IA e Alzheimer: metodi quantitativi per diagnosi migliori

Eleonora Maglia analizza il ruolo ed i vantaggi dell’Intelligenza Artificiale nel chiarire i meccanismi alla base dello sviluppo iniziale del Morbo di Alzheimer e nel migliorare le diagnosi strumentali in caso di demenze degenerative. Considerando l’incidenza crescente di malattie come l’Alzheimer e i relativi costi sanitari e socio-assistenziali, Maglia argomenta che la tecnologia può migliorare la qualità della vita dei pazienti e che gli algoritmi di IA possono favorire il monitoraggio delle forme neurologiche croniche e progressive e alleggerirne gli impatti sociali.

Secondo il Rapporto Mondiale Alzheimer, due persone su tre ritengono che la demenza sia la normale conseguenza dell’invecchiamento e una persona su quattro crede che non vi sia alcuna possibilità di prevenzione a riguardo (ADI, 2019, L’atteggiamento verso la demenza). Queste e altre credenze errate sul tema non sono prive di conseguenze perché concorrono a creare uno stigma sociale complessivamente negativo verso il disturbo e costituiscono, a livello individuale o familiare, un freno alla richiesta di informazioni e di assistenza medica utili al contenimento o al lenimento della malattia e, a livello sociale, un freno ai fondi stanziati per le cure e l’assistenza (Barbarino P., 2019, Commento dei risultati del Rapporto Mondiale Alzheimer). Nonostante attualmente le demenze costituiscano un insieme di patologie non guaribili, che coinvolgono in modo globale e progressivo le persone colpite, e nonostante i farmaci ad oggi utilizzabili nel trattamento (come inibitori delle colinesterasi, neurolettici, benzodiazepine) abbiano un valore terapeutico limitato (Vanacore et al., 2019, Epidemiologia della demenza, Centro Nazionale di Epidemiologia, Sorveglianza e Promozione della Salute), infatti è stato recentemente dimostrato che i pazienti con Alzheimer hanno ad esempio la capacità di attivare una risposta cerebrale antiossidante efficace per far fronte allo stress ossidativo, tanto da opporre una resistenza innata alla neuro degenerazione causata dal morbo (University of Texas Medical Branche et al., 2020, Oxidative damage and antioxidant response in frontal cortex of demented and non-demented individuals with Alzheimer’s neuropathology).

Alla luce di ciò, in questo articolo si tenta di contribuire ad una corretta conoscenza del tema, focalizzandosi in particolare -sulla base della letteratura scientifica anche in ambito neurologico consultata allo scopo- sul ruolo che le tecnologie e più in particolare l’Intelligenza Artificiale possono offrire nell’anticipare e nel migliorare le diagnosi da un lato e, d’altro lato, nel consentire standard elevati nella qualità di vita dei pazienti, dei familiari e dei care-giver.

INTELLIGENZA ARTIFICIALE E TEORIE UNIFICATE. Tuttora i meccanismi dell’Alzheimer vengono progressivamente chiariti anche grazie all’impiego di modelli d’Intelligenza Artificiale, come è il caso degli studi condotti presso l’Università Campus Bio-Medico di Roma, l’Irccs e l’Università di Shaffield che hanno dimostrato come il malfunzionamento dell’area tegmentale ventrale (VTA) possa essere uno dei primi eventi associati al Morbo (Silvetti D. et al, 2020, Computational Modeling of Catecholamines Dysfunction in Alzheimer’s Disease at Pre-Plaque Stage). Nell’insieme, i sistemi di Intelligenza Artificiale si dimostrano in grado di offrire teorie unificate che progressivamente integrino le conoscenze sulla malattia e delineino uno schema interpretativo di quadri altamente complessi. Ad esempio, la diagnosi tradizionale utilizza lo strumento della risonanza magnetica per stimare il grado di atrofia cerebrale considerando prima l’area dell’ippocampo (che è coinvolta in modo preminente dalla neuro-degenerazione sin dall’esordio della malattia) e poi l’intero volume cerebrale e il volume della sostanza grigia (perché aree più grandi consentono una quantificazione del volume più precisa), ma si tratta però di una stima di tipo qualitativo che richiede alto dispendio di tempo, moderata sensibilità e bassa specificità (Goddi A., 2020, DA e IA #5, Morbo di Alzheimer e Intelligenza Artificiale, Salute & Benessere), a ciò può supplire il ricorso a metodi automatici di analisi e calcolo delle variazioni volumetriche dell’encefalo. Tra questi si segnalano l’algoritmo di IA basato su processi matematici di deep learning, che analizza automaticamente le immagini RM 3D dell’encefalo, differenzia le varie porzioni anatomiche cerebrali, le segmenta e ne calcola il volume in modo riproducibile, evitando la variabilità intra e inter-operatore (Centro SME, Intelligenza artificiale e Neuro-imaging).

