I ventuno indicatori e i colori delle regioni

Ventuno indicatori, altrettante soglie di allerta, due algoritmi (di probabilità e di impatto), una matrice di attribuzione del rischio e ‘automaticamente’ si otterrebbe il colore delle regioni, con quello che ne seguirebbe in termini di chiusure, aperture, spostamenti, seconde case, didattica a distanza. Giorgio Alleva e Alberto Zuliani ci spiegano che non è proprio così. C’è molto mestiere, magari utile, nel sistema ma poca trasparenza. È ormai necessario procedere alla ridefinizione di un set di indicatori pertinenti per una corretta e tempestiva valutazione del rischio epidemico.

Valutazione del rischio epidemico. Un sistema complesso: ventuno indicatori, altrettante soglie di allerta, due algoritmi (di probabilità e di impatto), una matrice di attribuzione del rischio epidemico da Covid-19 e si ottiene il colore delle regioni – bianco, giallo, arancione e rosso – con quello che ne segue in termini di chiusure, aperture, spostamenti, seconde case, didattica a distanza. Sono i contenuti del decreto del Ministro della salute del 30 aprile 2020 che detta i criteri per determinare l’intensità delle misure di contenimento da adottare localmente (prospetto 1). Funziona bene? Non proprio. Il sistema presenta diverse debolezze. Sembra necessario procedere a una sua ridefinizione che consenta di prendere decisioni fondate e tempestive rispetto all’evoluzione dell’epidemia.

Sei indicatori sono orientati a cogliere la capacità di monitoraggio; altri sei la capacità di accertamento diagnostico; gli ultimi nove l’intensità di trasmissione del virus e la tenuta dei servizi sanitari. Cinque sono definiti ‘opzionali’ in quanto “relativi a flussi di sorveglianza non attualmente attivi” e, Invece, alcuni sarebbero interessanti, come ad esempio: numero di strutture residenziali socio-sanitarie rispondenti settimanalmente a una checklist le quali presentano almeno una criticità; numero di accessi al pronto soccorso con classificazione ICD-9 compatibile con quadri sindromici riconducibili a Covid-19. Non si comprende perché le regioni non siano state sollecitate alla loro produzione. Altrimenti, ci si deve chiedere per quale motivo siano stati indicati nel decreto.

I quattro indicatori effettivi della capacità di monitoraggio sembrano orientati a valutare l’accuratezza nella compilazione dei formati di presa dati e di accettazione ospedaliera piuttosto che la reale evoluzione dell’epidemia.

Riguardo alla capacità di accertamento diagnostico, il primo indicatore invita a escludere “per quanto possibile” le attività di screening e il re-testing, un modo singolare per dettare una regola da seguire per la rilevazione; un comportamento difforme nel tempo e nello spazio limita le possibilità di confronto. Gli indicatori 2.4 e 2.5 necessiterebbero di una definizione circostanziata che consentisse realmente di procedere a una loro stima sensata. In ogni caso, ambedue e anche l’ultimo indicatore 2.6 sono riferiti ad attività neglette lungo tutto il corso dell’epidemia e quindi poco documentabili.

Riguardo, infine, all’intensità di trasmissione del virus e alla tenuta dei servizi sanitari, quattro indicatori, uno dei quali opzionale, sono riferiti al numero di contagiati secondo differenti classificazioni e con riferimenti temporali disomogenei; un altro all’insorgere di nuovi focolai. Gli ultimi tre sono rilevanti: tasso di occupazione di posti letto in area medica e rispettivamente in terapia intensiva da parte di pazienti Covid-19 e Rt, indice di trasmissione del contagio.

Gli indicatori prescindono dalla dimensione demografica delle regioni che invece, per alcuni di essi, sarebbe necessario considerare; non viene assegnato loro un peso ai fini della sintesi da effettuare, nonostante abbiano sostanza molto diversa.

