I possibili effetti del COVID-19 (e delle politiche per contenerli) sulle catene globali del valore italiane

Ilaria Fusacchia e Luca Salvatici osservano che sul valore delle esportazioni italiane incidono molto input esteri la cui fornitura è messa in pericolo dalle politiche anti-virus. Ciò potrà richiedere di limitare i rischi relativi a questi approvvigionamenti, ma la produzione autarchica è una pericolosa illusione. Inoltre, vista l’importanza dell’UE per le esportazioni italiane, come mercato finale e come piattaforma verso altre destinazioni, le aziende esportatrici possono beneficiare delle politiche fiscali espansive dei paesi dell’UE.

Lo scoppio di Covid-19 ha scatenato una crisi sanitaria inizialmente limitata alla regione di origine del virus, la Provincia di Hubei in Cina, prima di estendersi al resto del mondo. La reazione del governo cinese è stata forte, imponendo una quarantena agli 11 milioni di abitanti di Wuhan dal 23 gennaio, poi esteso alla Regione di Hubei. Ciò ha causato la riduzione o l’arresto temporaneo della produzione. Poiché i processi di produzione sono sempre più frammentati, con una proporzione crescente di fasi produttive che attraversa i confini nazionali, uno shock dell’offerta anche se concentrato può avere conseguenze ben oltre il suo epicentro. Mentre il virus si diffonde attraverso la mobilità delle persone, dal punto di vista economico lo shock si propaga attraverso i legami commerciali.

Dall’inizio degli anni Novanta, il mondo è entrato in una nuova fase della globalizzazione e la crescita del commercio di beni intermedi ha caratterizzato la diffusione delle catene globali del valore (Global Value Chains, GVC). Nelle GVC, le diverse fasi del processo produttivo sono effettuate da imprese localizzate in diversi paesi e la produzione avviene “just in time“. Come dimostrato da una ampia letteratura (si veda il rapporto della World Bank 2020), attraverso la divisione internazionale del lavoro le imprese aumentano la propria efficienza e produttività sfruttando le economie di scala e di specializzazione, minimizzando i costi di gestione delle scorte. D’altra parte, le GVC sono rischiose in quanto uno shock negativo che colpisca anche un solo anello della catena può avere conseguenze ben oltre l’epicentro dello shock e le GVC agiscono, anche in questo caso, come un potente meccanismo di propagazione dello shock (Giunta, in Menabò, 2020).

In queste note utilizziamo dati dettagliati su questi collegamenti commerciali per quantificare il possibile impatto della pandemia sulle esportazioni italiane. In particolare, utilizziamo le informazioni sugli scambi commerciali in termini di valore aggiunto ricavabili dalla banca dati GTAP (Aguiar et al., in Journal of Global Economic Analysis, 2019) con riferimento al 2014. Dal lato dell’offerta, un paese è tanto più colpito quanto più la sua capacità di produrre/esportare dipende dalle importazioni. Nel caso dell’Italia, la percentuale di valore aggiunto importato (beni intermedi importati) e inglobato nelle esportazioni è pari al 17% (Figura 1).(1) Valore aggiunto estero (Foreign Value Added – FVA) nelle esportazioni italiane. (2) Valore aggiunto domestico (Domestic Value Added – DVA) nelle esportazioni italiane. (3) Quota DVA consumato nel primo mercato di destinazione. (4) Quota di DVA consumato in un mercato diverso dal primo mercato di destinazione. Fonte: elaborazioni degli autori sulla banca dati GTAP.

Si tratta di una percentuale significativa in assoluto ma soprattutto perché, trattandosi di una media, comprende valori assai più elevati per alcuni settori (chimico 50% circa, tessile attorno al 40%); per alcuni prodotti le difficoltà di approvvigionamento di specifici input possono essere (quasi) insormontabili (Giunta, in Menabò, 2020). Ne consegue che sono questi i settori che fronteggiano le maggiori difficoltà a soddisfare la domanda proveniente da mercati esteri.

Va riconosciuto che, nel caso di shock negativi sull’offerta, potrebbe valere il detto ‘mal comune, mezzo gaudio’ in quanto un problema diffuso riduce il rischio di perdere quote di mercato. D’altra parte, va riconosciuto che la diffusione del virus, per quanto pandemica, non è stata uniforme per quanto riguarda la gravità e ha provocato reazioni da parte dei governi estremamente differenziati.

L’attuale dibattito sull’accorciamento delle GVC (reshoring) può essere interpretato come scelta precauzionale da parte di soggetti pubblici o privati che hanno modificato la propria percezione del rischio, a fronte degli effetti della pandemia. Da questo punto di vista una catena più corta, e quindi meno fragile, rappresenterebbe una sorta di assicurazione contro il rischio e il premio corrispondente è costituito dai costi aggiuntivi derivanti dall’aumento delle scorte e dal mancato sfruttamento delle economie di scala.

