I porti siciliani: approdo dei migranti, ma soprattutto infrastrutture del commercio internazionale

Rama Dasi Mariani e Federico Nastasi si occupano dei porti della Sicilia, che sono il principale punto d’approdo dei migranti e che il Ministro dell’Interno ha dichiarato di voler chiudere, dal punto di vista del loro ruolo come luoghi di transito della gran parte dell’interscambio commerciale dell’Isola. In questa prospettiva, secondo i due autori, quei porti possono contribuire a rendere il Mediterraneo idoneo per costruire una convivenza pacifica e prosperosa e a favorire lo sviluppo economico della Sicilia.

I porti siciliani sono al centro del dibattito pubblico per le ben note vicende legate ai flussi migratori provenienti dall’Africa mediterranea. Osservati da questo punto di vista quei porti, secondo alcuni – tra cui il Ministro Salvini – quei porti dovrebbero essere chiusi. Posizioni diverse sui flussi migratori portano a conclusioni opposte. Ma non è da questa prospettiva che intendiamo analizzare i porti siciliani. Prendendo spunto dall’attenzione che l’immigrazione ha attirato su di essi, guarderemo ai porti siciliani dal punto di vista del loro contributo al commercio internazionale, da un lato, e all’economia dell’isola, dall’altro.

La letteratura economica offre diverse spiegazioni teoriche circa l’effetto positivo che l’immigrazione può avere sul commercio internazionale. La presenza di popolazione straniera può aumentare il volume degli scambi commerciali con l’estero del paese ospitante mediante la riduzione dei costi degli stessi. La dote informativa che i migranti apportano circa le caratteristiche dei mercati e delle pratiche commerciali dei paesi da cui provengono, le abilità linguistiche e le reti sociali di cui questi dispongono (che risultano essere essenziali per l’apertura o l’espansione dei canali commerciali) possono rivelarsi elementi essenziali per ridurre l’asimmetria informativa ed i costi di transazione e, dunque, per facilitare ed incrementare il commercio internazionale.

I due fenomeni, quello migratorio e quello commerciale, non sono legati solamente da questo ipotetico nesso causale. Come abbiamo anticipato, il dibattito pubblico in entrambi i casi è concentrato sui costi piuttosto che sui potenziali benefici. È, invece, importante per la valutazione delle politiche pubbliche portare alla luce tutte le conseguenze connesse allo spostamento di persone e di merci. Da questa prospettiva, i porti che si intende chiudere all’accesso dei migranti sono al contempo l’infrastruttura principale per l’interscambio di merci della Sicilia, la prima regione d’Italia per arrivo dei flussi. Qui si propone un’analisi delle relazioni commerciali della regione esaminando, in modo particolare, il ruolo esercitato dal sistema portuale.

Quanto, dove e cosa esporta la Sicilia?

Con l’1.7% di export e il 3.2% dell’import sul totale degli scambi italiani, la Sicilia attualmente non risulta essere né un hub di interscambio né un esportatore. Il ruolo di hub commerciale internazionale del Mediterraneo è giocato dal porto calabrese di Gioia Tauro. Tuttavia, esso incontra limiti di sviluppo a causa dei ridotti collegamenti tramite rete ferroviaria con il resto d’Europa e per questo appare meno attraente rispetto alla rotta atlantica e del northern range o altri porti mediterranei preferiti dalle navi container. A dimostrazione di ciò, si può citare il caso della cinese Cosco Pacific che ha comprato per circa 370 milioni di euro il terminal container greco del Pireo, diventato il centro della distribuzione dei container cinesi diretti all’Europa meridionale e orientale e che ha contribuito a ridurre fortemente l’attività degli scali italiani di Taranto e Gioia Tauro. D’altro canto, le esportazioni che partono dalla Sicilia sono per oltre il 60% composte da prodotti petroliferi, i quali risentono degli andamenti del comparto petrolchimico. Le due figure sottostanti mostrano la composizione merceologica degli interscambi e la prevalenza del greggio e dei suoi derivati nel commercio. Al netto del settore petrolchimico, tra 2015 e 2016, le esportazioni sono rimaste pressoché invariate (-0.1%), nonostante siano aumentate le esportazioni dei prodotti chimico-farmaceutici e agro-alimentari.

 

Anche la direzione geografica delle vendite è stata guidata da queste dinamiche settoriali. Il mercato statunitense ha, infatti, guadagnato importanza grazie all’aumento delle vendite degli autoveicoli al suo interno. A questa dinamica si è contrapposta una perdita di quota della Turchia e dei paesi Opec a causa delle minori esportazioni di prodotti petroliferi raffinati.

