I riders e la legge

Stefano Giubboni analizza e commenta le regole recentemente introdotte dalla legge n. 128/2019 a tutela dei riders delle piattaforme digitali. Riallacciandosi ad un suo precedente intervento pubblicato nel numero 101 del Menabò, Giubboni dà un giudizio sostanzialmente positivo sulle scelte compiute dal legislatore italiano, che in anticipo su altri Paesi, dove pure il fenomeno è più diffuso, opta per un modello di tutela largamente mutuato dall’apparato protettivo del lavoro subordinato, ancorché ad esso non del tutto sovrapponibile.

1. Con la recente conversione del decreto-legge n. 101/2019, il legislatore italiano interviene, in anticipo su altri Paesi dove pure il fenomeno è più diffuso e radicato, per dettare una serie di regole minime di tutela in favore dei cosiddetti riders delle piattaforme digitali. La legge n. 128/2019 si muove, a tal fine, in due direzioni tra di loro complementari: da un lato, modificando in senso estensivo (con una riformulazione dell’articolo 2 del decreto legislativo n. 81/2015) la nozione di collaborazioni etero-organizzate dal committente, cui è applicabile – per intero – l’apparato protettivo del lavoro subordinato (salve le deroghe consentite alla contrattazione collettiva); dall’altro, disegnando (con l’introduzione di un nuovo capo V-bis nel corpo di tale ultimo decreto) una specifica disciplina, di natura residuale e (in parte) suppletiva, a favore dei «lavoratori autonomi che svolgono attività di consegna di beni per conto altrui, in ambito urbano e con l’ausilio di velocipedi o veicoli a motore di cui all’articolo 47, comma 2, lettera a), del codice della strada, di cui al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, attraverso piattaforme anche digitali» (secondo la definizione ora per l’appunto contenuta nel primo comma del nuovo articolo 47-bis del citato decreto legislativo).

2. Il primo «movimento» è quello che ha suscitato le critiche più severe ed accigliate, soprattutto (ma non solo) da destra e dai nostalgici della para-subordinazione d’antan, come comoda via di fuga dalla disciplina del lavoro subordinato di cui evidentemente qualcuno sente già la mancanza. In effetti, con la riformulazione dell’articolo 2 del decreto legislativo n. 81/2015 il campo di applicazione delle collaborazioni coordinate e continuative, di carattere prevalentemente personale, sottratte alla disciplina del lavoro subordinato in virtù dell’articolo 409, n. 3, del codice di procedura civile, è destinato a subire un ulteriore, e forse definitivo, assottigliamento, per la simmetrica espansione della nozione di collaborazione etero-organizzata dal committente.

Oggi, infatti, per effetto della nuova previsione di legge, la etero-organizzazione (con il conseguente effetto estensivo della intiera disciplina del lavoro subordinato) ricorre anche in presenza di una collaborazione coordinata e continuativa solo «prevalentemente» – e non più, come prima, «esclusivamente» – personale, e – e si tratta forse della novità più incisiva – a prescindere dal fatto che essa si eserciti «anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro», come invece esigeva la vecchia formulazione, ora soppressa. Ne consegue – come è stato puntualmente osservato – che la nuova formulazione dell’articolo 2 del decreto legislativo n. 81/2015 produce, tra le altre cose, l’effetto di agevolare «la riconduzione dei rider all’area delle collaborazioni etero-organizzate in quanto la versione previgente poteva portare a escludere da quest’ultimo ambito i soggetti che liberamente scelgono la collocazione temporale della prestazione nell’ambito di fasce orarie indicate dal committente e non risultano vincolati a seguire un percorso predeterminato» (Adalberto Perulli).

3. In ciò, peraltro, la legge n. 128/2019 asseconda una linea già emersa, sia pure non senza contrasti, nella prima giurisprudenza di merito sui riders delle piattaforme digitali, ed in particolare nella nota sentenza della Corte di Appello di Torino sul caso Foodora, che (seppure con una discutibile resezione delle tutele applicabili) aveva ricondotto il rapporto in questione alla previsione dell’articolo 2 del decreto legislativo n. 81/2015.

Nell’attesa che su questo caso si pronunzi la Corte di Cassazione, l’intervento estensivo della legge n. 128/2019 contribuisce, anzi, a fare chiarezza sui due aspetti più dibattuti di tale previsione normativa: da un lato, ribadendo che si è in presenza di una norma che – senza incidere, neppure indirettamente, sulla fattispecie «lavoro subordinato», quale definita in generale dall’articolo 2094 del codice civile – si limita ad estendere, a collaborazioni che pur etero-organizzate restano di natura autonoma, l’apparato protettivo della subordinazione; dall’altro lato, dissipando ogni equivoco sul fatto che si tratta, per l’appunto, di una norma sostanziale di tutela – e non già di una «norma apparente», come qualcuno aveva sostenuto –, visto che produce il rilevantissimo effetto di imputare ai rapporti cui si riferisce (salvo il potere di deroga vincolata attribuito alla contrattazione collettiva) esattamente l’intera disciplina protettiva applicabile ai lavoratori subordinati.

4. Il secondo «movimento» è quello specificamente ritagliato sui riders che, non potendo essere qualificati come lavoratori subordinati e non rientrando (cosa, come detto, oggi più difficile) neppure nella sfera delle collaborazioni organizzate dal committente ai sensi dell’articolo 2 del decreto legislativo n. 81/2015, rientrino nel nuovo ambito di tutela (che è in tal senso residuale) congegnato dal capo V-bis del medesimo decreto, per l’appunto introdotto ex novo dalla legge n. 128/2019.

