Il gioco d’azzardo patologico. Uno sguardo alla situazione italiana

Gianluca Farfaneti si occupa del gioco d'azzardo in Italia e delle problematiche economiche, sociali e sanitarie che esso solleva. Dopo avere richiamato alcuni dati sulla sua espansione e dopo avere sottolineato che mancano norme in grado di tutelare soprattutto le fasce più deboli dai rischi e dai pericoli che esso comporta, Farfaneti illustra alcune buone pratiche nel campo della prevenzione e del trattamento e sostiene che occorre un’azione integrata a livello legislativo e di comunità per sviluppare efficaci interventi assistenziali e di prevenzione.

Il gioco d’azzardo patologico (GAP) è un fenomeno in diffusione crescente in tutto il mondo, le cui cause vanno rintracciate in fattori di ordine biologico, psicologico, sociale, ma anche culturale ed economico. Si tratta di una vera e propria dipendenza dal gioco nella quale la persona non controlla più il comportamento ludico riportando effetti e danni sia dal punto di visto psichico  e sociale.

In Italia secondo una recente ricerca ISPAD, dal 2008 al 2011, la percentuale di persone tra i 15 e i 64 anni che ha puntato soldi almeno una volta su uno dei tanti giochi presenti sul mercato (Lotto, Superenalotto, Gratta e vinci, scommesse sportive, poker online) è passata dal 42 al 47%. Circa 19 milioni di scommettitori, di cui ben 3 milioni a rischio di ludopatia. La maggior parte delle quote in entrata dei giochi d’azzardo riguarda le slot machine (56,3%), secondariamente le lotterie (12,7%), e quindi i giochi a distanza (10,5%). Nel 2011, è stato registrato un forte investimento in denaro da parte dei giocatori con importanti differenze tra le singole Regioni. Le Regioni che più hanno speso in termini assoluti in gioco d’azzardo sono state, nell’ordine, la Lombardia (14,8 miliardi), il Lazio (9,1 miliardi) e la Campania (8,9 miliardi) [1. http://www.politicheantidroga.it/pubblicazioni/in-ordine-cronologico/gambling/presentazione.aspx].

Il fatturato del gioco d’azzardo, come riporta il dossier “Azzardapoli” dell’Associazione Libera è stato nel 2013   di 85 miliardi e l’Italia si piazza al primo posto in Europa e al terzo nel mondo. Queste cifre  portano l’industria del gioco d’azzardo, nel suo complesso,  ad avere un fatturato inferiore solamente a quello di aziende come Enel ed Eni.

Secondo dati dell’Eurispes riportati da La Barbera e La Cascia (Il gioco d’azzardo Patologico, Noos, 2008) , gli scommettitori nel 1995 erano circa 30 milioni nelle varie categorie di giochi in Italia (ad esclusione delle attività dei casinò e dei circoli privati, nonché del gioco clandestino). Attualmente in Italia il gioco (ricreativo e non problematico) sembra coinvolgere sino al 70-80% della popolazione italiana. Gli stessi autori riportano che il 3% della popolazione italiana, ossia circa 750 mila persone,  sembra essere affetta da GAP.  Uno studio condotto dalla SII.Pa.C. (Società Italiana di Intervento per le Patologie Compulsive) conferma i  dati sulla diffusione del fenomeno in Italia, indicando che l’85% dei giocatori è costituito da uomini e di questi il 51% ha un’età compresa tra i 40 e i 50 anni; il 22% tra i 50 e i 60 anni ed il 65% ha più di 60 anni. In forte aumento anche il gioco nella popolazione femminile. Attualmente le donne che si rivolgono alle strutture di assistenza sono il 28% del totale.

Quello che appare oramai innegabile  è che il fenomeno, da gioco sociale e ricreativo, da manifestazione puramente ludica, si è trasformata  in una modalità disfunzionale , alterata e spesso purtroppo disturbata nella gestione di situazioni  di crisi o di difficoltà individuali o familiari. La pratica del gioco diviene mezzo  per recuperi, riscatti e redenzioni personali, via di uscita e di scampo per sopravvivere al senso di rovina e di insoddisfazione.