Prospetto 1 – I ventuno indicatori

CodiceDescrizioneSoglia di allerta
                                 Capacità di monitoraggio
1.1Frazione di casi sintomatici notificati per i quali sia stata indicata la data di inizio dei sintomi, per mese> 60%
1.2Frazione di casi ospedalizzati in reparti diversi dalla terapia intensiva per i quali sia stata indicata la data di ricovero, per mese>60%
1.3Frazione di casi ospedalizzati in reparti di terapia intensiva per i quali sia stata indicata la data di ricovero o trasferimento, per mese>60%
1.4Frazione di casi notificati per i quali sia stato indicato il comune di domicilio o residenza, per mese>60%
1.5Numero di checklist somministrate settimanalmente a strutture residenziali socio-sanitarie (opzionale)<50%
1.6Numero di strutture residenziali socio-sanitarie rispondenti alla checklist settimanalmente con almeno una criticità riscontrata (opzionale)>30%
                  Capacità di accertamento diagnostico, indagine e gestione
2.1Percentuale di tamponi positivi escludendo per quanto possibile le attività di screening e il re-testingTrend in aumento in ospedali e pronto-soccorsi
2.2Tempo mediano intercorso fra la data di inizio dei sintomi e quella di diagnosi, per settimana>5 giorni
2.3Tempo mediano intercorso fra la data di inizio dei sintomi e quella di isolamento, per settimana (opzionale)>3 giorni
2.4Numero, tipologia professionale e tempo/persona dedicati al contact-tracingNon adeguato allo standard europeo
2.5Numero, tipologia professionale e tempo/persona dedicati al prelievo/invio ai laboratori e monitoraggio dei contatti stretti e dei casi in quarantena e isolamentoNon adeguato allo standard europeo
2.6Frazione di casi confermati di infezione per i quali sia stata effettuata una regolare indagine epidemiologica con ricerca dei contatti strettiTrend stabile o in peggioramento

(target finale auspicato: 100%)

                       Stabilità di trasmissione e tenuta dei servizi sanitari
3.1Numero di casi negli ultimi 14 giorniIn aumento negli ultimi 5 giorni
3.2Rt>1 o non calcolabile
3.3Numero di casi riportati alla sorveglianza sentinella Covid-net, per settimana (opzionale)In aumento negli ultimi 5 giorni
3.4Numero di casi per data di inizio sintomi e di diagnosi, per giornoIn aumento nell’ultima settimana
3.5Numero di nuovi focolai di trasmissioneEvidenza di nuovi focolai negli ultimi 7 giorni
3.6Numero di nuovi casi non associati a catene di trasmissione noteValutazione del rischio ad hoc
3.7Numero di accessi al pronto soccorso riconducibili a Covid-19 (opzionale)In aumento in più del 50% dei pronto-soccorsi
3.8Tasso di occupazione dei posti letto di terapia intensiva da parte di pazienti Covid-19>30%
3.9Tasso di occupazione dei posti letto di area medica da parte di pazienti Covid-19>40%

Il decreto ministeriale indica le ‘soglie di allerta’ per ciascuno degli indicatori. Talvolta si tratta di livelli puntuali; ad esempio, per il tasso di occupazione dei posti letto in terapia intensiva da parte di pazienti Covid-19, il 30%; altri assumono un riferimento storico, ad esempio: numero di casi in aumento nell’ultima settimana. La sostanziale arbitrarietà nella definizione delle soglie è stata criticata da Cottarelli et al. (Cottarelli C., Gottardo G., Olivari S., Come fanno le regioni a finire in zona rossa? Chiariamo i 21 indicatori, OCPI, 16 novembre 2020).

Su due soglie vale la pena di soffermarsi. Relativamente a numero, tipologia professionale e tempo/persona dedicati rispettivamente a: i) contact-tracing e al ii) prelievo/invio ai laboratori e monitoraggio dei contatti stretti e dei casi in quarantena e isolamento, le soglie sono definite così: “progressivamente allineato con gli standard raccomandati a livello europeo”. Lo standard al quale ci si riferisce, stimato dallo European Centre for Disease Prevention and Control, è così enunciato: “non meno di una persona ogni 10.000 abitanti includendo le attività di indagine epidemiologica, il tracciamento dei contatti, il monitoraggio dei quarantenati, l’esecuzione dei tamponi […], il raccordo con l’assistenza primaria, il tempestivo inserimento dei dati nei diversi sistemi informativi”. Viene precisato, poi, che “È necessario garantire, da parte dei Dipartimenti di prevenzione e dei Distretti sanitari, il mantenimento dei livelli di erogazione dei rimanenti servizi ordinari (ad es. screening, vaccinazioni)”. La frase si presta a due interpretazioni: o in precedenza i servizi erano inefficienti, oppure è una clausola di stile, simile a quella ormai abusata nella normativa recente ‘senza oneri ulteriori per la finanza pubblica’ che insinua il disinteresse al risultato.

