Il genere dei ricercatori. Partecipazione, percorsi di carriera e percezione nel mondo

Che cosa succede se si esamina l’impronta scientifica dei ricercatori (data dalle loro pubblicazioni, dai finanziamenti ottenuti, dai riconoscimenti e dai brevetti) attraverso la lente delle differenze di genere? Elsevier ha diffuso all’inizio di marzo uno studio sull’UE-28 e altri 15 paesi. Annalisa Cicerchia illustra il quadro che da esso emerge: le discriminazioni sono dure a morire ma, grazie anche a nuove metodologie di indagine, emergono interessanti difformità per discipline, pratiche e, ovviamente, contesti nazionali.

Come confermano anche gli eventi di questi giorni frenetici, nei quali emergono i loro contributi in campo medico e virologico, negli ultimi cinquant’anni le donne hanno fatto passi da gigante nel mondo della ricerca. Le percentuali di donne fra i laureati in scienze, tecnologia, ingegneria, matematica (STEM) e medicina non sono mai state tanto alte, e il raggiungimento dell’obiettivo di una partecipazione equilibrata dei generi alla ricerca sembra essere oggetto di maggiore attenzione e di qualche investimento. Tuttavia, le disparità persistono: il numero di articoli pubblicati dalle donne cresce meno di quello degli uomini, i finanziamenti vanno per la gran parte ai maschi, e un numero maggiore di donne abbandona la ricerca, soprattutto nei campi meno investigati.

Elsevier ha dedicato allo studio di queste disparità una indagine sistematica, il cui rapporto è uscito all’inizio di marzo: The Researcher Journey Through a Gender Lens. Ne proponiamo un breve resoconto, raccomandandone la lettura integrale.

Le donne non partecipano a reti di collaborazione scientifica con la stessa intensità degli uomini, e questo ha un potenziale impatto limitante sulla loro carriera. In media, gli uomini hanno più coautori delle donne, e tendono a preferire la collaborazione con altri uomini.

Alla diversità e l’inclusione di genere si riconosce crescente importanza e il loro raggiungimento è oggetto di attenzione e di intervento in molti settori: l’economia e la finanza, l’istruzione, il governo e la ricerca. Elsevier – che, sia detto per inciso, per la prima volta da 140 anni ha una donna come CEO – si fa portatrice del messaggio secondo il quale l’aumento della diversità di genere ha un impatto positivo sulla produttività, favorisce la risoluzione dei problemi e aumenta l’innovazione, tutti fattori essenziali per affrontare le grandi sfide del nostro tempo, dalla salute alla sicurezza alimentare, dai cambiamenti climatici alle comunità sostenibili, lotta al coronavirus compresa.

Per ricostruire le tendenze della rappresentazione di genere in 15 paesi e nell’UE28 nel suo insieme, il nutrito gruppo (37 tra ricercatori, esperti, autori) che ha svolto lo studio ha analizzato dati sugli autori delle pubblicazioni accademiche, sui beneficiari delle sovvenzioni e sui richiedenti brevetti, confrontando due periodi: 1999-2003 e 2014-2018 (2016 per alcuni sottotemi).

In tutti i paesi e in tutte le regioni considerati, l’aumento delle donne fra gli autori di publicazioni sta colmando il divario di genere. Per esempio, in Italia fra gli autori attivi le donne sono cresciute da 60 per 100 uomini nel 1999-2003 a poco meno di 80 per 100 uomini nel 2014-2018. In alcune aree di ricerca, la parità di genere è quasi raggiunta. Attenzione, però. Questo avviene in particolare tra gli autori con una storia di pubblicazioni breve e in specifiche aree tematiche nell’ambito delle scienze della vita e della salute. In alcune materie, in particolare infermieristica e psicologia, le donne rappresentano già la maggioranza degli autori. Al contrario, gli uomini sono meglio rappresentati tra gli autori con una lunga storia di pubblicazioni, in tutte le aree tematiche delle scienze fisiche e come autori ultimi e corrispondenti. Per fare qualche esempio nazionale, l’Argentina è la più vicina alla parità di genere tra gli autori, mentre, all’inverso, il Giappone presenta il rapporto più basso tra donne e uomini in tutte le aree tematiche.

Ma consideriamo l’Italia più da vicino, e con riferimento al periodo 2014-2018. Nel complesso, gli autori attivi sono 145 mila maschi e 113 mila femmine. Le donne sono largamente sotto-rappresentate nelle pubblicazioni di ingegneria (appena il 25 per cento), di matematica, di fisica e astronomia, informatica e energia (26 per cento), ma dominano in altri campi:  sono il 52 per cento in medicina, il 55 per cento in veterinaria, il 59 per cento nelle neuroscienze, il 60 per cento in immunologia e microbiologia, il 61 nelle discipline infermieristiche e in farmacologia, addirittura il 65 per cento in psicologia.

