I Neet in Italia: una questione generazionale o di classe?

Pasquale di Padova ed Enrico Nerli Ballati esaminano la condizione dei giovani Not in Education, Employment or Training (Neet) in Italia. Negli ultimi anni l’acronimo Neet è stato associato con toni enfatici all’emergere di una nuova questione generazionale. Leggendo la condizione della popolazione tra i 15 e i 24 anni con la lente delle classi sociali familiari, gli autori sostengono che i Neet, anziché segnalare una questione generazionale, riflettono le vulnerabilità connesse alla trasmissione intergenerazionale delle disuguaglianze.

Negli ultimi anni è cresciuta notevolmente l’attenzione verso la categoria dei Neet, i giovani Not in Education, Employment or Training. La definizione, ideata negli anni ’90 in Gran Bretagna nelle indagini sui giovani a rischio di esclusione sociale, è arrivata poi ad abbracciare la popolazione fino ai 29 o addirittura 34 anni nelle statistiche ufficiali. I Neet sono oggi i destinatari di specifiche misure di politica sociale in tutta Europa, mirate ad incrementarne l’occupabilità e a favorirne l’attivazione.

Anche in Italia i Neet sono alla ribalta della cronaca. La pubblicistica ha spesso adoperato toni allarmistici per descriverne la condizione e nemmeno la produzione scientifica è rimasta immune dal fascino di locuzioni evocative come generazione “Neet”, “perduta”, “in panchina”, “sospesa”, tradendo così l’idea che si stesse assistendo all’emergere di una nuova questione generazionale. Ma siamo veramente di fronte ad un nuovo fenomeno da considerarsi distintivo di un’intera generazione? Oppure, più semplicemente, la definizione consente di cogliere molteplici condizioni di vulnerabilità scontate dai giovani e legate piuttosto alla loro posizione nella stratificazione sociale?

Per rispondere a questa domanda proveremo a leggere il fenomeno Neet utilizzando lo strumento analitico delle classi sociali familiari, intendendo, con questa espressione, gruppi di soggetti che condividono stili e opportunità di vita simili in virtù delle risorse da loro detenute. La famiglia di appartenenza, infatti, redistribuisce tra i suoi componenti le risorse (materiali e non) ottenute da uno o più di essi, influenzandone il posizionamento nel mercato del lavoro (Cobalti e Schizzerotto, La mobilità sociale in Italia, 1994).

L’analisi utilizza il file annuale 2015 della Rilevazione continua sulle forze di lavoro condotta dall’Istat, che stimava la presenza di 1,27 milioni di Neet nel Paese, pari a ben il 21,4% del totale dei giovani tra 15 e 24 anni. Ci siamo concentrati sui 15-24enni, per tre ragioni precise. Anzitutto, perché la permanenza dei più giovani nella condizione Neet produce un accumulo di svantaggi, i cui effetti negativi si riverberano nel corso della transizione all’età adulta. In secondo luogo, per garantire la comparabilità dei risultati con la letteratura internazionale sul tema, che quasi sempre è focalizzata sui più giovani. Infine, perché considerare i 25-29enni significherebbe includere tra i Neet oltre 300mila donne che vivono in coppia (e dunque hanno già completato la transizione all’età adulta), inattive o disoccupate anche per ragioni di conciliabilità familiare. La loro presenza, pur riflettendo una questione di importanza cruciale nel contesto italiano, allontanerebbe l’interesse dal target di popolazione che ha ispirato la nascita della categoria.

Le classi sociali familiari sono state definite tramite il riadattamento al contesto italiano sviluppato da Cobalti e Schizzerotto dello schema EGP e impiegato a più riprese dall’Istat (Erikson, Goldthorpe e Portocarero, in “Intergenerational Class Mobility in Three Western European Societies: England, France and Sweden”. British Journal of Sociology, 1979; Istat, Generazioni a confronto. Come cambiano i percorsi verso la vita adulta, 2014). L’origine sociale è stata ricostruita solo per i giovani in posizione di figlio/a nel nucleo familiare (il 93,6% dei 15-24enni), sulla base della posizione nella professione dei genitori o del coniuge/convivente del genitore.

Le quattro classi ottenute sono: “borghesia” (imprenditori con almeno sette dipendenti, liberi professionisti, dirigenti e quadri); “classe media impiegatizia” (lavoratori dipendenti a vari livelli di qualificazione, quali insegnanti, impiegati di concetto, impiegati esecutivi, tecnici specializzati); “piccola borghesia” (piccoli imprenditori con al massimo sei dipendenti, lavoratori, soci di cooperativa, coadiuvanti e lavoratori “atipici”); “classe operaia” (lavoratori dipendenti a qualsiasi livello di qualificazione, quali operai, apprendisti, lavoranti a domicilio per conto di imprese). Poiché un limite dello schema è rappresentato dall’impossibilità di classificare i ragazzi con genitori non occupati, abbiamo aggiunto una nuova modalità riferita alle famiglie nelle quali non vi fossero occupati, ma in cui almeno un individuo oltre al giovane ricercasse attivamente un’occupazione.