Vengono quindi descritti due algoritmi per la valutazione della probabilità di infezione/trasmissione e dell’impatto sul sistema sanitario i cui risultati, combinati in modo meccanico, fornirebbero il livello del rischio epidemico regionale. Fin qui il decreto.

Sul sito dell’Istituto superiore di sanità è presentata una sintesi del percorso valutativo (prospetto 2). Gli indicatori vengono risistemati rispetto a tre dimensioni, due delle quali – probabilità di diffusione e impatto – coerenti con l’indicazione del decreto ministeriale; la terza, nuova, denominata ‘resilienza territoriale’. Viene segnalata una verifica di qualità per quattro di essi; si dovrebbe trattare di quelli riferiti alla capacità di monitoraggio, anche se non viene detto esplicitamente.

Seguendo il processo delineato nel prospetto e le indicazioni contenute nel decreto ministeriale, si possono fare le considerazioni seguenti.

Probabilità di diffusione: lo schema del prospetto non collima con l’algoritmo descritto nel decreto ministeriale. L’aumento dei casi rispetto alla settimana precedente sembra non tenere conto della dimensione né del contagio né della popolazione della regione. L’aumento eventuale di focolai e la capacità di effettuare il tracciamento introducono elementi di arbitrarietà nell’acquisizione delle informazioni corrispondenti. L’indicatore centrale è rappresentato da Rt che, se superiore a uno (o non è calcolabile), dà un segnale di allerta. Ogni volta che Rt è comunicato dall’Istituto superiore di sanità viene ripreso dai media come elemento fondamentale di preoccupazione o conforto e soprattutto come prova della bontà degli interventi operati nelle settimane precedenti o come indizio di quelli da assumere successivamente. Viene comunicato come stima puntuale e trattato usualmente come se fosse deterministico, mentre sconta un errore statistico abbastanza grande che si amplifica al livello regionale (per una esposizione del metodo di calcolo si può vedere: Guzzetta G. e Merler S., 2020, Stime della trasmissibilità di SARS-CoV-2 in Italia; https://www.epicentro.iss.it/ coronavirus/ open-data/rt.pdf).

Impatto: l’algoritmo descritto nel decreto ministeriale è sostanzialmente rispettato. I due indicatori centrali sono le percentuali di occupazione di posti letto, rispettivamente in area medica e in terapia intensiva, da parte di malati Covid-19, con soglie di allerta pari rispettivamente a 40% e 30%. Dati altrettanto importanti sarebbero le percentuali di occupazione dei posti letto da parte di pazienti con patologia qualsiasi.

Resilienza territoriale: è la dimensione più debole fra le tre considerate, giustificatamente aggiuntiva. Vengono considerati l’aumento del tasso di positività al tampone, fortemente legato al numero di accertamenti effettuati (di regola, maggiore il numero di accertamenti, minore il tasso di positività); il tempo mediano intercorso fra sintomi e diagnosi; la presenza adeguata di risorse umane per tracciamento, monitoraggio di quarantene, raccordo con assistenza primaria e interesserebbe sapere se queste attività siano realmente effettuate; capacità di effettuare indagini epidemiologiche e anche in questo caso interesserebbe sapere se e con quale frequenza e approfondimento siano svolte.

La sensazione conclusiva è che la classificazione delle regioni per classe di rischio epidemico si basi essenzialmente su: progredire dei contagi, occupazione da parte di pazienti Covid-19 dei reparti ospedalieri ordinari e di terapia intensiva e, in modo forse non principale, indice Rt. In una fase di aumento dei contagi, i colori assegnati alle regioni non possono che essere coerenti con l’evoluzione dell’epidemia, ma l’analisi si presta poco a sostenere iniziative mirate a scale territoriali più fini. In ogni caso, una maggiore trasparenza gioverebbe.

Prospetto 2 – Schema di valutazione del rischio epidemico di Covid-19 nelle regioni

