I problemi pratici ed etici delle spintarelle

Francesco Bogliacino, Cristiano Codagnone e Giuseppe A. Veltri discutono dei nudge (spintarelle), un recente approccio di politica economica che mira non ad alterare formalmente l’insieme delle opzioni a disposizione degli individui ma a modificare il contesto nel quale vengono prese le decisioni in modo da limitare il rischio di decisioni dannose per chi le assume e per la collettività. Gli autori esaminano in particolare gli aspetti di natura etica connessi all’utilizzo dei nudge e alcuni problemi che sorgono nella loro pratica applicazione.

Sulle pagine virtuali del Menabò, il tema del Nudge è stato introdotto da Eugenio Levi. Letteralmente, si tratterebbe dell’italiano gomitata, ma la traduzione più corretta è, probabilmente, spintarella; fu introdotto nel 2008 da un libro (oggi un bestseller) di R. Thaler e C. Sunstein (Nudge: improving decisions about health, wealth, and happiness. Yale University Press), in cui si discutevano politiche pubbliche, in tema di salute, protezione del consumatore e risparmio, basate sul principio dell’architettura della scelta, cioè dell’alterazione del contesto nel quale si prendono le decisioni.

Da un punto di vista teorico, le spintarelle trovano giustificazione nel dialogo ormai trentennale tra economia e psicologia cognitiva, che ha dato luogo alla cosiddetta Economia Comportamentale (Behavioural Economics). Oggi molti economisti vedono in quest’ultima l’opportunità per andare oltre il tradizionale approccio alla politica pubblica figlio della tradizione neoclassica in economia.

Secondo questo nuovo paradigma, si può concepire l’obiettivo del policymaker come quello di generare la situazione migliore effettivamente sperimentata dagli agenti, sotto il vincolo di dover avere a che fare con le decisioni prese dagli stessi (con un criterio decisionale secondo cui si sceglie secondo le preferenze che si crede di avere sotto opportuni vincoli di risorse), ma avendo a disposizione due strumenti: le tradizionali imposte (o sussidi) e i nuovi accorgimenti intorno alle situazioni concrete di scelta (Chetty, Behavioral economics and public policy: A pragmatic perspective, The American Economic Review, 2015). In conformità con questo approccio, la differenza tra le preferenze “coscienti” e quelle effettivamente esperite, è una internalità, cioè una conseguenza indiretta delle proprie decisioni che, a differenza delle esternalità (l’inquinamento, il chiasso, il fumo passivo ecc.), colpisce il decisore stesso e non terze persone.

Da un punto di vista etico, questo nuovo approccio portò nei primi anni 2000 a teorizzare il paternalismo libertario: un approccio orientato a spingere (nudge appunto) verso scelte migliori, senza formalmente alterare l’insieme delle opzioni a disposizione (Thaler e Sunstein, Libertarian Paternalism, American Economic Review, 2003).

Alla luce di nostre recenti riflessioni sul tema (The Behavioural Turn in Consumer Policy: Perspectives and Clarifications, Intereconomics, 2015 e An introduction to the special issue on “The behavioural turn in public policy: new evidence from experiments”, Economia Politica, 2016), cercheremo, in questo contributo, di chiarire i problemi concettuali legati alle spintarelle, di fronte all’uso semplicistico che ne viene fatto spesso nel dibattito sulle politiche pubbliche. In secondo luogo, presenteremo alcuni problemi etici legati ai nudge che sono ugualmente rilevanti nel contesto di un uso maggiore di questo approccio.

Una definizione teorica e una possibile tassonomia

Secondo la definizione originaria, una spintarella dovrebbe soddisfare tre criteri: 1) riguardare situazioni in cui le scelte individuali producono delle internalità negative per i consumatori; 2) non limitare le opzioni di scelta (quindi interventi ‘anti-regolatori’ e senza incentivi economici o sanzioni); 3) indirizzarsi a problemi comportamentali e non indotti da una condotta razionale (quindi non alla cognizione consapevole ma alle risposte immediate). Si noti che gli interventi, in questa accezione originale, si indirizzano al lato della domanda (consumatori) e non a quello dell’offerta (produttori e/o distributori di beni e servizi).