Nella tabella sottostante, i due indicatori dell’apertura internazionale della Sicilia registrano valori in linea con le altre regioni del Mezzogiorno, ma più bassi rispetto al resto del Paese, dimostrando una carenza di integrazione nel commercio internazionale.

Secondo l’ultimo rapporto della Banca d’Italia, dal 2007 al 2016, la Sicilia ha perso quote di mercato nelle esportazioni mondiali (-40%). I limiti principali dell’export siciliano sono una penalizzante specializzazione merceologica e geografica, in particolare una bassa presenza dei paesi emergenti lontani e una concentrazione dei paesi maturi vicini. Inoltre, vi è un’evidente difficoltà delle imprese ad adattarsi ai mutamenti della domanda internazionale per guadagnare competitività. Le cause di queste limitazioni sembrano, dunque, essere, da un lato, l’incapacità dei porti italiani di espandersi per raggiungere le dimensioni e la capacità infrastrutturale richiesta dai grandi player dello shipping globale. Questi hanno un potere di mercato tale da condizionare le scelte politiche nazionali in tema di trasporti. Dall’altro lato, vi è la prevalenza di esportatori di piccole dimensioni, con difficoltà a raggiungere i mercati più distanti e a partecipare a catene del valore localizzate in alcune aree del mondo in forte crescita, come ad esempio l’Asia.

Quanto contano i porti siciliani per gli interscambi?

Se guardiamo ai flussi di merci che transitano dai porti siciliani, si conferma la forte dipendenza dal petrolio e i suoi derivati. Da notare, infatti, l’importanza in termini di quote di carico dei porti in prossimità degli impianti di raffinazione, Augusta e Milazzo, deputati all’import di greggio e l’export di raffinati. Mentre nelle città capoluogo, Messina, Catania e Palermo, i porti accolgono mezzi Ro-Ro, ovvero navi per il trasporto di automezzi per merci non containerizzate e merci secche per il mercato interno. Catania risulta il primo scalo siciliano del comparto containers, prioritariamente asservito al comparto hi-tech, edile, alimentare, manifatturiero e della grande distribuzione terziaria, grazie agli scambi porti di transhipment di Gioia Tauro, Malta e Cagliari.

 

La fortuna è un fatto di geografia?

La Sicilia è condannata a scontare i limiti allo sviluppo economico dovuti alla sua condizione di insularità? Uno dei pilastri teorici del commercio internazionale, la teoria gravitazionale, rifacendosi alla legge di Newton sull’attrazione dei pianeti, spiega gli scambi commerciali come positivamente correlati alla grandezza dell’economia dei paesi (misurata dal PIL) e negativamente alla distanza che li separa. Al crescere della distanza aumentano i costi commerciali e si riducono gli scambi. In questo contesto, un territorio che non condivide confini terrestri con altre regioni, come nel caso di studio, risulta ulteriormente svantaggiato nell’intensità degli scambi commerciali. Difatti, se guardiamo ai costi commerciali affrontati dalle province della Sicilia e della Sardegna, questi sono circa cinque volte maggiori (Rapporto ICE 2016) di quelli delle altre province italiane. Ecco perché, come abbiamo visto nella premessa, l’interscambio della Sicilia con l’estero rappresenta una quota marginale sul totale italiano. Tuttavia, l’essere un’isola non rappresenterebbe di per sé un ostacolo al commercio.

In una ricerca recente (L. DeBenedictis e AM. Pinna, 2015. “Islands as ‘Bad Geography’ ” Working Paper CRENoS 2015/04) si individuano tre determinanti dei costi commerciali. Innanzitutto, come abbiamo detto, la geografia, la quale può dirsi “sfortunata” per un’isola che è senza confini terrestri con altre regioni. Ciononostante, secondo Acemoglu, si tratta di un fattore secondario allo sviluppo. Infatti, i vincoli imposti dalla geografia possono essere attenuati attraverso la costruzione di buone istituzioni e l’adozione di adeguate scelte politiche ed economiche. Oltre a fornire i propri ordinari servizi di attracco, infatti, i porti possono fungere da integratori del sistema socio-economico. In tal senso, vale la pena segnalare l’opportunità costituita dalle Zone Economiche Speciali (ZES), prevista nel “Decreto Mezzogiorno” (d.l. 91/2017). Si tratta di zone limitate, dove insista almeno un’area portuale, all’interno delle quali le imprese possono beneficiare di speciali condizioni, come sgravi fiscali e semplificazioni amministrative. Attraverso tale innovazione si può agire sulla struttura produttiva regionale, aiutando a differenziare la tipologia di traffici e a supportare l’internazionalizzazione delle imprese locali nel raggiungere le catene di produzione internazionali. Questa iniziativa, se inserita in una politica industriale nazionale atta a ridurre il deficit competitivo del Mezzogiorno esacerbato dalla crisi, può contribuire a ridurre la divergenza tra la Sicilia e il resto del paese.

