Il lavoro agile nel protocollo del 7 dicembre 2021

Nicolò Cappellazzo ricostruisce gli aspetti più significativi del recente protocollo sottoscritto dalle parti sociali per la regolazione del lavoro agile nel settore privato. In particolare Cappellazzo mette in evidenza due aspetti. Il primo attiene alla continuità tra il protocollo 2021 e l. n. 81/2017. Il secondo aspetto riguarda, invece, la funzione assegnata alla contrattazione nazionale e a quella decentrata per la definizione di ulteriori contenuti della disciplina protettiva.

In data 7 dicembre 2021 è stato sottoscritto – all’esito di un confronto tra il Ministero del Lavoro e le Parti sociali – il “Protocollo nazionale sul lavoro in modalità agile nel settore privato” con l’obiettivo di tracciare delle linee guida per i futuri contratti nazionali e aziendali in materia di smart working.

Se, prima della pandemia da Covid 19, lo smart working rappresentava una modalità alternativa e straordinaria di prestazione dell’attività lavorativa, utilizzata soprattutto dalle grandi imprese e dalle start-up innovative, ad oggi, il lavoro agile costituisce una realtà diffusa che è divenuta parte fondamentale della vita di molti lavoratori e segna l’inizio di un cambiamento importante e irreversibile nell’organizzazione del lavoro. Tale assunto è dimostrato dagli stessi dati dell’Osservatorio sullo smart working del Politecnico di MilanoPrima della pandemia, in Italia, le persone che lavoravano da remoto erano circa 570mila; durante l’emergenza sanitaria, tale numero è inevitabilmente cresciuto fino ad arrivare a circa 8 milioni di persone; ma vi è di più: nel prossimo futuro post-pandemico, si presume che il numero dei lavoratori agili si stabilizzerà a quota 5,3 milioni. Si è di fronte, quindi, ad “nuova normalità”.

Lo smart working, non a caso, costituisce un importante fattore del processo di cambiamento digitale ed ecologico che caratterizza il contesto economico-sociale contemporaneo e rappresenta uno strumento flessibile che, da un lato, favorisce la conciliazione e il bilanciamento dei tempi di vita e lavoro e, dall’altro, permette di ridurre le emissioni di agenti inquinanti derivanti dai mezzi utilizzati per gli spostamenti casa-lavoro con risvolti significativi anche in termini di viabilità dei centri urbani.

Il lavoro agile viene definito dalla legge n. 81/2017 “quale modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato stabilita mediante accordo tra le parti, anche con forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi e senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro, con il possibile utilizzo di strumenti tecnologici per lo svolgimento dell’attività lavorativa. La prestazione lavorativa viene eseguita, in parte all’interno di locali aziendali e in parte all’esterno senza una postazione fissa, entro i soli limiti di durata massima dell’orario di lavoro giornaliero e settimanale, derivanti dalla legge e dalla contrattazione collettiva”.

Il termine smart working fa riferimento, quindi, ad un nuovo paradigma lavorativo in cui l’orario è autodeterminato e lo spazio fisico non è predefinito.

Tale definizione mette in luce le differenze che intercorrono tra il lavoro agile e il telelavoro il quale, nel linguaggio comune viene spesso confuso ed usato impropriamente come sinonimo del primo. Per non incorrere in evitabili errori interpretativi è utile precisare, fin da subito, che il Protocollo si applica solo allo smart working e non al telelavoro che, invece, è regolato dall’accordo interconfederale del 9/06/2004. La differenza tra i due concetti non si esaurisce quindi in una mera questione linguistica e terminologica ma ha una consistente portata normativa oltreché organizzativa e aziendale. Il telelavoro è definito come una prestazione lavorativa fuori dal contesto aziendale in cui il dipendente è vincolato a lavorare da una postazione fissa e prestabilita, con gli stessi limiti di orario che avrebbe nel caso in cui svolgesse il proprio lavoro in presenza; il lavoro agile, al contrario, indica una modalità di prestazione dell’attività lavorativa nuova e flessibile senza vincoli di spazio e di tempo. Lo stesso art. 4 del Protocollo, infatti, statuisce che lo smart worker “è libero di individuare il luogo ove svolgere la prestazione in modalità agile purché lo stesso abbia caratteristiche tali da consentire la regolare esecuzione della prestazione, in condizioni di sicurezza e riservatezza, anche con specifico riferimento al trattamento dei dati e delle informazioni aziendali nonché alle esigenze di connessione con i sistemi aziendali”.

Una volta circoscritto l’ambito di applicazione del Protocollo, non resta che descrivere brevemente il contenuto dello stesso. Il protocollo – frutto dello studio condotto da un gruppo di esperti denominato “Lavoro agile” – si snoda in 16 articoli che delimitano i confini entro i quali si dovranno muovere i futuri accordi nazionali e aziendali in materia di smart working.

Analizzando le linee guida proposte dalle parti sociali, non si può che prendere atto, fin da subito, del ruolo centrale della contrattazione collettiva nella regolamentazione del lavoro agile. L’art. 2 del Protocollo, infatti, se da un lato impone – alla stregua della legge n. 81/2017 – la stipulazione per iscritto di un accordo individuale per l’avvio del lavoro agile, dall’altro, vincola il contenuto di tale accordo all’eventuale contrattazione collettiva di riferimento.

