Il crocifisso nei luoghi

Evitiamo ancora una volta di scontrarci, come è purtroppo costume di questo tormentato e doloroso momento storico nel nostro Paese.

Crocifisso sì o no; voto di condotta sì o no; test antidroga sì o no; eserciti in missioni di pace sì o no; sms ai genitori degli alunni che saltano la scuola sì o no; diritti civili per gli omosessuali sì o non …e ogni giorno una nuova richiesta di schierarsi (e dire sì o no identifica chi è “comunista” come dice Berlusconi e chi non lo è).

In questo modo si nega  la complessità dei fatti, si impedisce di assumere le ragioni articolate di chi la pensa in modo diverso, si impedisce ad ognuno di noi di approfondire le ragioni dell’altro e di leggerne le motivazioni, le sfumature, i collegamenti ai diversi contesti che fanno da sfondo alle opinioni di molti e alle certezze di pochi.

Nel merito della sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, quest’ultima ha stabilito che le normative italiane sull’ostensione del crocifisso in luoghi pubblici (scuole, tribunali, ospedali) viola la Convenzione europea dei diritti dell’uomo, trattato a cui l’Italia ha liberamente deciso di aderire.

La Corte ricorda che  in una società pluralista e rispettosa della libertà di pensiero ogni cittadino  ha il diritto di educare i propri figli secondo le proprie idee di credente in confessioni diverse o di non credente e che il crocefisso non è solo un simbolo culturale, ma è il segno esteriore forte  di un preciso credo religioso che può condizionare l’educazione dei più piccoli, ma anche creare vincoli alla libera espressione del pensiero di adulti, in luoghi deputati alla vita pubblica.

 

Nella scuola che dirigo crocefissi e simboli religiosi non sono  appesi ai muri delle aule da quando il Concordato ha stabilito che la religione cattolica non è più religione di Stato.

Tutti, a cominciare dai docenti di religione cattolica, siamo però  molto attenti a parlare  in modo ricco e plurale di religioni, di fedi, di orizzonte culturale cristiano della nostra società, di opzioni diverse fra chi crede e chi non crede, di religioni diverse da quella cristiana, oggi presenti fra noi attraverso l’immigrazione, del modificarsi e definirsi dei simboli religiosi nel tempo e nella storia,  di storia delle religioni, della libertà di esprimere fedi e pensiero, garantita dalla Costituzione.

 

Nessuno impone niente a nessuno (tranne l’adesione richiesta alla “retta dottrina” per  le insegnanti di Religione cattolica,  di cui è garante  il Vicariato, per accordi previsti dal Concordato e dalla relativa Intesa con la Chiesa cattolica, e a cui è condizionata la concessione della idoneità all’insegnamento di tale disciplina).

 

C’è qualche docente che a Natale costruisce il presepe con gli alunni e insegna canzoni della tradizione popolare: se questo avviene è perché lo si è programmato attentamente, anche con l’apporto del parere di tutte le famiglie e nel rispetto pieno delle sensibilità di tutti, a partire da quelle delle minoranze di non credenti (che sono sempre di più e sempre più consapevoli dei propri diritti e autorevoli nel rivendicarli).

Organizziamo ogni anno visite alla moschea di Monte Antenne e alla Sinagoga sul Lungo Tevere, anche queste attentamente programmate e preparate, in collaborazione fra docenti di classe e docenti di Religione cattolica, con studio dei fatti storici, del significato dei  riti  religiosi che vi si svolgono, degli aspetti  artistici e  culturali che tali luoghi assumono, in relazione alle professioni  religiose che li hanno voluti ed edificati.

In occasione di commemorazioni (vedi la giornata della memoria, ma non solo) si organizzano incontri con testimoni e personalità di varie religioni e appartenenze culturali.

Frequentissime sono le visite di istruzione a luoghi storici e a luoghi  d’arte (e quindi a Chiese, Musei, Gallerie, Monasteri..) che grondano di storia e di  cultura cristiana.