I risultati mostrano come il rischio di entrata nella condizione Neet cresca scendendo i gradini della stratificazione sociale. Evidenti sono le disparità nel tasso Neet riportate nell’ultima colonna della Tabella 1: si passa dal 7,2% fra i figli della borghesia, al 25,9% dei giovani di estrazione operaia, per arrivare al 37,3% dei giovani collocati in famiglie in difficoltà sul mercato del lavoro.

Tabella 1: Condizione di destinazione per classe sociale familiare degli intervistati nella classe di età 15-24 anni in posizione di figlio/a (riporto all’universo, percentuali di riga)

La grande maggioranza dei ragazzi di origine borghese è ancora inserita nel sistema educativo o formativo, una percentuale nettamente più alta di quella riscontrata in tutte le altre classi sociali familiari, e in particolare modo nelle ultime due, dove ci si attesta intorno al 50%. Troviamo poi livelli occupazionali più elevati tra i giovani di classe operaia e fra i discendenti della piccola borghesia, con una forte tendenza per questi ultimi a permanere nella classe sociale dei genitori. Esaminando con attenzione la tabella, si nota altresì che la probabilità di essere Neet vs. occupato, condizionata al non essere studente, non differisce in maniera così marcata fra le diverse classi di origine. Il ruolo fondamentale sulla conformazione assunta dal fenomeno tra gli infra 24enni è infatti giocato dalle profonde differenze nella permanenza nel sistema educativo. La relazione tra origine e condizione di destinazione non si annulla a parità di titolo di studio: infatti, mentre fra diplomati di origine borghese i Neet rappresentano il 10,2% della classe, fra i diplomati di origine operaia o provenienti delle famiglie in difficoltà essi sono rispettivamente il 35% e il 41%. Analogamente, fra i giovani in possesso almeno di una laurea triennale, il 10,3% fra i ragazzi di estrazione borghese è classificato come Neet, contro il 20% dei giovani di estrazione operaia.

L’origine familiare non incide solo sui destini occupazionali o formativi dei ragazzi, ma anche sulla durata della condizione di non occupazione, di ricerca del lavoro e della disoccupazione. Precisiamo che per periodo di non occupazione si intende quello trascorso dall’ultima esperienza lavorativa, mentre per periodo di disoccupazione quello in cui il soggetto non occupato ha cercato attivamente lavoro e si è detto immediatamente disponibile ad iniziarne uno. Il periodo di ricerca del lavoro, invece, riguarda gli immediatamente disponibili attivi nella ricerca, sia occupati che non (Istat, La rilevazione sulle forze di lavoro: contenuti, metodologie, organizzazione, 2006).

Come si può apprezzare dal grafico, i periodi di disoccupazione sono più brevi per i giovani di classe media impiegatizia e della borghesia. Scendendo i gradini della stratificazione sociale, la strategia principale di mobilità per i discendenti della piccola borghesia e ancor di più i figli degli operai è l’inserimento precoce nel mercato del lavoro, anziché l’investimento in istruzione. Queste scelte connesse all’origine sociale hanno però come conseguenza perversa un allungamento dei periodi di non occupazione e una minore efficacia delle azioni di ricerca del lavoro. Differenze analoghe si osservano considerando il segmento sfiduciato della popolazione, cioè quella piccola minoranza di Neet che dichiara di non aver cercato un’occupazione nelle ultime quattro settimane perché convinta di non riuscire a trovare un lavoro.

Figura 1: Durata media in mesi dei periodi di non occupazione, ricerca del lavoro e disoccupazione per titolo di studio e classe sociale familiare dei Neet nella classe di età 15-24 anni in posizione di figlio/a

I risultati ci inducono, dunque, a sostenere che la condizione Neet non costituisce un fenomeno sui generis in grado di connotare in maniera trasversale una generazione di giovani nel nostro paese. Tutt’al più, l’indicatore permette di rilevare un effetto di periodo su alcune coorti dovuto al restringimento delle opportunità occupazionali in concomitanza con la crisi economica. Le risposte prodotte dai giovani in termini di strategie individuali di mobilità si diversificano molto nitidamente sulla base della condizione familiare.

Le differenze tra le classi sociali familiari sono principalmente da ascrivere alla diversa permanenza dei giovani nei percorsi educativi. Le disuguaglianze più evidenti, infatti, non si manifestano tanto rispetto al tasso di occupazione, che appare anzi più elevato nella piccola borghesia e nella classe operaia, quanto in relazione al livello occupazionale raggiunto ed al pericolo di sperimentare periodi più lunghi di non occupazione. Il rischio di divenire Neet, con i relativi effetti moltiplicativi sul corso di vita, appare soprattutto connesso al rendimento scolastico e alle preferenze educative formulate nel contesto familiare. Sono evidenze empiriche che ci allontanano molto dal ritratto semplificatorio di una generazione immobile o scoraggiata (per approfondimenti rimandiamo al lavoro presentato nella a sessione “Nuove geografie delle disuguaglianze sociali” della X Conferenza ESPAnet Italia).

* Le opinioni espresse dagli autori hanno carattere personale e non impegnano in alcun modo la responsabilità degli istituti di appartenenza.

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