A quest’ultima viene affidato, oltre all’auspicata funzione normativa, anche una funzione di indirizzo, di gestione e monitoraggio dell’applicazione delle regole. La stessa avrà, altresì, il compito di programmare e adeguare, nei limiti del contesto aziendale, il futuro delle relazioni industriali in materia di smart working. Non a caso, sono stati proprio i contratti collettivi emersi durante il periodo pandemico ad aver dimostrato l’importanza della contrattazione collettiva – comunque vincolata alla legge n. 81/2017 – quale strumento flessibile di accompagnamento, sostegno e controllo collettivo dei diversi accordi individuali.

Se da un punto di vista contenutistico il Protocollo si limita a confermare le recenti prassi aziendali emergenziali e non è certo portatore di innovazioni strutturali, dal punto di vista metodologico deve essergli riconosciuto, invece, il merito di aver vincolato l’implementazione dello smart working alle intese tra le parti sociali e di aver valorizzato, in questo modo, la contrattazione collettiva quale fonte privilegiata di regolamentazione dello svolgimento della prestazione di lavoro in modalità agile ferme restando, ovviamente, le previsioni di legge.

L’art. 3 del Protocollo disciplina l’organizzazione del lavoro agile e sancisce il diritto dello smart worker alla disconnessione. Le Parti firmatarie, consapevoli del fatto che la giornata lavorativa svolta in modalità agile si caratterizza per l’assenza di un preciso orario di lavoro e per l’autonomia del lavoratore nello svolgimento della prestazione nell’ambito degli obiettivi prefissati, introducono il concetto delle fasce orarie in cui può essere eseguita la prestazione lavorativa. Lo smart worker, essendo un lavoratore subordinato, sarà comunque tenuto al rispetto dell’organizzazione delle attività assegnate dal responsabile a garanzia dell’operatività dell’azienda e dell’interconnessione tra le varie funzioni aziendali. L’articolo nulla dispone, purtroppo, in merito alle modalità di definizione degli obbiettivi del lavoratore e sulle conseguenze del mancato raggiungimento di questi ultimi. La contrattazione decentrata sarà chiamata a completare il quadro.

Il Protocollo dispone, inoltre, che venga individuata una fascia di disconnessione nella quale lo smart workernon debba erogare la prestazione lavorativa. Il diritto alla disconnessione del lavoratore agile sarà garantito anche attraverso l’adozione di specifiche misure tecniche e/o organizzative. Proprio per ragioni di tutela del diritto alla discussione il Protocollo vieta che – salvo esplicita previsione dei contratti collettivi nazionali, territoriali e/o aziendali – durante le giornate in cui la prestazione lavorativa viene svolta in modalità agile possano essere autorizzate prestazioni di lavoro straordinario. Lo smart working, infatti, sembra mettere in crisi le tradizionali categorie giuridiche previste per l’ordinario rapporto di lavoro basato, appunto, sulla messa a disposizione del tempo da parte del lavoratore. Come determinare, del resto, il concetto di lavoro straordinario in un rapporto che presuppone vincoli di risultato in alternativa ai vincoli di orario?

Per quanto riguarda invece gli strumenti di lavoro, il protocollo indica all’art. 5 che, “fatti salvi diversi accordi”, sia il datore di lavoro, di norma, a fornire la strumentazione tecnologica e informatica necessaria allo svolgimento della prestazione lavorativa in modalità agile. Quest’ultimo non sarà, quindi, obbligato a fornire gli strumenti di lavoro poiché tale scelta verrà rimessa ai diversi accordi collettivi e individuali. Norma che, ancora una volta, sottolinea l’importanza della contrattazione decentrata nella regolamentazione dello smart working.

Le regole del Protocollo relative alla salute e alla sicurezza sul lavoro dello smart worker, ai diritti sindacali, alla parità di trattamento e alle pari opportunità; alla formazione e informazione riprendono, infine, la disciplina del lavoro agile predisposta dalla legge n. 81/2017 e dagli accordi aziendali emersi negli ultimi due anni. Le criticità e i tentativi di risoluzione delle problematiche derivanti dallo smart working ivi proposti costituiscono un utile strumento di orientamento in un contesto delicato e hanno il merito di aver delineato efficacemente i chiaroscuri della materia.

Nel protocollo vengono stabiliti strumenti economici di welfare aziendale che favoriscano la genitorialità, l’inclusione e una più concreta conciliazione dei tempi di vita e di lavoro.

Ad ulteriore dimostrazione del metodo dialogico e collaborativo seguito dalle Parti sociali per gestire le grandi trasformazioni dell’economia e del mercato del lavoro, l’art. 14 del Protocollo prevede l’istituzione di un Osservatorio nazionale bilaterale in materia di lavoro agile con l’obiettivo di monitorare i risultati raggiunti su base nazionale aziendale e/o territoriale attraverso il lavoro agile. Tale Osservatorio è presieduto dal Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali o da un suo delegato e sarà composto da rappresentanti dei datori di lavoro e dei lavoratori designati dalle Parti firmatarie.

Concludendo una precisazione: il Protocollo, pubblicato il 7 dicembre 2021, diverrà il quadro normativo di riferimento a partire dal 1° gennaio 2022 data in cui, salvo ulteriori proroghe, cesseranno di essere vigenti i decreti emergenziali in materia di smart working che hanno sospeso gli accordi individuali e concesso alle aziende la facoltà di stabilire liberamente la quota dei lavoratori in smart working in ragione delle misure di sicurezza negli ambienti di lavoro ai tempi del coronavirus.

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