Anche tale aspetto della nuova disciplina di legge – senza dubbio il più innovativo, anche in un’ottica comparata – è stato fatto oggetto di numerose critiche, sia da destra (per la eccessiva rigidità della tutela in tal modo introdotta in favore dei riders autonomi), che, specularmente e come nella migliore tradizione italica, da sinistra (per l’opposta ragione che il legislatore avrebbe comunque lasciato un eccessivo spazio alla autonomia contrattuale, lasciando altresì aperta una serie di opportunità di fuga, o di exit, da norme protettive congegnate come residuali e, almeno in parte, anche come suppletive rispetto all’intervento della contrattazione collettiva).

5. Benché non del tutto infondate (specie le seconde, nell’ottica di chi scrive), tali critiche ci appaiono, tuttavia, quantomeno ingenerose, laddove non riconoscono quanto sarebbe giusto che – grazie alla legge n. 128/2019 – il quadro normativo del lavoro tramite piattaforma (di quello dei riders, come minimo) è oggi nettamente più chiaro e rigoroso di quanto non fosse ieri, con ampi spazi di manovra per le organizzazioni sindacali.

Il baricentro di tale nuovo quadro normativo è senz’altro costituito dalla previsione contenuta nell’articolo 47-quater, aggiunto al decreto legislativo n. 81/2015 in tema di (giusto) compenso. Vi si prevede (stabilendosi peraltro che la disposizione si applichi solo decorsi dodici mesi dall’entrata in vigore della legge di conversione) che i contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali e datoriali comparativamente più rappresentative a livello nazionale possono definire criteri di determinazione del compenso complessivo che tengano conto delle modalità di svolgimento della prestazione e dell’organizzazione del committente. Solo in difetto della stipula di tali contratti, i lavoratori di cui al già citato articolo 47-bis non potranno essere retribuiti a cottimo, cioè in base alle consegne effettuate, e ai medesimi lavoratori dovrà essere garantito un compenso minimo orario parametrato ai minimi tabellari stabiliti da contratti collettivi nazionali di settori affini o equivalenti sottoscritti dalle organizzazioni sindacali e datoriali comparativamente più rappresentative a livello nazionale.

Inoltre, ai riders autonomi deve essere garantita un’indennità integrativa non inferiore al 10 per cento per il lavoro svolto di notte, durante le festività o in condizioni meteorologiche sfavorevoli, determinata sempre dai detti contratti collettivi o, in difetto, con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali.

6. La legge n. 128/2019 completa poi l’apparato protettivo dei riders (salvo come ovvio il futuro intervento della contrattazione collettiva) con tutele imperative minime assai rilevanti. La più significativa – sul piano sostanziale e più immediato – è quella prevista dal nuovo articolo 47-septies del decreto n. 81, che estende a tali lavoratori la copertura dell’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali. La formulazione della disposizione è, anzi, particolarmente incisiva, laddove stabilisce che «i prestatori di lavoro di cui al presente capo sono comunque soggetti alla copertura assicurativa obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali prevista dal testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1965, n. 1124», dovendosi intendere che l’obbligo assicurativo, gravante sulla piattaforma committente, sussista sempre, a prescindere dalle condizioni e dai limiti previsti dagli articoli 1 e 4 del citato testo unico.Ma assai significative sono anche le norme in tema di tutela antidiscriminatoria, sulla forma del contratto (e più in generale sulla trasparenza e completezza delle informazioni sui termini del rapporto di lavoro) e sulla protezione dei dati personali, con generale richiamo della disciplina europea e nazionale sulla privacy. L’articolo 47-quinquies si spinge anzi oltre la tradizionale tecnica estensiva dei divieti di discriminazione a forme di lavoro autonomo, quali sono quelle regolate dal capo V-bis del decreto n. 81, giacché prescrive che ai lavoratori di cui all’articolo 47-bis si   applichino – per intero – la disciplina antidiscriminatoria e quella a tutela della libertà e dignità previste per i lavoratori subordinati, ivi compreso l’accesso alla piattaforma. Con un accenno – forse debole, ma nondimeno significativo – alla tutela (che può essere sicuramente risarcitoria ma, se del caso, anche ripristinatoria) contro l’illegittima esclusione del prestatore dalla piattaforma e le riduzioni delle occasioni di lavoro ascrivibili alla mancata accettazione della prestazione. 7. I critici di sinistra lamentano che la legge n. 128/2019 ha fatto troppo poco e che il legislatore avrebbe dovuto compiere una scelta ancor più coraggiosa nel senso di una estensione integrale della disciplina del lavoro subordinato. Gli oppositori da destra criticano, di converso, l’eccesso di rigidità delle tutele, specie in tema di compenso, paventando effetti destrutturanti sul mercato del lavoro delle nuove piattaforme digitali.Qui preferiamo più prudentemente sospendere il giudizio, rimandandolo alla prova dei fatti (e del resto opportunamente la legge istituisce un osservatorio), limitandoci per l’intanto a registrare che il legislatore ha seguito una ragionevole linea di compromesso tra le diverse istanze in gioco, dettando una tutela minima a favore dei riders di cui appariva francamente innegabile la necessità.

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