Qualità dei dati. Il processo di acquisizione dei dati ha inizio nelle aziende sanitarie locali, in quelle ospedaliere e nei laboratori di riferimento. I dati vengono inviati alle autorità regionali; per loro tramite e in qualche caso direttamente, vengono trasmessi all’Istituto superiore di sanità, al Dipartimento della protezione civile, al Ministero della salute. Le definizioni e classificazioni adottate per la selezione degli elementi da raccogliere non sono sempre nitide. Alcune sono state affinate nel corso del tempo mano a mano che venivano in evidenza interpretazioni variabili. Non risulta che siano effettuati controlli di qualità in fase di raccolta dei dati. A livello centrale, collettore finale del flusso informativo, qualche controllo viene effettuato; se ne è avuto un indizio a gennaio 2021 allorché è sorto il contenzioso sull’indice Rt fra Ministero della salute e Istituto superiore di sanità da una parte e Regione Lombardia dall’altra. Dubbi sulla qualità sorgono analizzando alcuni dati resi disponibili. Ad esempio, è troppo elevato il numero di contagiati per i quali non è presente l’informazione sulla data di inizio dei sintomi. La registrazione dei positivi ai test rapidi appare poco accurata: fra il 15 gennaio e l’8 marzo 2021, in Sicilia su 809.029 test rapidi somministrati non risulta segnalato alcun caso positivo (sui tamponi molecolari, invece, il tasso di positività è risultato pari a 8,7%, il più alto fra tutte le regioni autonome); in Abruzzo nessun positivo su 291.013 test rapidi; così anche in Umbria su 136.259 test, in Liguria su 121.931 e nelle Marche su 73.926. La resistenza a rendere disponibili alla comunità scientifica i dati individuali resi anonimi è un altro indizio che possano esserci problemi di qualità.

Tempestività dell’informazione a sostegno delle misure di contenimento. L’estensione e la rapidità di diffusione del contagio verificate finora e la loro accentuazione per le varianti che si sono presentate negli ultimi mesi impongono di adottare misure di contenimento immediate. Le regioni hanno lamentato che il passaggio da una colorazione a un’altra ritenuta ‘punitiva’ venisse deciso sulla base di dati vecchi. Se giunti in tempo, le misure restrittive sarebbero state prese precedentemente. Non si capisce, quindi, il senso del contenzioso. In ogni caso, la tempestività deve essere un parametro essenziale nelle fasi di raccolta, controllo ed elaborazione dei dati.

Alcune spie rosse dovrebbero allertare in tempo ‘quasi reale’. I dati necessari possono essere raccolti oltre che attraverso gli ospedali, mediante i medici di base e tramite i tracciamenti.

I dati provenienti dagli ospedali sembrano essere tempestivi e, infatti, sono una componente essenziale della valutazione del rischio epidemico.

Il sistema della medicina territoriale rappresenta un’opportunità informativa interessante. Ai medici di base e ai pediatri di libera scelta le persone si indirizzano alla comparsa di sintomi di qualsiasi natura ed essi sono in grado di riconoscere quadri sindromici riconducibili a Covid-19 e di darne comunicazione immediata (sono quasi tutti in rete), segnalandone i livelli di gravità. Se non si riuscisse a gestire il flusso informativo per l’intero sistema ci si potrebbe riferire a un campione rappresentativo territorialmente. In effetti, fra i nove indicatori riferiti all’intensità di trasmissione del virus e alla tenuta dei servizi sanitari è compreso ‘Numero di casi riportati alla sorveglianza sentinella Covid-net’ basato proprio su una rete di medici di base con adesione volontaria. Purtroppo, esso è indicato come opzionale ed esplorando i siti del Ministero della salute e dell’Istituto superiore di sanità non si trovano dati.

I tracciamenti possono segnalare l’emergere di focolai le cui componenti sono la densità e appunto la catena di trasmissione. Sui tracciamenti originati dalle segnalazioni delle persone positive ai test e sulle app specifiche si è investito molto poco.

Conclusioni. È ormai tempo di ridefinire un set di indicatori pertinenti per una corretta e tempestiva valutazione del rischio epidemico. Dovrebbe essere predisposto un quadro definitorio non ambiguo. Gli operatori addetti alla raccolta e alla trasmissione dei dati dovrebbero essere selezionati e formati opportunamente. Andrebbero previsti controlli di qualità, anche a campione. Dovrebbero essere valorizzati i big data e in generale le tecnologie (Alleva G. e Zuliani A., Orientarsi nella pandemia Covid-19: i dati necessari, Bancaria, n. 6, 2021). Le valutazioni sarebbero più fondate e sperabilmente trasparenti. Si avrebbe una maggiore uniformità di comportamenti da parte delle regioni. Si accrescerebbe la fiducia dei cittadini nelle istituzioni, necessaria per uscire al più presto dall’epidemia.

 

*I due autori, fin da marzo 2020, con articoli su riviste, interventi sui media e interviste, sono impegnati a promuovere la progettazione di un sistema informativo multi-fonte su Covid-19, a sostegno della comprensione e delle decisioni.

Schede e storico autori