Tuttavia l’espressione è ormai comunemente usata per descrivere interventi fondati su incentivi finanziari, informazione aggiuntiva (che i produttori sono obbligati a fornire) e blocco delle scelte inappropriate; giustamente ci si chiede in che senso questi interventi differiscano da altre forme tipiche quali sussidi, campagne informative, e regolamentazione restrittiva (Kosters e Van der Heijden, From mechanism to virtue: Evaluating Nudge theory, Evaluation, 2015). Ad esempio, le etichette se ben disegnate possono servire per rendere salienti e di facile fruizione informazioni utili al consumatore e intuitivamente possono essere considerate un nudge (Codagnone, Veltri, Bogliacino, Lupiáñez-Villanueva, Gaskell, Ivchenko, Ortoleva, Mureddu, Labels as nudges? An experimental study of car eco-labels, Economia Politica, 2016). Tuttavia, etichette obbligatorie per i produttori richiedono una regolamentazione (violazione della condizione 2); alcune (es. quelle con informazioni su emissioni di CO2 e consumo di energia) mirano primariamente ad un risultato collettivo (esternalità e violazione della condizione 1); infine per quanto salienti e grafiche le etichette contengono informazioni che devono essere processate consapevolmente dai consumatori (violazione della condizione 3).

Probabilmente, nel passaggio dal contesto accademico sino a quello di ‘policy’, dalle prime applicazioni dei nudge sino alla loro estensione in molti domini di policy, la definizione iniziale è andata diluendosi perdendo rigore concettuale. È anche comprensibile vista una certa dose di “moda” che ha spinto molti attori di policy all’idea di applicare interventi di ‘architettura della decisione’ su temi molto diversi.

Una tassonomia recente di interventi di politica pubblica propone di identificare, da una prospettiva di Economia Comportamentale, tre classi, che permettono di sistematizzare l’uso un po’ confuso che si fa delle spintarelle nella loro applicazione pratica (Oliver, Nudging, Shoving, And Budging: Behavioural Economic‐Informed Policy, Public Administration, 2015). Riconoscendo che anche le imprese possono sfruttare le scoperte della scienza sociale sulle decisioni umane, si propone di chiamare Budge (letteralmente uno scossone) gli interventi dal lato dell’offerta, mentre le spintarelle (definite precedentemente) e i Shove (“spintone”) agirebbero dal lato della domanda.

Gli scossoni usano risposte regolatorie per bloccare l’uso di spintarelle da parte delle imprese. Se l’obesità induce costi sociali (esternalità), il “counter-nudge” per evitare che i consumatori caschino nei trucchi delle imprese si può considerare uno scossone; un altro esempio potrebbe essere l’obbligo per le imprese di mostrare punteggi ambientali comparativi, per indurre punti di riferimento nelle scelte dei consumatori. Gli spintoni sono risposte alla presenza di internalità indotte da deviazioni dalla razionalità, ma attraverso risposte regolatorie, come le limitazioni contro il fumo.

 

Table 1 Una tassonomia delle politiche comportamentali

Intervento Correzione Fonte Strumento
Nudge Internalità Deviazione dalla razionalità Architettura decisionale
Budge Esternalità Deviazione dalla razionalità Regolazione
Shove Internalità Deviazione dalla razionalità Regolazione

Dilemmi Etici

Il paternalismo libertario è una posizione per certi versi ingenua. Da una parte, problemi come l’inconsistenza dinamica, cioè il conflitto che emerge in “domani smetto di fumare”, tra l’io che pianifica dinamicamente di non cedere alla tentazione in futuro e l’io che viene attratto da quest’ultima quando si presenta, sono in realtà conflitti fra sistemi di preferenze e non è per nulla scevro di tensioni decidere quale io debba avere la precedenza. In altre parole, quando ci troviamo in situazioni dove l’esito del nudge è socialmente accettato, tipo riciclare ecc, possono non insorgere conflitti valoriali. Tuttavia ci sono tanti potenziali obiettivi di spintarelle che devono essere prima oggetto di deliberazione pubblica, altrimenti si impone un “bene comune” normativo che rispecchia relazioni di potere.

Dall’altra, sviluppi recenti dell’economia comportamentale hanno mostrato che fenomeni come la povertà agiscono come tasse cognitive, assorbendo capacità di ragionamento delle persone, perché la scarsità delle risorse mantiene un allarme perenne nella testa, incrementando la possibilità di sbagliare (Mullainathan e Shafir, Scarcity. Why Having So Little Means So Much, Times Books, 2013). Se è così, la scelta tra aggredire le conseguenze della povertà attraverso accorgimenti decisionali o le cause attraverso interventi strutturali diventa una questione empirica ed è possibile che la soluzione dipenda da caso a caso.