Tutto questo senza benefici per la collettività e per la salute pubblica, perché, come ricorda Fiasco (in Ma a che gioco giochiamo? Edizioni a Mene Libera, 2011),  a fronte di questo guadagno dello Stato (non proporzionata al fatturato globale) il gioco si configura come un moltiplicatore negativo per l’economia  dato che sottrae reddito alle famiglie per i consumi. Sembra oramai consolidato l’aumento di costi sociali e sanitari causati dal gioco. Il giocatore patologico va incontro a diversi rischi, come una diminuzione della produttività,  perdita del posto di lavoro, lacerazione dei rapporti familiari, abuso di sostanze e in casi estremi rischio suicidario

Inoltre possono aversi aumento della piccola criminalità eo fenomeni di bancarotta  che impegnano risorse del sistema giudiziario e sanitario utilizzabili per altri scopi. Infine, come ci ricorda un recente articolo de Il Sole 24 ore non può essere tralasciata l’infiltrazione mafiosa. Ben 41 clan malavitosi (fra mafia siciliana, ‘ndrangheta e camorra) sono entrati con prepotenza nel settore dell’azzardo. Non è un caso che il 9% dei beni sequestrati alle organizzazioni criminali sia composto da sale da gioco e agenzie di scommesse.

Il quadro che emerge  sollecita, insomma, una risposta adeguata che preveda azioni di contrasto alla diffusione incontrollata del gioco, di informazione e prevenzione soprattutto per le fasce più giovani e di organizzazione dei servizi di cura spesso dotati di poche risorse e  impreparati di fronte al diffondersi di questa patologia. Senza proibire o colpevolizzare. Istituzioni, società civile e mondo economico dovrebbero intervenire insieme per fornire risposte integrate e coerenti

Decisivo in questo senso è l’intervento legislativo. Appare necessario definire e approvare una legge quadro nazionale sul gioco d’azzardo, affinché lo Stato recuperi il governo e la programmazione politica sulle attività di gioco d’azzardo. Attualmente è in discussione una nuova legge che regoli il settore, oggi caratterizzato da una  deregulation di fatto,  che mette spesso in conflitto enti locali e imprese e governo nazionale, rispetto a tentativi di regolare o limitare le attività delle sale giochi e sale slot. Diverse regioni (Liguria, Lombardia, Emilia Romagna e Lazio sono le prime) in questi anni hanno deliberato leggi regionali per contrastare il fenomeno e potenziare i servizi di cura, ma queste iniziative restano  totalmente inefficaci, in mancanza, per l’appunto, di un intervento  nazionale.

Anche molti enti locali hanno promosso interventi volti a ridurre la diffusione delle macchine da gioco. Il comune di Faenza (RA), ad esempio, fornisce un contributo economico agli esercenti che non installano videoslot, e ha  emanato un regolamento comunale che prevede per le sale VLT (videolotery) la presenza di uno psicologo al loro interno. Dal canto suo, il  Comune di Cesena ha ridotto la tariffa per il consumo del suolo pubblico agli esercenti che rimuovono le macchine da gioco.

Piccoli esempi, ma significativi, di azioni e buone pratiche di sensibilizzazione ma anche di riduzione dei rischi e di prevenzione.

Se le istituzioni mostrano una certa lentezza nell’affrontare il problema , la società civile si è fortemente mobilitata, promuovendo una serie di iniziative di sensibilizzazione e informazione. Campagne come “Mettiamoci in gioco” (promosse tra le tante associazioni da ACLI, ARCI, Libera, http://www.mettiamociingioco.org/) o SLOTMOB sono esempi di questo movimento d’opinione che preme su amministratori e politici, ma anche su cittadini e attività economiche per una maggior consapevolezza dei rischi collegati al gioco d’azzardo.