Seconda determinante dei costi commerciali sono le connessioni spaziali, intese come posizione nel network mondiale del commercio. In questo caso, la Sicilia può vantare una posizione centrale nel Mediterraneo. È, infatti, situata tra le due porte d’accesso, il canale di Suez e lo stretto di Gibilterra, dove passano ogni giorno circa 350 navi e circa il 20% del traffico mondiale in volumi (SRM, Italian Maritime Economy, 2016). Di fatto l’Italia è il primo paese europeo per scambio marittimo coi paesi del Medio Oriente e Nord Africa (MENA). Inoltre, un campo di eccellenza per l’Italia è lo short-sea shipping, ossia il trasporto marittimo a corto raggio, per il quale il nostro paese rappresenta il 36% del totale degli scambi effettuati nel Mediterraneo. Queste brevi osservazioni indicano come la posizione spaziale della regione possa essere un fattore positivo da sfruttare per una strategia di sviluppo.

Ultima determinante è immancabilmente la storia economica. Un passato di scambi commerciali, infatti, aumenta la propensione a un presente di apertura. Nel contesto della già citata teoria gravitazionale, una storia di apertura commerciale può rientrare tra i fattori culturali che riducono la distanza con altri territori. I siciliani possono vantare di tale passato poiché, come diceva il Gattopardo, da almeno venticinque secoli “portiamo sulle spalle il peso di magnifiche civiltà eterogenee, tutte venute da fuori, nessuna germogliata da noi stessi”. Inoltre, come accennato in precedenza, l’attuale presenza di comunità immigrate nella regione potrebbe aumentare la propensione degli scambi commerciali da e verso i paesi d’origine. Dal 2004 al 2018, gli stranieri residenti sono triplicati, diventando circa 200mila persone, pari al 3.8% della popolazione, benché la Sicilia sia penultima tra le regioni italiane in termini di percentuale di stranieri sulla popolazione residente. Un’esperienza positiva a livello regionale è certamente rappresentata dalla comunità tunisina di pescatori a Mazzara del Vallo, che ha contribuito alla cooperazione transfrontaliera tra Sicilia e Tunisia nel settore delle politiche del mare. A dimostrazione di ciò anche il recente accordo di cooperazione siglato tra la Fédération Nationale des Metiers di Tunisi ed il Distretto della Pesca siciliano.

Prendendo spunto dall’attenzione mediatica che i porti siciliani hanno recentemente suscitato, questo articolo ha messo in luce il ruolo rilevante, in termini di crescita e sviluppo, che i porti siciliani potrebbero avere per l’economia della regione; sia come infrastruttura a sostegno del commercio, sia come porta di ingresso dei flussi migratori. Analizzando le potenzialità di tali servizi, ci si accorge che essi vantano una posizione centrale nel Mediterraneo e potrebbero favorire, nell’ottica di promozione del commercio internazionale, i forti legami storici e culturali che la Sicilia ha con l’estero. Invece, i porti siciliani attualmente risultato limitati al solo interscambio di prodotti petrolchimici e sono esposti agli alterni andamenti del settore.

Ci si interroga spesso su come superare i limiti territoriali della regione senza accorgersi che i suoi porti potrebbero essere sfruttati per accogliere navi container dirette in Europa e provenienti dai paesi esportatori in forte crescita, soprattutto sulle direttrici del Mediterraneo. A tal proposito, è utile ricordare che i paesi verso i quali si indirizza l’interscambio dai porti italiani non ricalca i flussi commerciali complessivi dell’import-export italiano. Come anticipato, i maggiori partner italiani sono Turchia, Russia, Libia, Spagna ed Egitto. Pertanto, l’apertura dei porti verso l’Africa e il mondo arabo per l’accesso dei migranti risulta un’opportunità di supporto agli scambi commerciali anche a causa dell’effetto pro-trade, ormai confermato da numerose evidenze empiriche, generato dagli stranieri nel paese di accoglienza.

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