I bimbi delle elementari sono ancora molto piccoli, ma riusciamo a leggere qualche pagina di Dante, di Manzoni, di poeti e filosofi, anche non italiani, che parlano di aspetti legati alla fede e alla dimensione religiosa propria della natura umana.

 

Ieri, invece, abbiamo avuto una calda discussione con una impiegata, perché nei locali di segreteria è appeso un crocefisso che E. non intende togliere, perché “c’è sempre stato! perché quelli di sinistra  mi devono imporre di levarlo?, perché da quando sono arrivati loro, gli stranieri, devo cedere sui simboli della mia fede?” .

Nessuno, ovviamente, glielo impone, ma alcune colleghe le hanno fatto notare che quella non è casa sua ma è “la casa di tutti” e che, se proprio vuole, potrebbe tenere il crocifisso sul suo tavolo.

Non vi è stato verso di ragionare con serenità: si profilava uno scontro al quale tutti, ragionevolmente, hanno posto fine, non avendo alcun interesse a ribadire posizioni ideologiche ed essendo, in fondo, l’ufficio di segreteria un luogo non aperto al pubblico.   

Cito però l’episodio per far capire come sia molto complesso ragionare di  laicità e di pluralismo delle idee, quando i simboli religiosi non rappresentano più la “propria” fede, ma diventano bandiere ideologiche a cui tanti adulti legano le proprie sicurezze e identità.

 

E allora tocca proprio alle Scuole, luoghi in cui si educa alla tolleranza e all’incontro fra diversità rilanciare la riflessione sul fatto che nelle “case di tutti” si deve imparare a convivere, a partire dai valori che ci unificano e che sono indiscutibili: l’uguaglianza, la libertà di pensiero, il rispetto delle persone fisiche, la tutela della vita e la garanzia del lavoro, il diritto all’istruzione, alla cura della salute, all’abitare, ad essere giudicati secondo la legge che è uguale per tutti….

 

Chi professa una fede in modo sincero, in genere, è un ottimo compagno di strada per costruire una società più accogliente e giusta.

Non altrettanto, purtroppo, si può dire di chi strilla la propria appartenenza religiosa e culturale, spesso sganciandola dalla coerenza degli atti quotidiani di vita e dalle scelte di politica concreta.

Non altrettanto si può dire di chi fa dell’ostensione della croce uno strumento di prevaricazione sugli altri o di chi grida “possono morire!!(ma chi?), ma noi il crocifisso non lo togliamo!”.

Non altrettanto si può dire di chi difende l’ostensione del crocifisso, ma poi si fa bandiera del grido egoista “Respingiamoli!!” di fronte ai poveri della terra che fuggono da guerre e miserie o pensa che si possa portare la pace in  scenari  territoriali complessi attraverso azioni o e strumenti di guerra.

 

Gesù Cristo è per molti, anche non credenti, il simbolo dell’umanità sofferente e perseguitata per essersi opposta al conformismo, al potere religioso tradizionale, alla ritualità che prevale sul servizio all’uomo, alle divisioni e alle separazioni fra uomini e donne, ebrei e “stranieri”, credenti nel dio di Abramo e pagani, all’uso della forza per vincere sui “nemici”…

In questo Cristo, come in tanti altri uomini e donne che sono stati e sono profeti di pace ci si può riconoscere, anche provenendo da altre culture e scelte (atei, non credenti, credenti in altre fedi).

 

Serve  a questo appendere una croce di legno sui muri dei luoghi pubblici?

Serve a questo faticoso e fecondo cammino di confronto un simbolo imposto o non serve di più portare le proprie fedi  dentro di sé e testimoniarle quotidianamente, con tenacia e volontà sincera di incontro?

A chi vuole ragionare e non pretende di  “vincere”, la risposta.

 

* dirigente della scuola Iqbal Masih di Roma

            

          

                                       Simonetta Salacone

                                 chiamalascuola@gmail.com

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