Nel campo della prevenzione è interessante anche l’iniziativa Fate Il Nostro Gioco, un progetto di Paolo Canova e Diego Rizzuto, un matematico e un fisico torinesi, nato nel 2009 con  l’obiettivo  di  accrescere la consapevolezza svelando attraverso la matematica e la statistica,  le regole, i piccoli segreti e le grandi verità del gioco d’azzardo e dei suoi lati nascosti.

Fate il Nostro Gioco si fonda su un ampio studio della matematica del gioco d’azzardo, completamente originale, e si avvale di  una mostra itinerante sulla matematica del gioco d’azzardo oltre che di conferenze, laboratori e  corsi di formazione per insegnanti di matematica e operatori sanitari. E’ significativo  che il target di questi interventi siano le scuole superiori. Molte ricerche riportano difatti che le prime esperienze di gioco d’azzardo  vengono fatte  già tra i  14 e i 19 anni.

Quando invece il gioco diventa una vera e propria patologia (Disturbo da Gioco d’Azzardo Patologico) la presa in carico e il processo di cura diventano centrali. I Servizi per le tossicodipendenze (SERT) si stanno attrezzando per fornire risposte assistenziali  appropriate in attesa che i trattamenti vengano inserite nei LEA dalla nuova legge.

In Emilia-Romagna, nel 2013, questo fenomeno  ha comportato l’assistenza di 1.102 persone da parte dei servizi regionali. Un dato, questo, fortemente in crescita:  37% in più rispetto all’anno precedente (802 nel 2012) e più del doppio rispetto al 2010 (512). Si stima, inoltre, che i giocatori totali siano circa 10mila. A questi dati dei Sert si aggiungono le persone che si rivolgono direttamente all’associazione Giocatori Anonimi: circa 200 sono quelle che attualmente seguono con regolarità l’attività dei 9 gruppi in Emilia-Romagna (a Modena, Bologna, Imola, Forlì, Cesena, Ravenna, Rimini). Inoltre, circa 70 familiari di persone con dipendenza da gioco d’azzardo frequentano i gruppi dell’associazione Gamanon (a Bologna, Imola, Ravenna, Rimini).

La presa in carico della persona con dipendenza da gioco d’azzardo è prevalentemente di tipo psicologico, con trattamenti individuali e di gruppo. Il SerT effettua diagnosi e trattamenti medico-farmacologici, psico-sociali, assistenziali ed educativi attraverso una equipe multidisciplinare composta da medici, psicologi, assistenti sociali, educatori, infermieri. La terapia di gruppo risulta una delle più efficaci come risulta da un’esperienza del SerT di Cesena relativa a un trattamento avviato nel 2011 (Farfaneti e Reali, in Da Persona a Persona, Rivista di studi Rogersiani, Aprile 2013)

La Regione inoltre finanzia il progetto “Pluto” di Reggio Emilia, una struttura terapeutica residenziale che fornisce un’assistenza intensiva alle  persone con dipendenza da gioco particolarmente grave e .inviate dai SerT con una diagnosi specifica. Tra il luglio 2013 e il giugno 2014 sono state assistite 45 persone nelle strutture residenziali previste dal progetto.

In conclusione, costruire un  lavoro di rete e d’integrazione tra pubblico e privato sociale , insieme alla necessità di una  equilibrio tra prevenzione dei rischi e diffusione delle opportunità di gioco dal punto di vista normativo, appaiono le direzioni più efficaci e appropriate per affrontare la gravità il  fenomeno  nella sua gravità attuale e nella sua evoluzione futura, legata al  gioco online e disponibile sui dispositivi portatili.

Dobbiamo di conseguenza considerare questo fenomeno una sfida per la Comunità e non  per i  singoli individui. Tornare ad essere più Comunità significa, soprattutto, fare in modo che ciascuno sia più informato che il benessere non dipende solo da processi interiori, ma anche da una coscienza consapevole dell’ambiente circostante.

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