore settimanali), pari a 431 mila unità. Il fenomeno della sottoccupazione è più elevato nel Mezzogiorno, tra le donne, tra i meno istruiti, tra i giovani, e, soprattutto, tra gli stranieri (7,8% in confronto al 3,4% gli italiani). Peraltro, la sottoccupazione si associa maggiormente al lavoro a termine, ai comparti delle costruzioni, degli alberghi e ristorazione e dei servizi alle famiglie e tra gli occupati in impieghi manuali con basse mansioni.

A livello territoriale la crisi ha prodotto un ulteriore impoverimento occupazionale del Mezzogiorno ampliando il già elevato divario con il resto del paese: se nel Centro-Nord la ripresa è iniziata prima e ha portato al recupero occupazionale già nel 2016 nelle regioni meridionali il saldo è ancora negativo (-260 mila; -4,0%).

Oltre alle caratteristiche del lavoro, nei dieci anni si è modificata la composizione socio-demografica degli occupati. L’occupazione femminile, concentrata nel terziario, tra il 2008 e il 2013 ha visto arrestare il trend di crescita di lungo periodo, ripreso poi dal 2014 con un bilancio nei dieci anni di circa mezzo milione in più di occupate; gli uomini invece hanno risentito soprattutto dell’andamento negativo nelle costruzioni e nell’industria non recuperando i livelli pre-crisi (-374 mila; -2,7%).

La marcata segmentazione etnica del mercato del lavoro italiano ha favorito la presenza di lavoratori immigrati più disposti ad accettare lavori disagiati e a bassa specializzazione (S. Strozza e G. De Santis, Rapporto sulla popolazione. Le molte facce della presenza straniera in Italia, 2017). Dal 2008 al 2018 gli stranieri sono passati dal 7,3% al 10,6% degli occupati totali aumentando la concentrazione nei settori e nelle professioni dove erano già maggiormente presenti: alberghi e ristorazione, agricoltura e servizi alle famiglie (in quest’ultimo settore sette occupati su dieci sono stranieri) e riguardo alle professioni la crescita della presenza si concentra in quelle operaie, del commercio e servizi e soprattutto non qualificate (in quest’ultimo caso circa un terzo degli occupati è straniero).

Complessivamente l’aggregato degli occupati si configura come più “anziano” e più istruito rispetto a dieci anni prima. Se nel 2008 il 30,2% degli occupati aveva un’età compresa tra 15 e 34 anni, dieci anni dopo tale quota è scesa al 22%, a ragione di dinamiche opposte: da un lato, il calo della popolazione giovanile e le difficoltà di inserimento nel mercato del lavoro dei più giovani, dall’altro il progressivo invecchiamento di coorti numerose di popolazione e l’aumento dell’età pensionabile che ha prolungato gli anni di permanenza al lavoro (cfr. Istat e altri, 2017). Peraltro, l’allungamento dei percorsi di istruzione posticipa l’ingresso nel mercato del lavoro dei più giovani e fa sì che il ricambio generazionale degli occupati avvenga in favore di coorti sempre più istruite: in dieci anni la quota di occupati con almeno la laurea passa dal 17,1% al 23,1%.

In tale contesto di ricomposizione delle professioni che ha favorito quelle poco qualificate a scapito di quelle a elevata qualifica, l’aumento del livello di istruzione degli occupati ha ampliato il mismatch tra domanda e offerta di lavoro che genera sovraistruzione e spreco di capitale umano.

Il quadro qui delineato risulta, pertanto, piuttosto chiaro. Nonostante la decisa ripresa occupazionale degli ultimi anni si accentuano alcune criticità ben note del mercato del lavoro italiano: permane un’ampia area di inoccupazione e sottoccupazione, soprattutto nel Mezzogiorno, e la nuova occupazione si è concentrata prevalentemente in settori, attività e professioni a bassa qualifica, basso valore aggiunto e basse retribuzioni.

In un prossimo articolo rifletteremo sul caso italiano anche in chiave comparata, presentando alcune considerazioni di policy.

 

Schede e storico autori