Quanto al numero medio di pubblicazioni per autore nel periodo 2014-2018, gli uomini sfiorano le 11, le donne si fermano a sette.

Il rapporto tra donne e uomini nei 10 anni successivi alla prima pubblicazione diminuisce in tutti i paesi e le regioni, ad eccezione del Portogallo. Inoltre, la percentuale di donne che continua a pubblicare nel tempo è leggermente inferiore rispetto a quella degli uomini. L’attività internazionale è associata a una maggiore produttività nelle pubblicazioni, e gli uomini hanno maggiori probabilità rispetto alle donne di viaggiare fuori dal proprio paese nel corso delle loro carriere di ricerca. Tra gli autori che hanno viaggiato a livello internazionale, nella maggior parte dei paesi e nell’UE-28, gli uomini pubblicano di più e hanno un impatto sulle citazioni leggermente più elevato rispetto alle donne. Inoltre, tra coloro che pubblicano al di fuori del proprio paese di origine, gli uomini hanno maggiori probabilità di continuare a pubblicare rispetto alle donne.

Qualche tempo fa, Kaywin Feldman, Direttrice e Presidente del Minneapolis Institute of Art, in una intervista, osservava: «Sono stata giudicata ‘troppo giovane e troppo donna’ per la maggior parte della mia carriera di 22 anni come direttore di un museo. (…) Per arrivare dove sono ora ho fatto un bel po’ di colloqui di lavoro e ho sentito la stessa identica preoccupazione, ogni volta che non ho avuto il posto e anche quando ho avuto il posto: ‘Temiamo che non abbia gravitas’». In altre parole, prosegue Feldman, si insinua che il lavoro non può essere serio, stimolante o sofisticato se può essere svolto dalle donne. (…) Nel campo dei musei d’arte, circa il 45% dei direttori dei musei sono donne. È fantastico. Ma tra i 17 più grandi musei d’arte enciclopedici, con budget superiori a $ 30 milioni, siamo solo due”. Questa digressione ci porta a un altro punto chiave del Report di Elsevier: in molti paesi, la percentuale di donne tra i beneficiari delle sovvenzioni e dei finanziamenti è coerente con la sotto rappresentazione delle donne come autori ultimi e corrispondenti delle pubblicazioni. Mancano di gravitas e non ci si può fidare a finanziarle?

Il Rapporto di Elsevier propone un interessante indicatore sintetico, la cosiddetta impronta del ricercatore – calcolato in base all’insieme delle sue pubblicazioni e delle sue citazioni, dei premi ricevuti e dei brevetti richiesti – come misura della crescita della partecipazione femminile. L’impronta di ricerca degli uomini resta più ampia: pubblicano più delle donne, ricevono più finanziamenti rispetto alle donne e richiedono più brevetti rispetto alle donne. Questa tendenza è evidente in ogni paese esaminato. Inoltre, in media, l’impatto in termini di citazioni delle pubblicazioni che hanno un uomo come primo autore è superiore, cosa che fa pensare che ci sia un bias sessista nella pratica delle citazioni.

In generale, sia nelle aree tematiche, sia nei paesi, gli uomini tendono ad avere più coautori delle donne, e il divario si allarga all’aumentare della loro storia di autori, il che probabilmente contribuisce a spiegare perché gli uomini hanno un output di pubblicazioni più elevato.

Nell’UE-28, gli uomini stabiliscono collaborazioni internazionali in misura leggermente maggiore delle donne. Tanto gli uomini quanto le donne collaborano preferibilmente con autori dello stesso genere.

Il tema dei brevetti è particolarmente interessante, anche perché se ne parla poco. In tutti i paesi studiati dal gruppo di Elsevier, le donne rappresentavano una piccola minoranza di inventori. Nel periodo 1999-2003, la Spagna ha registrato il rapporto più alto tra donne e uomini tra gli inventori, 17 donne per 100 uomini, al di sopra della Francia (15 ogni 100 uomini) e del Brasile (14 ogni 100 uomini). Il rapporto nell’UE-28 era particolarmente divaricato: 9 su 100, a causa del peso di due paesi insospettabili: Regno Unito (9 donne per 100 uomini) e Germania (6 ogni 100 uomini). In fondo alla lista, il Giappone, con solo 5 donne per 100 uomini. Nel periodo 2012-2016 il rapporto tra donne inventrici e uomini inventori è cresciuto ovunque (con l’eccezione del Canada) ed in particolare in Messico (da 9 a 16 donne per 100 uomini) e in Spagna (da 17 a 24 donne per 100 uomini). In Italia si registrano 15 donne per 100 uomini e nell’UE-28 si è saliti da 9 a 12 donne per 100 uomini.

Il Rapporto merita di essere letto. Colpisce come riesca a trarre, da un approccio che a prima vista assomiglia tanto al delirio citazionista della valutazione della ricerca, una bella quantità di spunti per una riflessione seria.

Schede e storico autori