Questa argomentazione affatto ragionevole va, però, qualificata sotto vari punti di vista. In primo luogo, catene più corte vengono comunque spezzate da shock globali come il Covid-19 che colpiscono contemporaneamente tutti gli anelli della catena, indipendentemente dal loro numero, (più o meno). In secondo luogo, le catene, per quanto accorciate, rimarranno globali in quanto l’autosufficienza nazionale rappresenta una pericolosa ossessione (o illusione). In questi giorni, tutti stiamo sperimentando i costi derivanti dal dover svolgere da soli a casa una serie di servizi che in precedenza potevamo acquistare sul mercato dai fornitori dotati di un vantaggio comparato. Del resto, ben pochi paesi al mondo possono fare a meno di qualsiasi tipo di input proveniente dall’estero e il vincolo di bilancio impone un trade-off tra quantità e varietà della produzione nazionale: in autarchia nessun paese ad alto reddito riuscirebbe a replicare l’attuale paniere dei consumi. È bene quindi ricordare che il commercio internazionale se rappresenta un elemento di rischio perché ci espone agli shock esterni, resta, tuttavia, la migliore forma di assicurazione di fronte a shock interni.

Da più parti è stato sottolineato (cfr. Webinar SIE “Macroeconomic Implications of COVID-19: Can Negative Supply Shocks Cause Demand Shortages?” Guido Lorenzoni, 29 Aprile 2020) che la pandemia rappresenta uno shock dell’offerta destinato a trasformarsi in shock della domanda. Vista la sincronicità dello shock è probabile che la contrazione della domanda colpirà, seppur con diversa intensità, tutti i mercati. La vulnerabilità delle esportazioni italiane può essere valutata sulla base della quota di esportazioni lorde destinata a ciascun mercato.

Fonte: banca dati GTAP

Come si vede dalla Figura 2, il ruolo preminente dell’Unione Europea e dell’Europa in generale appare evidente insieme all’importanza degli Stati Uniti e della Cina fra i mercati extra-europei. Tale misura, però, risulta imprecisa e insufficiente.

Imprecisa in quanto, come si è visto, il valore lordo include anche il valore aggiunto straniero necessario per la produzione (Dell’Agostino e Nenci, in L’Italia nell’economia internazionale, Rapporto ICE 2015-2016). Insufficiente in quanto parte delle esportazioni sono a loro volta beni intermedi utilizzati per esportazioni che saranno consumate in altri mercati.  Di conseguenza, l’esposizione delle esportazioni italiane può essere misurata sotto due punti di vista. L’esposizione “bilaterale” è definita come la quota di valore aggiunto nazionale che viene consumata nel mercato di destinazione delle esportazioni, mentre l’esposizione “multilaterale” è definita come la quota di valore aggiunto nazionale che viene consumata in mercati diversi da quello di destinazione delle esportazioni. La figura 1 mostra che ben il 20% del valore delle esportazioni non viene “consumato” nel paese di importazione. Di conseguenza questa componente del valore aggiunto nazionale sarà soggetta agli shock della domanda in paesi diversi dai mercati di destinazione iniziale.

La Figura 3 riporta le quote di destinazione finale del valore aggiunto esportato dall’Italia multilateralmente. È evidente il ruolo preminente dei mercati Europei, interni ed esterni all’UE, che insieme rappresentano circa il 55%. L’UE, però, svolge un ruolo fondamentale sia come destinazione, sia come piattaforma per esportare verso tutte le altre destinazioni. La Cina rappresenta invece una piattaforma importante per le esportazioni multilaterali verso altri mercati asiatici che assorbono, insieme alla Cina, una quota importante del valore aggiunto italiano.

Fonte: elaborazioni degli autori sulla banca dati GTAP

La rilevanza dei mercati europei, sia come piattaforma sia come assorbimento, va tenuta presente quando si valutano benefici e costi dell’appartenenza all’Unione europea. Da una parte, le nostre esportazioni non vengono ostacolate da barriere protezionistiche all’interno del Mercato Unico né, all’interno della zona euro, subiscono le conseguenze della volatilità dei tassi di cambio. D’altra parte, il beneficio di politiche fiscali espansive andrebbe valutato non solo sulla base dell’eventuale spesa finanziata con debito congiunto ma anche (e forse soprattutto) valutando le esternalità positive per gli esportatori italiani generate dalla spesa pubblica dei governi nazionali.

Sarebbe senz’altro cosa buona e giusta che la Germania accettasse di finanziare un aumento della domanda aggregata attraverso gli eurobond ma in mancanza (o in attesa) di questo stimolo va accolta con favore la notizia che il governo tedesco invece di predicare, e soprattutto praticare, le virtù dell’austerità del bilancio pubblico, pare in questa occasione intenzionato ad allargare sostanzialmente i cordoni della borsa. Si tratta di un intervento assai più generoso di quello previsto dal Governo italiano (https://www.economist.com/graphic-detail/2020/04/17/viral-vulnerabilities) e questo potrebbe ingenerare delle preoccupazioni in termini di possibili distorsioni della concorrenza sui mercati internazionali. Non vanno però sottovalutati i benefici che ne potranno derivare per tutti i paesi dell’Unione e soprattutto per le imprese italiane che producono per il mercato tedesco sia sotto forma di beni finali, sia sotto forma di beni intermedi (valga per tutti il ruolo della componentistica italiana nella produzione di autovetture tedesche). Anche da questo punto di vista, quindi, si può concludere che c’è qualcosa di peggio di una pandemia: affrontarla al di fuori di un mercato integrato mentre i governi, seppure soprattutto a livello nazionale, adottano politiche anticicliche.

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