Abbandonando quindi le semplici risposte, e riconoscendo che le politiche pubbliche comportano scelte etiche difficili, è importante passare in rassegna quali sono le principali critiche di natura etica mosse alla teoria del nudge.

Da una prospettiva di scelta pubblica, i liberisti sospettano che l’argomento dell’irrazionalità sia una copertura per giustificare l’interventismo (e quindi l’accaparramento di risorse da parte del politico) e il sostegno degli economisti come un modo di proporsi come “consiglieri del Principe” (motivated reasoning). A sinistra, questi interventi sono denunciati come l’ultima forma del potere pastorale e della governamentalità (secondo la teoria di Foucault).

Tra le critiche di natura politica degna di particolare nota è quella secondo cui le spintarelle siano paraventi per evitare di nominare nel dibattito pubblico i problemi di uguaglianza sostanziale e diritti sociali. Questa critica è stata articolata in modo organico e compiuto soprattutto in relazione ai temi dell’accesso ai servizi sanitari (Public health in England: from nudge to nag, Editorial. Lancet, 2012). Le spintarelle sono denunciate come sia insufficienti di fronte alle fonti socio-economiche e strutturali che determinano le diseguaglianze nello stato di salute e nell’accesso ai servizi sanitari, sia dannose perché agiscono come una cortina di fumo per nascondere l’incapacità o la mancanza di volontà da parte del governo di affrontare questi problemi attraverso interventi più strutturali.

Una questione centrale è come tracciare la linea tra una ‘benigna’ definizione dell’architettura della scelta da un lato e l’introduzione di vincoli nascosti alle scelte (es. opzioni di default e consenso esplicito) o di aperta manipolazione dall’altro; per manipolazione si intende esercitare influenza sugli individui aggirando la loro capacità di ragionamento o attraverso elementi psicologici non razionali (ad esempio un nudge indirizzato alle emozioni per ottenere un determinato comportamento) o attraverso modalità di scelta modi non ovvi ed espliciti (ad esempio forme di silenzio-assenso non chiaramente esplicite).

 Una via d’uscita?

A nostro avviso la soluzione al dilemma è radicale dal punto di vista teorico e pragmatica dal punto di vista della politica pubblica.

Nel primo caso, bisogna evitare le interpretazioni evolutive che teorizzano le distorsioni e la irrazionalità come connaturate e piuttosto accettare che buona parte dei risultati sembrano indicare che i contesti sociali e culturali codeterminano le preferenze individuali e le regole decisionali. Questo riporta l’attenzione allo studio della coevoluzione delle preferenze e dei sistemi sociali, e quindi alla disuguaglianza, alle norme sociali, ma anche all’importanza dell’istruzione e dell’educazione come canali per correggere gli errori (Codagnone, Veltri, Lupiañez-Villanueva, Bogliacino, The challenges and opportunities of ‘nudging’, Journal of Epidemiology & Community Health, 2014; Rebonato, A critical assessment of libertarian paternalism. Journal of Consumer Policy, 2014).

Infine, in merito alle conseguenze pratiche di politica pubblica, è bene rinunciare alle pretese di trovare strategie semplici o che permettano evitare i conflitti. La politica pubblica è un triangolo di interessi strategici che si riflettono nel sistema politico, di valori che si riflettono nell’opinione pubblica e di evidenze che guidano la relazione tra autorità politiche ed epistemiche. Questo triangolo non si può ridurre né a uno dei suoi lati (valori, evidenza) né, tantomeno, a uno dei suoi vertici (evidenza), come la retorica tecnocratica cerca di fare. Possiamo solo sperare che l’apprendimento ci aiuti a spostare su di un terreno più razionale la scelta delle alternative, e agli scienziati possiamo chiedere di essere intermediari onesti (Pielke, The Honest Broker. Making Sense of Science in Policy and Politics, Cambridge University Press, 2007), ma mai illuderci sulla possibilità della verità al potere. In particolare l’uso di nudge necessita di legittimità, come ogni strumento di policy, anche se non è visibilmente riconducibile ad una istituzione dalla prospettiva del cittadino che ne è soggetto. Cosa debba essere influenzato da spintarelle varia sensibilmente dal relativamente non controverso al politicamente e socialmente controverso, pertanto la deliberazione sugli obiettivi non può rimanere opaca.

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