Il Memorandum Italia-Libia e la lesione delle prerogative del parlamentare: brevi considerazioni intorno al relativo ricorso per conflitto di attribuzioni fra poteri dello Stato

Maria Caterina Amorosi commenta brevemente il ricorso per conflitto di attribuzioni tra poteri dello Stato presentato da singoli membri del parlamento contro il Governo per la mancata presentazione alle Camere del progetto di legge di autorizzazione alla ratifica del Memorandum d’intesa fra Italia e Libia firmato a Roma il 2 febbraio 2017, sul quale dovrà pronunciarsi la Corte Costituzionale nelle prossime settimane. In particolare, Amorosi illustra il profilo soggettivo e quello oggettivo del ricorso che la Corte dovrà valutare.

Nelle prossime settimane la Corte costituzionale dovrà pronunciarsi in merito ad un’interessante questione: quella relativa al ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sollevata contro il governo da alcuni singoli membri del parlamento, i quali lamentano la lesione di essenziali prerogative parlamentari nella ratifica dell’accordo internazionale firmato a Roma il 2 febbraio 2017 fra il Presidente del Consiglio dei Ministri italiano, Gentiloni, e il Presidente del Consiglio presidenziale del Governo di Riconciliazione Nazionale della Libia, Fayez Mustafa Serraj.

Si tratta del “Memorandum d’intesa sulla cooperazione nel campo dello sviluppo, del contrasto all’immigrazione illegale, al traffico di esseri umani, al contrabbando e sul rafforzamento della sicurezza delle frontiere tra lo Stato della Libia e la Repubblica italiana”, accordo con il quale i due paesi si impegnano a cooperare nella gestione del fenomeno migratorio tramite un maggiore controllo sulle coste libiche, la predisposizione di campi di accoglienza temporanei in Libia, l’erogazione di risorse e di mezzi tecnici destinati a tali scopi e l’istituzione di un Comitato misto Italia-Libia con lo specifico compito di sorvegliare sul rispetto degli impegni assunti.

Tralasciando ulteriori approfondimenti sul contenuto dell’atto, ciò che qui interessa è la modalità con cui questo è stato recepito nel nostro Paese: bisogna infatti evidenziare che tale accordo è entrato in vigore senza che il Governo presentasse alle Camere il progetto di legge di autorizzazione alla ratifica del trattato, passaggio necessario (ex art. 80 Cost.) quando si tratti di accordi “che sono di natura politica, o prevedono arbitrati o regolamenti giudiziari, o importano variazioni del territorio od oneri alle finanze o modificazioni di leggi”. Alcuni parlamentari, di conseguenza, hanno sollevato dinanzi alla Corte costituzionale conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato che, come noto, è lo strumento volto a dirimere le controversie che sorgono successivamente al compimento di atti, azioni (od omissioni) considerati lesivi del quadro costituzionale di ripartizione fra i vari poteri di competenze e attribuzioni. Nel caso di specie, i singoli parlamentari lamentano la lesione delle proprie prerogative parlamentari ex artt. 67 e 72, 1º e ult. comma, Cost. conseguente alla mancata presentazione in Parlamento da parte del Governo della richiesta di autorizzazione alla ratifica del Memorandum, atto necessario ex art. 80 Cost. cui si aggiunge anche l’obbligo previsto dall’art. 13 del D.P.R. n. 1092/1985 di comunicazione/pubblicità legale gravante in capo al ministero degli Affari Esteri in seguito alla firma di qualsiasi Trattato internazionale.

Dal momento che il giudizio si articola in due fasi (una prima, svolta inaudita altera parte, volta a dichiarare l’ammissibilità o meno del ricorso, e una seconda che entra nel merito della questione), ad oggi ciò che dovrà valutare la Corte è, sotto il profilo soggettivo, la legittimità dei singoli parlamentari a sollevare conflitto di attribuzione, e, sotto il profilo oggettivo, la effettiva lesione della sfera di attribuzioni delineata in costituzione.

La questione della legittimazione soggettiva è segnata da interessanti evoluzioni in dottrina e in giurisprudenza: in effetti, a fronte del rigore del dato testuale della legge fondamentale in materia (la n. 87 del 1953, e, in particolare dell’art. 37 di quest’ultima) che declina come “poteri dello stato” gli organi “competenti a dichiarare definitivamente la volontà del potere cui appartengono”, la giurisprudenza costituzionale sembra aver operato nel corso degli anni alcune aperture quando, nello spostarsi sul piano oggettivo delle attribuzioni, ha voluto individuare un “potere” in ogni organo dotato di una propria specifica competenza, e in questo ha voluto identificare il probabile indicatore di un’autonomia e di un’indipendenza costituzionalmente garantita.