I NUMERI PRESENTI E PROSPETTICI DELLE DEMENZE. La necessità di investire nella prevenzione e nella definizione di strumenti diagnostici il più possibile accurati, che vadano ad integrare gli interventi sugli stili di vita adottati (ad esempio obesità, tabagismo e inattività fisica sono fattori di rischio associati all’insorgenza di DA e modificabili), oltre alle reti qualificate di servizi, si ravvisa nei numeri presenti e prospettici sul tema demenze. In proposito, si stima che le persone affette da demenza siano 50 milioni nel mondo e che, nel 2050, ammonteranno a 152 milioni, con un nuovo caso diagnosticato in media ogni 4 secondi, una sopravvivenza media di 4/8 anni dopo la diagnosi e un costo annuo complessivamente pari a 604 miliardi di dollari (Alzheimer’s Disease International, 2019, World Alzheimer Report). In Europa, si stima che il 54 per cento delle demenze sia rappresentata dal Morbo di Alzheimer (DA), con una prevalenza nella popolazione ultra-sessantacinquenne e un tasso di incidenza che nelle donne è pari a 69,7 per mille anni-persona nella fascia di età 90+ anni (negli uomini è pari a 20 casi). In Italia, dagli anni ‘80 vengono condotti studi per stimare l’incidenza e la prevalenza della DA sulla popolazione, con approcci a più fasi (interviste sulla presenza di eventuali segni e sintomi della malattia e visite per conferma diagnostiche in caso di Mini-Mental State Examination MMSE <24 o pre-esistenti diagnosi familiari), come il progetto ILSA-Italian Longitudinal Study of Aging che ha il pregio di valutare anche fasce di età in cui la DA non è prevalente (65-84 anni), da tutto ciò risulta un’incidenza grezza di 7 casi per mille anni-persona, 9,3 per le donne e 5 per gli uomini (Vanacore et al., 2019, Epidemiologia della demenza, Centro Nazionale di Epidemiologia, Sorveglianza e Promozione della Salute).

ALZHEIMER, TRA INDICE DI VECCHIAIA E COVID-19. L’Italia è tra i paesi con un maggior numero di anziani e le proiezioni demografiche su dati Istat mostrano che, con la progressione aritmetica vigente, l’indice di vecchiaia nel 2051 potrebbe raggiungere la quota di 280 anziani ogni 100 giovani. Di conseguenza, sono e saranno in aumento tutte le malattie croniche, come appunto le demenze che sono positivamente correlate all’età. In più, tra i decessi per Covid-19, risultano affetti da demenza il 19 per cento dei casi, dato che l’età è il principale fattore di rischio per la demenza e gli anziani sono il gruppo più a rischio di contrarre il virus (Alzheimer’s Disease International, 2020, Impact and mortality of Covid-19 on people living with dementia cross-country report). Per ciascuno dei pazienti attuali o futuri si stimano [1] un costo medio annuo per paziente di 42.235 euro, [2] un costo medio totale per l’assistenza di 39.321,45 euro, [3] oltre a spese farmacologiche e spese per attrezzature meccaniche e per modifiche nelle abitazioni che nel 54 per cento dei casi incidono concretamente sui bilanci familiari. Tutti questi valori sono positivamente correlati all’aggravarsi della demenza, che può arrivare a richiedere anche 22 ore/die di sorveglianza, con oneri che ricadono per il 46,3 per cento sul Sistema Sanitario Nazionale e per il 53,7 per cento sui privati coinvolti (Gambina G. et al., 2019, Social Cost Analysis of Home Care Alzheimer’s Patients). In proposito, la tecnologia non solo corrobora diagnosi precoci ma concorre anche ad una migliore assistenza per i pazienti e per i care-giver, ad esempio grazie al machine learning e alla domotica che alleggeriscono l’impatto sociale e a tutti gli strumenti che possono abbattere fortemente il grado di disabilità dei malati, anche aumentando il grado di consapevolezza dei care-giver oppure alla tecnologia IoT che, con sistemi intelligenti integrati, ottimizza la gestione della malattia (Marino D. 2020, IA contro l’Alzheimer, tutti gli strumenti in campo, Sanità Digitale).

Nonostante la pandemia e la necessaria attenzione sanitaria e mediatica al Covid-19, anche le patologie pre-esistenti continuano ad incidere negativamente sulla qualità della vita e sulla sostenibilità dei sistemi sanitari e socio-assistenziali. In tutto ciò l’Intelligenza Artificiale è stata valutata per accertarne il valore diagnostico nella diagnosi precoce (Niemantsvedriet et al., 2018, Alzheimer’s Disease) ed i risultati dimostrano che le misurazioni discriminano i gruppi di pazienti con diversi stadi evolutivi della malattia dai soggetti anziani con conservato stato cognitivo, anche dieci anni prima con un’accuratezza dell’84 per cento (La Rocca et al., 2017, AI spots Alzheimers brain changes years before symptoms emerge, New Scientist): un’arma in più a favore di diagnosi precoci, di rallentamenti nell’evoluzione della malattia e di una migliore qualità di vita dei malati.

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