Senza la pretesa dell’esaustività, si possono evidenziare alcune pronunce particolarmente segnanti in tal senso: ad esempio, l’ordinanza n. 177 del 1998, seppur dichiarando l’inammissibilità del ricorso in specie, in via astratta riconosceva la configurabilità di “attribuzioni individuali di potere costituzionale per la cui tutela il singolo parlamentare sia legittimato a promuovere conflitto tra i poteri” (posizione confermata anche nella successiva ordinanza n. 178/1998).

Successivamente (ordd. nn. 359/1999 e 101/2000), pur esprimendosi sempre per l’inammissibilità, la Corte delinea ulteriormente i confini di una possibile apertura alla legittimazione soggettiva dei singoli parlamentari specificando che il giudizio per conflitto è precluso a questi ultimi non in assoluto, ma quando usato come strumento di tutela dei diritti costituzionali, generale e ulteriore, rispetto a quelli offerti dal sistema giurisdizionale, qualificandosi il conflitto di attribuzione come azione processuale residuale, di chiusura del sistema giudiziario e costituzionale.

Si potrebbe ricavare, dunque, dagli obiter dicta della Corte appena accennati, una possibile apertura alla legittimazione soggettiva di singoli parlamentari qualora si ravvisi la presenza di un’azione (o di un’omissione) di un altro potere dello Stato che leda loro attribuzioni costituzionali e l’assenza di altri rimedi processuali per poter esercitare le proprie prerogative: in sintesi, ciò che rileva è il carattere residuale del conflitto, che deve configurarsi come unico mezzo nelle mani del ricorrente per rivendicare la lesione della propria sfera di competenza.

Passando al caso di specie, l’omissione compiuta dal Governo, come sostiene il ricorrente, sembrerebbe ledere prerogative costituzionali probabilmente riferibili non solo alla Camera collegialmente, ma anche al singolo parlamentare, come quelle risultanti dall’art. 67 Cost. (il quale si riferisce alle funzioni proprie di “ogni membro del parlamento”) e dalla lettura combinata dell’art. 72 Cost. e del Regolamento della Camera (in base alla quale si attribuisce al parlamentare il diritto di discutere – anche prolungando gli ordinari termini di discussione – e votare con procedura normale l’autorizzazione alla ratifica di Trattati internazionali).

Il ricorrente, inoltre, non manca di evidenziare la sussistenza del carattere necessario della residualità: ribadisce, infatti, che sono state presentate diverse interrogazioni parlamentari volte a chiedere chiarimenti al Governo circa la lamentata omissione e a mettere la Camera a conoscenza della questione, ma che, nonostante ciò, quest’ultima non si sia attivata, facendo sì che il conflitto di attribuzioni diventasse l’ultimo mezzo nelle mani del parlamentare, il quale non ha ulteriori strumenti esperibili per vedere tutelate le proprie attribuzioni.

Per quanto concerne l’elemento oggettivo, ossia la natura del Memorandum fra Italia e Libia dalla quale discende o meno la violazione dell’art. 80 Cost., sembrerebbe difficile, visto il suo oggetto, non concludere per l’effettiva natura politica di tale atto: le politiche migratorie, gli accordi con i paesi di provenienza dei migranti, il controllo delle frontiere, la disciplina del diritto d’asilo, sono tutte materie di evidente natura politica e di importanza fondamentale per la politica estera di uno Stato. Inoltre, a nulla vale considerare il Memorandum come un atto di mera esecuzione di accordi già presi, in particolare del precedente Trattato di Bengasi del 2008. Oltre alla diversità di contenuti, all’introduzione di nuovi impegni e all’individuazione di nuovi obiettivi, resta la fondamentale constatazione che, dal 2008 ad oggi, la situazione politica e istituzionale in Libia è profondamente cambiata, al punto da non essere più identificabile uno Stato libico: non è mutato solo l’oggetto, ma addirittura il soggetto con cui l’Italia ha firmato tale accordo e un simile cambiamento comporta necessariamente una rinegoziazione.

In conclusione, data questa breve panoramica, se dal punto di vista oggettivo sembrano non esserci obiezioni convincenti, sul piano della legittimazione soggettiva del singolo parlamentare permangono alcune perplessità nonostante le (comunque timide) aperture operate dalla Corte precedentemente richiamate. In particolare, ferma restando la specifica sfera di attribuzioni spettanti al parlamentare ricavabile, in generale, dagli articoli 67, 68, 71, 72 Cost., rimane la difficoltà di capire se queste implichino effettivamente o meno una piena autonomia del singolo deputato o senatore rispetto alla camera di appartenenza.

Difficoltà che, però, si scontra con una giustificata preoccupazione: quella che, come si rischia in questo caso, un accordo importante, dalla chiara natura politica possa essere ratificato in forma semplificata, senza passare dalla Camere, con una evidente alterazione degli equilibri fra governo e parlamento e la conseguente lesione della centralità di quest’ultimo, impedito de facto nell’esercizio di una delle sue funzioni fondamentali, quella di controllo sul governo.

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